Il 23 gennaio 1938 un giovane speleologo scendeva trepidante su una scala di corda e pioli di legno tipo marina, sorretto da una corda di sicura tenuta all’esterno da alcuni giovani del luogo, un pozzo carsico appena fuori dal paese di Castellana, nelle Murge baresi. Una scena decisamente insolita a quei tempi e in quel luogo, anzi assolutamente unica, in quanto l’esplorazione delle grotte era allora cosa ancora pionieristica, appannaggio in Italia dell’area orientale del Carso e di poche altre città settentrionali (con l’eccezione di Roma), pur essendo il sud della penisola decisamente ricco di cavità naturali. Mille pensieri affollavano la mente dello speleologo, mentre la scala roteava nell’immensità del vuoto, l’aria si faceva più calda e il respiro diventava affannoso per lo sforzo: penetrando nel sottosuolo stava violando un tabù secolare ben radicato nei locali. La Grave, come veniva chiamata il pozzo, tenuta a debita distanza dalle persone assennate, era infatti servita da sempre per smaltire ogni genere di rifiuto (ignorando che così avrebbero inquinato la falda acquifera di cui la Puglia è tanto povera), mentre i pipistrelli che ne uscivano al tramonto o le nebbie invernali mattutine altro non erano se non le anime inquiete dei tanti morti ammazzati, caduti per sbaglio o per forza.
A scendere non era un curioso qualunque, ma il prof. Franco Anelli, uno dei padri nobili della speleologia italiana e mondiale, un lodigiano ragazzo del 99 (la generazione che ha combattuto sul Piave, salvando la patria dal disastro di Caporetto), diplomato a Milano, laureato in scienze naturali a Bologna e geologo in una miniera in Friuli, ma soprattutto a quel tempo ricercatore dell’Istituto Italiano di Speleologia presso le Regie Grotte di Postumia, allora italiane, dove coordinava il neonato catasto delle grotte e la rivista Le Grotte d’Italia. In assenza di specialisti locali, l’Ente del turismo di Bari aveva chiesto a Postumia di inviare in Puglia uno speleologo con attrezzatura idonea, affinchè potesse valutare con cognizione di causa l’eventuale interesse di alcune cavità locali di recente scoperta. Una volta sul posto, visitate alcune grotte di modesto sviluppo, la sua attenzione fu subito attratta dai 60 metri dell’imponente Grave di Castellana, sino ad allora anonimo centro a 40 km di distanza da Bari e non lontano dal più caratteristico paese di Alberobello.
Giunto finalmente sul fondo, Anelli si ritrovò in un’immensa caverna campaniforme, con gli strati di roccia orizzontali ben evidenziati e rischiarati dal fascio di luce solare penetrante dall’ampio foro, in un immane caos di blocchi di roccia caduti dalla volta e sopra i quali erano cresciute imponenti stalagmiti. Pieno di contagioso entusiasmo, nei giorni e poi nei mesi successivi Anelli tornò a scendere nella Grave, questa volta accompagnato da un giovane locale, Vito Matarrese, il quale svolgerà un ruolo importante nell’esplorazione e nella valorizzazione del complesso. Dal caos di blocchi e concrezioni riuscirono infatti a penetrare al lume delle loro lampade ad acetilene in un susseguirsi di gallerie suborizzontali fossili, letto di un antico imponente fiume ora sceso a livelli inferiori, che in presenza di fratture della roccia si ampliava in ampie caverne o si restringeva in corridoi o cunicoli, con pochi rami laterali, per una lunghezza complessiva di 3.200 m ed una profondità di 70, fino all’incanto della Grotta Bianca terminale. Oltre ad essere di gran lunga la grotta più estesa di tutta la Puglia, Castellana offriva un vero tripudio di concrezioni alabastrine pressochè unico, sicuramente degno di valorizzazione. Una volta che le acque hanno cessato di scavare i condotti ipogei, sale e gallerie sono rimaste per milioni d’anni esposte allo stillicidio dell’acqua piovana ricco di carbonato di calcio e di sali minerali, depositati in ogni dove sotto forma di stalattiti, stalagmiti, colone, trine, colate, vaschette e quanto di più una fervida fantasia possa immaginare. Le concrezioni presentano colorazioni diverse, dal rosso al marrone e al nero, a seconda delle presenza di sostanze minerali, fino al tripudio del bianco candido della caverna finale, dovuto a calcite pura. Alcune straordinarie concrezioni eccentriche mostrano un accrescimento anarchico, non dall’alto al basso come avviene di norma per legge fisica, ma laterale e in tutte le direzioni, dovuto a ragioni cristallografiche o al persistere di correnti d’aria dominanti.
