Anno: 1480 a.C. circa
Il luogo: Egitto
Zona: L’immenso deserto che circonda l’antica necropoli reale dinastica nella quale spiccano le tre grandi piramidi di Giza.
I protagonisti: Thutmose, principe della casa regnante, figlio del forte e volitivo faraone Amenhotep II e di Tiaa, sposa principale dell’harem reale. Il colossale leone di pietra dalla testa umana, immagine del dio Sole Ra-Horakhte,l’unica sfinge di quelle dimensioni mai costruita in Egitto.
In quei giorni il principe, accompagnato da due seguaci, era impegnato in una battuta di caccia a leoni e capre selvatiche nel Basso Egitto, presso Menfi, l’antica capitale del regno. In un’epoca in cui la città principale del paese era Tebe, 800 Km più a sud. La giornata è estremamente calda e il principe, stanco dalla lunga caccia, sente il bisogno di un poco di riposo, ma nei dintorni non vi sono alberi o acqua, il Nilo è lontano e il sole abbacinante. Thutmose scruta l’orizzonte, ma dall’aria rovente si elevano solo i profili tremolanti delle tre piramidi di Khufu, Khafre e Menkaura (Cheope, Chefren, Micerino). Il caldo è eccessivo e il principe decide di raggiungere le immense costruzioni di pietra, sprona i cavalli del suo carro e dopo un’affannosa corsa giunge sulla spianata delle piramidi, seguito dai carri dei suoi compagni. I cavalli ansimano schiumando sudore, il principe riduce l’andatura e al passo gira attorno ai monumenti e infine ferma il carro di fronte al simbolo di Ra-Horakhte in terra, la Sfinge. Il gigantesco leone giace quasi completamente sepolto sotto la sabbia, accumulata nei secoli dai venti del deserto. Solo la testa, con le sembianze di Khafre – il faraone che costruì la seconda piramide – e una piccola porzione del corpo emergono dalla sabbia. Sceso dal carro il giovane trascorre alcuni minuti con lo sguardo fisso sull’enigmatico felino, che da più di un millennio scruta l’eternità. Poi si scuote e lentamente cammina fra le zampe ricoperte di sabbia e si ferma sotto l’enorme testa; essa getta un’ombra invitante al suolo e il principe si siede al riparo dal sole e infine si addormenta. Ma non è un riposo tranquillo. Nel sonno gli appare in sogno il dio stesso Ra-Horakhte che lo approccia con oscure parole e gli predice il futuro:“…. Se mi libererai dalle sabbie che imprigionano il mio corpo sarai ricompensato e ti farò Re delle Due Terre…” Una volta sveglio e scosso dall’impressionante sogno il principe decide che farà di tutto per esaudire il desiderio del dio Sole. Col tempo compirà l’arduo compito e il grande leone fu libero dalle sabbie. Di conseguenza il dio mantenne la sua promessa: il principe salì al trono col nome di Thutmose IV (Djehutymes in antico egizio) e, per celebrare la sua ascesa al potere, fece scolpire una grande stele di granito narrando la vicenda del sogno.
La storia appena raccontata sembra una delle favole inventate apposta per attirare l’attenzione dei bambini, o dei turisti. Ma la realtà è ben diversa, perché la stele esiste davvero e si trova ancora nel punto esatto in cui la fece erigere Thutmose 3500 anni fa e chiunque la può vedere ancora oggi, collocata fra le zampe della grande sfinge di Giza. Si tratta di una lastra di granito spessa centimetri 40 per 114 di altezza e larga 70, sulla quale è inciso il testo in geroglifico che, oltre ad altre informazioni biografiche, descrive il sogno di Thutmose. L’iscrizione non è purtroppo completa a causa di una grave erosione che ne ha distrutto la porzione inferiore, tuttavia ha consentito agli egittologi di ricostruire la storia della sua deposizione. Riguardo al sogno il testo recita:
“…… In uno di quei giorni (di caccia) avvenne che il figlio del re, Thutmose, giunse verso mezzogiorno e decise di riposare all’ombra di questo grande dio (la sfinge). E il sogno prese possesso di lui quando il sole era allo zenith. Egli vide la maestà del suo venerato dio che parlava con la sua propria bocca, come un padre parla col figlio dicendo «Eccomi! Guardami! Figlio mio Thutmose. Io sono tuo padre Harmakhis-Kheper-Ra-Atum, e darò a te il mio regno sulla terra alla testa dei viventi. Tu indosserai la corona bianca e la corona rossa sul trono di Keb (o Geb, il dio della Terra), il principe ereditario. La terra sarà tua in lunghezza e larghezza…. Il cibo delle Due Terre sarà tuo, come i grandi tributi di tutti i paesi per la durata di un lungo periodo di anni. Il mio viso è il tuo, il mio desiderio è verso di te. Tu sarai per me un protettore…. La sabbia di questo deserto sul quale mi trovo mi ha raggiunto, liberami e quando avrai fatto ciò che desidero, riconoscendoti come mio figlio e mio protettore, eccomi io sono con te io (ti condurrò al potere)…… » Quando egli ebbe finito questa invocazione il figlio del re si svegliò e comprese cosa volesse il dio da lui e portò le sue parole nel cuore……..”
