La valle del fiume Zena risulta la più corta – appena 40 km -, e la meno importante da parecchi punti di vista, tra le diverse vallate che scendono dall’Appennino fino ad incontrare la Pianura Padana attorno alla città di Bologna. Secondaria, anche per apporto idrico, rispetto a Reno, Savena ed Idice, ma un gioiellino dal punto di vista naturalistico ed ambientale, poco sfruttato antropologicamente ed ancora parecchio selvaggio e brado, con l’aggiunta di offrire una serie di peculiarità naturalistiche, archeologiche e storiche di notevole rilevanza, tanto da costituire una straordinaria finestra geologica didattica sulle rilevanti modifiche subite da questo tratto di Appennino e dai diversi mari che vi si sono sovrapposti negli ultimi cento milioni di anni. Una preziosa palestra di indagine, dove si sono cimentati i migliori ricercatori e studiosi bolognesi, a cominciare da Orsoni nel 1800 e Fantini nel 900, per indagare la geologia, le grotte ed i fenomeni carsici, i resti paleontologici, cristalli e reperti minerari, flora e fauna con un’incredibile biodiversità, le più antiche testimonianze umane sotto forma dei primi strumenti litici usati dall’uomo, insediamenti preistorici in caverna e storici, fino ai borghetti ed ai castelli medievali.
Una valle secondaria non alterata dalla presenza umana, tutto sommato non distante dall’inurbamento metropolitano, tanto ricca di testimonianze storiche e naturalistiche da poter essere considerata come un museo a cielo aperto. Ad essa la Regione Emilia-Romagna dedica meritoriamente un volume monografico di oltre 200 pagine, coordinato dall’omonima associazione di volontari guidata dal biologo e speleologo dott. Giuseppe Rivalta, ricercatore del Gruppo Speleologico Bolognese ed attivo collaboratore fin dagli inizi della nostra testata. Un territorio contenuto, valorizzato dal basso dai suoi stessi abitanti (come amano orgogliosamente definirsi), capace di offrire in estrema sintesi tre musei specialistici, numerosi insediamenti preistorici in caverna, un sito archeologico etrusco-gallico di notevole rilevanza, un santuario ed un castello risalente al 1000, e tanto altro, a cominciare da un insieme di riposanti boschi e prati, sempre più difficili da trovare. Tutti gli aspetti più salienti vengono descritti dagli migliori specialisti, per cui il volume rappresenta il frutto corale dell’impegno di una ventina di studiosi locali.
Tutto parte dal Museo della Preistoria “Luigi Donini”, ubicato a San Lazzaro di Savena, presso lo sbocco in pianura dello Zena, uno dei grandi promotori delle ricerche sul territorio e destinatario di preziosi reperti, come gli scheletri completi di grandi erbivori di epoca glaciale rinvenuti nel paleo-inghiottitoio di Cava a Filo alla Croara. Luigi Donini era un giovanissimo speleologo e naturalista sanlazzarino, medaglia d’oro al valor civile, autore di parecchie scoperte in val di Zena, morto giovanissimo in un incidente in grotta.
Si risalgono le prime colline pedemontane, i cui conoidi fluviali sono ricchi di strumenti litici preistorici e si incontra il fiume al Farneto, dove affiorano gli strati di gesso, sede di innumerevoli grotte e di notevoli fenomeni carsici di superficie, oggi protetti nel Parco regionale dei Gessi Bolognesi. Famosi i nomi delle grotte del Farneto, del Sottoroccia e della Calindri, come sede di insediamenti umani preistorici in età del Bronzo, e del complesso Spipola – Acqua Fredda, il maggiore dell’Europa occidentale in roccia gessosa, già utilizzata in epoca romana per costruire Bononia.
Man mano si risale, il fiume assume sempre più un aspetto bucolico e selvaggio, tra coltivi e boschetti, caratteristiche erosioni calanchive e pareti precipite di arenaria. E’ in questo tratto che alla metà del secolo scorso Luigi Fantini, naturalista, speleologo e paletnologo nato al Farneto, raccolse la sua collezione di 300 esemplari difformi di botroidi, ora esposti nell’apposito Museo geologico di Tazzola, ricavato da una stalla. I botroidi sono delle originali e curiose erosioni su frammenti di tenera roccia arenaria, composta da sabbie pressate e cementate, scavati naturalmente nel tempo da gorghi d’acqua fluviale, sotto forma antropomorfa, zoomorfa o di oggetti, che a volte finiscono per assumere le sembianze di opere d’arte umane, come le madonnine con bambino, personaggi vari, grappoli d’uva, testicoli o quant’altro.
Dopo il Botteghino di Zocca, unico minuscolo insediamento urbano ed epicentro della valle, si entra sempre più in ambiente montano. Le località più salienti sono qua Casola Canina, dove fino al 1662 sorgeva un consistente eremo camaldolese , ora completamente cancellato da una frana; Gorgognano, famosa per la scoperta nel 1965 dello scheletro di una balenottera lunga 9 m, morta piaggiata tra 1 e 2 milioni di anni fa, quando lo Zena aveva qui la sua foce; Riosto, nel X° sec. sede di un castello appartenente alla famiglia Ariosto, da cui discenderà poi il poeta Ludovico, nel 1863 vi vennero scoperti i resti fossili di un antichissimo dugongo; la duecentesca Torre difensiva della Rete, svettante su uno sperone di arenaria, decorata dai trecenteschi famosi maestri comacini; ed infine il castello di Zena, fondato in epoca matildea prima del 1000 ed epicentro della difesa medievale per l’intera valle.
Siamo così arrivati al Monte delle Formiche, su uno sperone a caposaldo dell’intera vallata come suo punto più elevato, famoso per i possenti strati di puddinghe paleo-fluviali, dove tra i ciottoli Fantini ha rinvenuto numerosi frammenti litici assai fluitati, ma che recavano ancora leggibili gli adattamenti inferti dall’uomo paleolitico per farne i suoi primi strumenti litici. Il versante a monte precipita invece in un’imponente falesia arbustata di arenaria, dove si apriva una famosa cavità abitata da un eremita, facente ormai parte del cosiddetto Contrafforte Pliocenico appenninico. Ma il Monte delle Forniche è famoso soprattutto per la presenza alla sua sommità dell’omonimo santuario mariano, oggetto a fine estate dell’incredibile fenomeno del volo nunziale delle formiche alate, meta di pellegrinaggi da tutta la valle. In passato le formiche esausta cadute morte a terra venivano raccolte e vendute per i lori poteri farmaceutici dovuti all’acido formico.
Oltre il Monte delle Formiche ed il Contrafforte Pliocenico la vallata prosegue ancora, sempre più montana, fino a dividersi nei due rami – quello di Loiano e quello di Quinzano – fino alle rispettive sorgenti. Non lontano da Quinzano si possono infine visitare due importanti monumenti: l’insediamento etrusco-celtico di Monte Bibele, dove due popoli diversi convissero pacificamente in quest’angolo idilliaco di Appennino bolognese, nonché il relativo museo archeologico a Monterenzio, ovviamente dedicato a Luigi Fantini, insigne maestro per parecchi di noi.
Il Parco Museale della Val di Zena, a cura del,a Associazione Museale della Val di Zena, Regione Emilia-Romagna editrice in proprio, 2019, pp. 221.
Info: www.parcomusealedellavaldizena.it
Testo/Giulio Badini – Foto/Google Immagini