Sentiamo spesso parlare di globalizzazione, ma difficilmente ci capita l’occasione di poter verificare direttamente di cosa si tratti esattamente e di come si manifesti in pratica. E quando capita, ne restiamo sorpresi. Nello stato indiano del Gujarat succede di frequente. Per le sue condizioni climatiche ed ambientali, da sempre il cotone costituisce uno dei frutti più generosi di questa terra piuttosto arsa. Ma il cotone, di per sé, non serve a nulla, se non viene trasformato in tessuti, e quindi il Gujarat rappresenta il maggior produttore di tessuti di tutta l’India. Nella sua capitale storica ed economica Ahmedabad (3,3 milioni di cittadini) metà degli abitanti lavora nell’industria cotoniera (filatura, tessitura, tintoria e indotto), tanto che già nell’Ottocento venne chiamata la Manchester indiana. Fin dalla sua fondazione nel 1411, fondava infatti le sue ricchezze su produzione di tessuti di cotone, sete, broccati e indaco, esportati fino in Europa. Con l’arrivo degli inglesi nel 1817 i telai ripresero a battere a pieno ritmo, fornendo un prodotto di elevata qualità, tanto da poter reggere la spietata concorrenza delle industrie anglosassoni; nel 1905 il boicottaggio alle merci inglesi salvò l’economia indiana dal tracollo. E per rendersi conto del livello eccelso raggiunto dalla produzione tessile gujarina basta visitare ad Ahmedabad il Calico Museum, ospitato in un’elegante dimora nobiliare seicentesca con facciata in legno scolpito: espone una collezione di tessuti rari, tende, tappeti, costumi, dipinti religiosi su stoffa, ricami, broccati, trame di seta e scialli.
Ma che una città sia da sempre specializzata nella produzione di un singolo prodotto capita anche altrove, in parecchi posti, e non significa ancora globalizzazione. Tale diventa invece quando si scopre che in una nazione, grande quanto due terzi dell’Italia, anche il più sperduto paesello contribuisce attivamente a tale ciclo produttivo. Se andate nell’affascinante regione arida occidentale del Kucth, stretta tra i deserti del Sind e del Thar, oppure nelle piane assolate centrali del Saurashtra, in ogni casa anche del più minuscolo villaggio troverete uomini e, soprattutto, donne impegnate nella filatura, al telaio, a decorare manualmente con timbri colorati tessuti che per la loro precisione millimetrica sembrano essere stati prodotti industrialmente, a forgiare con il proprio estro creativo abiti e oggetti capaci di fare la fortuna di commercianti e stilisti, venduti su mercati incredibilmente lontani. Molti fanno parte di una filiera produttiva, altri producono pezzi unici e finiti; poi ci sono le specializzazioni tematiche o regionali. Il bellissimo sari patola è un capolavoro dell’arte del telaio: l’ordito è tinto con colori brillanti e con intricate figure geometriche prima di essere tessuto. Parecchio diffusa la tecnica della pittura su tessuto: vengono prodotti copriletto, stoffe da parati e arazzi. Ricchi e pregiati inoltre il ricamo a fili d’oro, i broccati a motivi in rilievo in oro e argento, e la seta leggera e vaporosa. Giustamente famosa risulta pure la tintura del Saurashtra, dove si producono anche coperte e scialli di lana.
Sebbene ingiustamente trascurato dal turismo, trovandosi fuori pur di poco dalla rotta classica Mumbai-Rajasthan-Delhi, lo stato del Gujarat, estrema propaggine occidentale della penisola indiana al confine con il Pakistan, può essere considerato dal punto di vista ambientale, naturalistico e architettonico uno dei più interessanti della confederazione, oltre ad uno dei più industrializzati e di livello sociale avanzato, pur trattandosi essenzialmente di un paese agricolo. Scaldato a nord dagli infuocati deserti del Pakistan e del Rajasthan, rinfrescato a sud dalla brezza oceanica lungo i 1.600 km di costa sul mar Arabico, presenta una rilevante varietà ambientale: colline selvose, ampie pianure fertili, deserti stepposi, acquitrini salmastri soggetti alle maree, litorali rocciosi, penisole, golfi e isole, oltre ad offrire anche una notevole varietà etnica; qui hanno infatti convissuto più o meno pacificamente nel tempo indù, buddisti, jainisti, musulmani e cristiani, oltre a piccoli gruppi tribali animisti. Ma ha rappresentato soprattutto la roccaforte storica del jainismo, il movimento religioso dell’estremismo ascetico dei santoni nudi e della non violenza portata all’esasperazione, tanto da indossare i suoi adepti una mascherina sulla bocca per non uccidere i microbi e pulire la strada con una scopa per non calpestare gli insetti. Non potendo per il loro credo coltivare la terra, pescare o allevare animali, i jainisti hanno dato un forte impulso al commercio e all’artigianato, creando benefici per tutti e regalando una qualificata produzione manifatturiera nel settore del tessile (tessuti eccellenti per qualità e disegni dai colori brillanti, broccati, sete vaporose) dei mobili laccati e dell’oreficeria.
