Per pigrizia mentale siamo portati a pensare che il mondo non cambi, per lo meno sul breve periodo, che oggi sia sempre uguale a ieri e domani ad oggi. E invece, come ci hanno insegnato gli antichi filosofi greci, panta rei, tutto passa, si trasforma e si modifica costantemente, così come la stressa acqua non passerà mai due volte sotto lo stesso ponte. Poi arrivano notizie, magari apparentemente insignificanti o poco importanti, capaci di abbattere o di modificare certezze granitiche date per scontate, e allora ci si rende conto come il mondo cambi, magari impercettibilmente ma costantemente, fino a fare crollare anche i miti più consolidati. La notizia, forse non da prima pagina ma sicuramente scioccante, è approdata nei giorni scorsi sulla stampa: all’apertura della nuova stagione estiva, con previsioni di crescita in visitatori del 6,5 – 7 %, sulla Riviera adriatica mancano all’appello un gran numero di bagnini – non meno di un migliaio solo a Rimini e dintorni – e altrettanti di addetti stagionali ai servizi del turismo balneare per alberghi, ristoranti, bar, pizzerie, locali da ballo, negozi e quant’altro. Ma la Romagna fa parte di quella stessa Italia che da otto anni boccheggia in una crisi economica senza precedenti, e per giunta con il maggior tasso di disoccupazione del continente, in particolare giovanile?
I sindacati si difendono scaricando la colpa sugli imprenditori: lavoro faticoso e senza orari o giorni di riposo, poco retribuito e con scarse gratificazioni, spesso in nero, tanto che i giovani preferiscono andare a lavorare all’estero, dove vengono pagati meglio e, perlomeno, imparano o migliorano una lingua, sempre utile nella vita e nella professione. Sicuramente vero, almeno in parte, ma non era più facile nemmeno per i giovani della mia generazione, che d’estate lavoravano in campagna, al mare o allo zuccherificio e in inverno spalavano la neve (allora c’era) e vendevano enciclopedie per pagarsi gli studi o sopravvivere. Proprio in Romagna, una terra che conosco bene per tanti motivi, fino a pochi anni fa c’era una economia che viveva basandosi sulla risorsa turismo balneare, qui per altro nata all’inizio del secolo scorso. Ogni famiglia della costa o dell’interno aveva almeno un componente che spariva a maggio e ricompariva a fine settembre, con un gruzzolo con cui sopravvivere poi tutto il resto dell’anno. Ognuno si inventava un lavoro: dallo sguattero all’aiuto bagnino, dal gelataio ambulante al negozio stagionale, al parcheggiatore abusivo. E poi c’era un forte indotto legato stagionalmente al turismo. Ci sono stati anche non pochi matrimoni misti, romagnoli con bionde nordiche, e parecchie famiglie locali sfasciate, almeno per tre mesi, poi davanti ai soldi guadagnati tutto si ricomponeva, e pazienza se c’era scappata qualche distrazione: per fortuna le corna sono invisibili. Tanto le prime piogge lavavano tutti i peccati, e nessuno osava mettere in discussione “la stagione”, cioè il lavoro stagionale in riviera, presupposto imprescindibile per l’economia di tante famiglie. Evidentemente deve essersi inceppato qualcosa nel meccanismo, se con questi chiari di luna mancano all’appello qualcosa come alcune migliaia di lavoratori.
E poi, scusate, passi per tutti gli altri addetti ai servizi turistici, ma proprio una crisi dei bagnini romagnoli non l’avrei mai neppure immaginata. Per quelli della mia generazione, stiamo parlando non di persone, ma di miti, non meno di Battisti, Dalla, Guccini, D’Andrè. Per noi cittadini che trascorrevamo la stagione al mare, i bagnini erano dei maestri insuperabili da cui apprendere tutto, non certo dei competitori perché non c’era proprio storia. Certo il loro lavoro era duro e faticoso, sulla stessa sabbia notte e giorno, sotto il sole e con il vento, ma vuoi mettere ? In un’Italia in cui anche solo la parola sesso era considerata sinonimo di demonio ed alle fanciulle veniva insegato soltanto a dire no, loro passavano tre mesi a spalmare creme a decine di migliaia di vichinghe che volavano sì in Romagna per il sole, il mare e le discoteche, ma anche per vivere una romanica avventura con un giovane latin lover che alle dieci di sera non fosse già ubriaco, come gli uomini di casa loro.. E mentre noi per cuccare dovevamo almeno impegnarci un po’, a loro bastava stare fermi ed aprire le braccia. E se i capanni avessero potuto parlare … So per certo che molti di noi sarebbero stati disposti a fare i bagnini anche gratis, pur di partecipare a condividere la torta.
Credo che ai bagnini di quell’epoca dovrebbe essere innalzato un monumento, in quanto hanno contribuito più di tanti altri al miracolo economico ed alla buona fama dell’Italia e degli italiani. Va bene che nel frattempo anche le fanciulle nostrane hanno imparato a dire di si, e quindi non serve più fare questo mestiere per cuccare, ma non avrei mai immaginato che nessuno volesse più fare il bagnino, gente che lavorava tre mesi e poi passava il resto dell’anno a raccontare nel bar le proprie avventure estive tra una briscola e il biliardo. E non serviva neppure ricorrere alla notoria fantasia romagnola, perché tanto la realtà superava spesso l’immaginazione. Lo sapesse Fellini, si rivolterebbe nella tomba.
Comunque, se siete disoccupati e non vi fa schifo l’idea di lavorare nel turismo, provate a fare un salto a Rimini o nella Riviera romagnola: potreste non pentirvene e trovare un lavoro, o quanto meno potrete spassarvela nel maggior divertimentificio d’Europa.
Testo/Giulio Badini – Google Immagini