(Liberamente tratto da J. Breasted, “Ancient Records of Egypt”, Vol II. pp 815/816)
Storicamente parlando, Thutmose non era il primo erede nella linea di discendenza fra i figli di Amenhotep II, in quanto aveva dei fratelli maggiori, tuttavia le vicende dinastiche gli consentirono di diventare effettivamente faraone. L’intervento di Thutmose IV per liberare il grande monumento dalle sabbie fu il primo tentativo della storia per conservare la sfinge di Giza la quale, durante la 18° Dinastia, epoca in cui fu collocata la Stele del Sogno, esisteva già da più di mille anni. Gli egizi di quel periodo probabilmente la consideravano come una sorta di monumento archeologico strettamente connesso alla loro religione, alla stessa stregua di come possiamo considerare noi i luoghi cristiani di Terra Santa. Dalle notizie che abbiamo appare evidente che nel corso dei secoli altri sovrani intrapresero iniziative per la sua salvaguardia. Qualche generazione dopo, ad esempio, Ramses II ordinò che venissero effettuati lavori di riparazione del monumento, con la sostituzione dei blocchi di pietra che formavano le zampe, ormai pesantemente erose dal tempo. Ulteriori lavori di restauro avvennero in epoca saitica e durante la dominazione romana. Marco Aurelio e Settimio Severo decisero per una nuova ripavimentazione del cortile di fronte alla sfinge, mentre Antonino Pio e Lucio Vero rinforzarono il muro di protezione che circondava l’intero monumento. Poi, con la caduta dell’Impero Romano, l’Egitto fu abbandonato a sé stesso. L’antica religione scomparve, le città e i templi di quel glorioso passato andarono lentamente in rovina. Ancora una volta le sabbie trasportate dagli incessanti venti del deserto ricoprirono la sfinge, lasciando libera solo l’enorme testa umana. Fu solo alla fine del 1700, quando le truppe di Napoleone Bonaparte invasero l’Egitto, che il leone di pietra ricevette nuova attenzione. La stele di Thutmose, il cui significato dell’iscrizione si era perduto nel tempo, fu scambiata per una porta che avrebbe dato accesso a stanze segrete piene di tesori, ubicate al di sotto della sfinge stessa.
Curiosamente dobbiamo ad un italiano, il capitano genovese di vascello Giovanni Battista Caviglia, il merito di aver riportato completamente alla luce il monumento. Dopo alcuni tentativi poco soddisfacenti egli intraprese uno scavo su larga scala durato quattro mesi, da marzo a giugno del 1817, impiegando una forza lavoro compresa fra 60 e 100 operai. Si trattò di un impegno estenuante, poiché man mano la sabbia veniva asportata subito ne scendeva altra dagli alti cumuli, vanificando gli sforzi compiuti. Alla fine Caviglia raggiunse il suo scopo, e fu grande lo stupore di coloro che per la prima volta ebbero modo di vedere la scultura in tutta la sua grandezza. Nel corso degli scavi furono anche ritrovati importanti reperti, fra i quali le parti della barba di pietra che un tempo aveva ornato il mento della testa della sfinge. Le dicerie di villaggio sul fatto che la stele di Thutmose IV celava l’ingresso ad ambienti sotterranei durarono a lungo, tanto da spingere nel 1837 l’ingegnere civile inglese John Perring a praticare dei fori nel corpo della sfinge, nel tentativo di individuare le misteriose camere. Ovviamente tutto si risolse con un nulla di fatto, ma quei fori si rivelarono micidiali perché consentirono alle acque di pioggia di penetrare in profondità nella roccia, compromettendo così l’integrità dell’intera struttura. Altri decenni passarono e di nuovo la sfinge fu ricoperta dalla sabbia: in tanti si cimentarono nel difficile compito di liberarla per sempre. Da Auguste Mariette, fondatore del Servizio delle Antichità dell’Egitto, ai suoi successori Gaston Maspero ed Émile Baraize. Quest’ultimo, negli anni ’20 del XX secolo, fece costruire un poderoso muro di pietra a protezione dell’avvallamento dove sorge la sfinge. In seguito anche questo fu rimosso assieme ad un certo numero di case dell’adiacente villaggio di di Nazlet Esimman, fornendo al sito l’aspetto che ha oggi. Inoltre, tutta l’area adiacente alle piramidi fu bonificata dai cumuli di sabbia, risolvendo così definitivamente il problema.
E Thutmose IV? Il suo regno non fu di lunga durata. Le ultime notizie certe risalgono alla primavera del suo ottavo anno da faraone. In quei mesi egli dovette sedare una rivolta scoppiata in Nubia, il suo esercito catturò molti prigionieri che furono condotti in catene a Tebe e avviati come schiavi ai templi. Infine, probabilmente nel decimo anno di regno, Thutmose IV morì e il trono venne ereditato da suo figlio Amenhotep III. Nel gennaio del 1903, grazie agli scavi finanziati dal magnate americano Theodore Davis e condotti da Howard Carter nella Valle dei Re, fu scoperta la tomba di Thutmose. Il sepolcro, sebbene pesantemente saccheggiato fin dall’antichità, conservava ancora una certa parte del corredo funebre e lo splendido sarcofago in quarzite rosa che aveva ospitato le spoglie del re. La mummia di Thutmose era invece già stata individuata nel 1898 dall’egittologo francese Victor Loret. Essa era stata deposta assieme a molte altre all’interno della tomba di Amenhotep II, all’epoca in cui i responsabili della necropoli reale avevano riesumato le mummie di molti sovrani per porle al sicuro dagli incessanti saccheggi perpetrati dai ladri. Quando il 26 marzo 1903 la mummia di Thutmose fu sbendata al Museo del Cairo, gli studiosi si trovarono di fronte ad un viso bello, dai lineamenti delicati e assai espressivo. L’apparente età era quella di un uomo fra i 30 e 40 anni. Oggi il corpo imbalsamato del quarto Thutmose, il Principe del Sogno, è visibile nella sala delle mummie al primo piano del Museo Egizio del Cairo.
Testo e Foto/ Claudio Busi