E la visione pacifista del jainismo, oltre a tradursi nella cucina essenzialmente vegetariana della regione, ha influenzato sicuramente il pensiero e l’opera del Mahatma Gandhi, la Grande Anima dell’India, che qui nacque nel 1869 ed iniziò il proprio cammino politico. La presenza consolidata di culture e di religioni differenti, unita alla naturale predisposizione ai contatti esterni dovuta al mare, ha prodotto un’estrema varietà architettonica sotto forma di templi, moschee, tombe, forti, palazzi e haveli (eleganti dimore settecentesche decorate e scolpite in legno), dando vita ad un curioso e sincretico stile indo-islamico. Questa terra autentica e originale, volto vero dell’India non contaminato e con una lingua propria di origine indo-ariana, è diviso in tre diverse regioni geografiche dai golfi di Cambay e di Kutch: l’est fertile e popoloso, la pianeggiante penisola centrale di Saurashtra dove sopravvivono gli ultimi esemplari di leone asiatico, e lo spopolato ovest formato da deserti e paludi che offrono rifugio ad uccelli migratori ed agli asini selvatici. Il Gujarat costituisce anche la regione che ha fornito alla storia e alle cronache rosa il maggior numero di raja, maharaja e nababbi, con relative corti, stranezze, ricchezze e residenze principesche, oggi trasformate in musei o alberghi di lusso. Dei 560 regni piccoli e grandi presenti in India al momento dell’indipendenza, oltre 200 si trovavano infatti nella penisola gujarata del Saurashtra, mai inglobata nell’impero britannico.
Un possibile itinerario inizia da Ahmedabad, raggiunta in volo da Mumbai, capoluogo economico e culturale, disseminata di monumenti indo-islamici pre-moghul e importante per il quartier generale di Gandhi. Partenza per il Kutch, con soste a Modhera (visita del tempio del Sole del 1026, dove agli equinozi i raggi illuminano il dio solare) e a Patan, antica capitale hindu, per visitare la riserva dell’asino selvatico asiatico e il Rani ni vav, uno dei più spettacolari pozzi monumentali sotterranei, entrato a far parte del patrimonio dell’Unesco. Ci si inoltra allora nel deserto per incontrare etnie di pastori nomadi e lunghe carovane di cammelli, le cui donne vestono abiti sgargianti e ricamati. Una sosta a Gondal, capitale di un principato rajput, consente di visitare la farmacia ayurvedica del medico di corte che coniò per Gandhi l’appellativo di Mahatma e la flotta reale con una cinquantina di eleganti auto dei primi decenni del secolo scorso. Si passa quindi alla riserva naturale di Sasan Gir, istituita agli inizi del 1900 dal nababbo locale per proteggere gli ultimi esemplari di leone asiatico, il quale si differenzia da quello africano per la taglia minore e la criniera meno folta e più chiara, un abile cacciatore che disdegna le carogne anche se affamato; qui ne vivono 411 esemplari in compagnia di pantere, leopardi, cervi, stambecchi, antilopi, cinghiali, orsi e scimmie. Somnath offre su una spiaggia sacra agli indù il suggestivo tempio di Shiva, edificato e distrutto ben otto volte, capace nel Mille di ospitare 300 musici e 500 danzatrici. Si arriva così all’isola di Diu, per oltre quattro secoli come Daman e Goa colonia ed enclave portoghese, con case lusitane dai colori vivaci, porticati e patii, chiese tardo barocche e una rilassante atmosfera retrò. Sulla via del ritorno si visitano il monte Shatrunjaya, uno dei luoghi più sacri del jainismo e il maggior complesso di edifici sacri di tutta l’India per i suoi 863 templi di marmo cesellato costruiti quasi un millennio fa (il più importante impreziosito d’oro e diamanti), e infine l’elegante residenza ottocentesca del maharaja di Utelia.
Testo-foto/Anna Maria Arnesano – Foto di copertina – particolare Patan Rani Ki Vav