Settecento ettari di verde, alberi e prospettive ardite, boschi, prati, rogge e ponti in pietra. Ma anche 14 chilometri di mura, 11 cascine, tre mulini, due ville patrizie oltre alla reggia degli Asburgo e dei Savoia. E poi impianti sportivi come il golf e l’autodromo nazionale che ospita il Gran premio di Formula 1. Siamo a Monza e questa è la carta di identità di uno dei principali parchi storici del mondo, il parco recintato più grande d’Europa. Ogni giorno i suoi viali vengono attraversati da migliaia di visitatori, attratti dagli itinerari storici o naturalistici, ma anche da famiglie con bambini e sportivi, amanti del jogging, della rotellistica e delle due ruote.
Ci si va anche a cavallo (un tempo ospitava anche un prestigioso ippodromo), si può giocare a golf ed entrare nel famoso tempio della velocità nato nel 1922, in un periodo di grandi fermenti ispirati al futurismo e ad esperimenti ingegneristico arditi come la famosa parabolica, ormai dismessa, ormai un esempio di archeologia industriale . Mentre cinema, teatri, discoteche, bar e ristoranti hanno chiuso, il parco di Monza non va in lockdown e per migliaia di persone si è trasformato nella meta ideale per passeggiate, allenamenti e gite fuori porta.
Un parco storico, nato con un decreto napoleonico del 1805 ma con radici ancora più antiche, perché collegato alla settecentesca Villa Reale e ai suoi giardini, e così ampio da inglobare una dimora di delizia ancora precedente, Villa Mirabello, voluta nel Seicento dalla famiglia dei conti Durini e diventata successivamente sede di un cenacolo letterario famoso al quale partecipò anche il Parini.
Già Ferdinando d’Asburgo, il primo inquilino blasonato, aveva pensato ad un grande progetto di giardini che facessero da scenario alla Villa voluta nel 1777 da Maria Teresa d’Austria, sua madre. Per questo scopo andò a Versailles, dalla sorella Maria Antonietta, per studiarne la grande architettura scenografica da tentare di ripetere a Monza. Poi, con l’arrivo dei Francesi, il viceré Eugenio di Beauharnais puntò a realizzarvi una tenuta agricola modello e una riserva di caccia.
Da un documento epistolare la madre Giuseppina Bonaparte chiede al figlio Eugenio di costruire un parco più grande di quello di Versailles. Il desiderio verrà esaudito: infatti mentre Versailles occupa un’area di 250 ettari, il Parco di Monza sarà di ben 700 ettari. A disegnarlo Luigi Canonica, di origini svizzere, già allievo del Piermarini, l’architetto della Villa Reale.
All’interno della cinta muraria furono compresi campi agricoli, strade, cascine, ville e giardini preesistenti e ora facenti tutti parte del complesso, quasi un compendio del territorio agricolo lombardo.
Il Canonica abbattè le cascine di “cadente struttura”, preservando invece i complessi paesaggistici importanti come le ville Mirabello e Mirabellino, trasformandoli e ingentilendoli con elementi di stile neoclassico in collegamento con quello della Villa Reale.
Furono individuate tre zone principali, corrispondenti ad ambienti naturali diversi: la zona vicina alla Villa Reale, a Sud, mantenuta a giardino e campagna aperta; la zona a Nord, sicuramente la più indicata allo scopo, venne piantumata a bosco, il cosiddetto “Bosco Bello”, funzionale soprattutto alla caccia; la fascia lungo il fiume Lambro, in posizione inferiore rispetto alle ville e alla parte agricola centrale, mantenuta con vegetazione riparia da zona umida.
Per collegare le diverse zone del Parco, Canonica creò un asse principale Nord-Sud, il viale Mirabello e il suo proseguimento, il viale del Gernetto, che porta sino al “Rondò della Stella”, al centro del “Bosco Bello”. Trasversalmente a tale viale una rete di viali secondari distribuisce i percorsi in tutto il Parco.
La strutturazione del vasto territorio, agricolo e boschivo con l’adattamento e la trasformazione delle cascine e delle importanti architetture di ville esistenti all’interno del territorio del Parco, la costruzione e il riordinamento di ampi viali rettilinei alberati, il modellamento del terreno e l’adeguamento del sistema idrico alle nuove esigenze del Parco, hanno dato vita ad un modello originale e unico. Protagonisti dei giardini più antichi, a ridosso della villa, sono i giganti verdi, come le due querce, presenti nell’elenco degli alberi monumentali d’Italia. Dopo qualche passo nel prato all’inglese si incontra uno splendido esemplare di ginkgo, tipica essenza giapponese, o una sequoia americana, dal tronco rossiccio. Seguendo il vialetto si scende in zona ombreggiata e si costeggia per un tratto il muro di cinta passando in prossimità del gigantesco cedro del Libano, impareggiabile campione degli alberi dei Giardini della Villa Reale. E ancora tra le tante piante alcuni esemplari di faggi, platani, ippocastani, liriodendri, farnie, sofore.. Fa parte dell’architettura dei giardini storici anche il laghetto, coi suoi cigni e gli ornamenti architettonici, dal tempietto dorico all’antro di Polifemo.
Ma i veri padroni del Parco sono gli scoiattoli, e con loro i germani reali, l’airone cinerino e i cavalli del centro ippico.
C’è poi la rete delle cascine, ognuna con una diversa vocazione (cascina Fontana è la sede dell’amministrazione del Parco,cascina Frutteto ospita la Scuola agraria e un ristorante, cascina Bastia il noleggio biciclette, cascina Cernuschi i carabinieri a cavallo). E poi la fagianaia reale, che oggi ospita un ristorante, il padiglione Cavriga, utilizzato come bar. Per completare coi mulini, dove oggi si svolgono attività didattiche, i ponti sul fiume Lambro, le rogge, le fattorie didattiche.E poi lo sport, non solo motoristico. Presso la Cascina San Fedele, il Centro Federale di Allenamento alla corsa campestre, al mezzofondo, fondo e alla marcia, tiene diverse attività per tutte le gambe, dall’orienteering al nordic walking, dal fitwalking ai gruppi di cammino. Sono solo alcune delle attività, ma per i più il parco resta un polmone verde dove respirare il profumo della storia e della natura lasciandosi alle spalle la città. E sognare.
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Testo- foto/Monica Guzzi