L’entusiasmo e la competenza di Anelli non faticarono a convincere le autorità locali, a tutti i livelli, sull’opportunità di attrezzare turisticamente questa grotta: Castellana possedeva nel sottosuolo un tesoro inestimabile, capace di modificare le prospettive economiche ed occupazionali delle Murge, alle porte della suggestiva Valle d’Itria, tra Alberobello e Polignano a Mare. Dopo aver risolto il problema non indifferente dell’ascensore e delle scale per superare a fianco i 60 m di dislivello della Grave, già nel 1939 apriva ai primi visitatori, arrivando a totalizzare fino a 300 mila visitatori /anno; in questi 80 anni di attività ha contribuito a fare scoprire a parecchie decine di milioni di turisti le meraviglie del mondo sotterraneo, divenendo ben presto uno dei baluardi imprescindibili per lo sviluppo del turismo in Puglia.
La perdita dell’Istria e di parte della Venezia Giulia dopo la seconda guerra mondiale portarono come conseguenza anche la perdita di Postumia, di cui Anelli fu l’ultimo direttore italiano, e dell’Istituto Italiano di Speleologia, in parte traslocato presso l’università di Bologna, in parte proprio a Castellana, nei frattempo divenuto Castellana Grotte. Lo stesso Anelli, dopo l’abbandono di Postumia, riparò dapprima in Friuli poi a Castellana, dove assunse la direzione della grotta, oltre a diventare professore di Geografia Fisica e libero docente di Speleologia presso l’università di Bari. Qui, oltre a ricerche ed esplorazioni in varie cavità, ebbe il merito di organizzare nel 1950 il IV° congresso nazionale di speleologia (i primi a visitare la Grotta Bianca), e poi nel 1958 il II° congresso internazionale di speleologia, che fece conoscere la Puglia agli studiosi di carsismo. Quest’uomo basso di statura, timido e gentile, ma dotato di una straordinaria determinazione, è partito per l’ultima esplorazione, quella senza ritorno, nell’ottobre 1977. Tre mesi dopo, per il quarantennale della scoperta della grotta, quale vice presidente della Società Speleologica Italiana ero in viaggio da Milano a Castellana con uno zaino pesantissimo: portavo il busto in bronzo di Anelli che sarebbe stato collocato su una stalagmite sul fondo della Grave, omaggio imperituro degli speleo italiani ad un loro grande precursore e maestro, da dove può scrutare ad uno ad uno i visitatori della grotta per coglierne i sentimenti. Oggi al nome di Franco Anelli è dedicato il Museo Speleologico di Castellana, con annesso osservatorio astronomico, sede del Gruppo Puglia Grotte e della Federazione Speleologica Pugliese, nonché il Centro di Documentazione Speleologica presso l’Università di Bologna, sede della più consistente biblioteca di speleologia al mondo.
Castellana si apre in un pacco di calcari del Cretaceo superiore, formatisi per deposizione al fondo di un antico mare circa 90-100 milioni di anni fa, i cosiddetti calcari di Altamura. Circa 65 milioni di anni or sono per spinte tettoniche questi banchi stratificati di calcare sono affiorati, assumendo la conformazione attuale. Da allora le fratture presenti nella roccia hanno permesso alle acque meteoriche di penetrare in profondità, scavando delle cavità sempre più ampie, franate anche in qualche punto. Al termine dell’azione idrica erosiva e corrosiva è iniziata una lunga e lentissima fase di deposizione del carbonato di calcio sotto forma di concrezioni di vario tipo, tuttora in corso. L’assottigliamento per crolli della volta della Grave ha permesso la caduta del tappo ed il collegamento della grotta con la superficie esterna, fino a quando uno più curioso degli altri non vi è penetrato, scoprendo l’arcano mondo sotterraneo delle Murge. Indagini geofisiche indicherebbero la presenza di altri vacui sotterranei, non ancora esplorati.
La grotta ospita anche una micro fauna biospeleologica specializzata, con alcune specie esclusive.I visitatori possono scegliere due percorsi: uno parziale di 1 km (50 minuti), e quello totale di 3 km (2 ore); fuori orario e per gruppi si possono compiere anche visite guidate notturne con attrezzatura spelea; il museo organizza laboratori didattici, mentre le dimensioni della cavità vi consentono lo svolgimento di un intenso calendario di eventi, manifestazioni e spettacoli. Accesso possibile anche ai disabili.
Info: www.grottedicastellana.it – amministrazione@grottedicastellana.it – tel. 080 49 98 221 – Numero verde 800 213 976.
Testo/Giulio Badini – Foto/Giulio Badini, Grotte di Castellana e Google Immagini