Confesso che quando ho ascoltato la lettura dei nomi dei ministri per il nuovo governo Conte 2 (altrimenti definito Arlecchino servo di due padroni, di goldoniana memoria), ho sperato fino all’ultimo di sentire pronunciare la parola turismo con un ministero a se stante. Invece ancora una volta le mie aspettative – che erano poi le stesse del maggior comparto produttivo esistente nel nostro paese – sono andate deluse. Per l’apartiticità del nostro giornale non intendo esprimere giudizi politici su questo o sul precedente governo, limitandomi ad alcune considerazioni critiche come giornalista su di una materia che frequento da mezzo secolo. Quanto meno debbo dire che dalla triade Conte-Di Maio-Zingaretti, con il supporto di un politico di lungo corso come Franceschini, mi sarei aspettato qualcosa di meglio, che avessero cioè recepito quanto è in grado di capire anche un bambino non particolarmente dotato. Perché se sbagliare può essere umano, perseverare nello sbaglio risulta diabolico.
Mi riferisco sempre e soltanto al turismo, con una necessaria premessa. Nel 2018 l’Italia occupava il quarto posto nella classifica mondiale dei visitatori stranieri, con ben 94 milioni di persone (oltre 1,5 volte tutti gli italiani) e 216 milioni di presenze, il che fa sì che questa voce – in costante crescita nonostante la congiuntura negativa nazionale ed internazionale – rappresenti da sola il 13 % del PIL italiano, ben più di altri comparti produttivi come agricoltura, edilizia, auto, ecc. Con la non trascurabile considerazione che questo è uno dei pochi settori in espansione occupazionale, mentre quasi tutti gli altri riducono i posti di lavoro. In poche parole senza l’apporto del turismo, o con un apporto ridotto, saremmo alla fame. Ora tutte le altre nazioni nostre competitrici impegnano enormi risorse per salire, o per non scendere, in tale classifica, non tanto per prestigio, quanto per valuta.
L’Italia, da sempre, fa poco o nulla, continuando a fare affidamento sulla sua buona stella, su un patrimonio artistico e culturale unico, su una notevole varietà ambientale e paesaggistica, su una cucina sana e gustosa, sul buon gusto e lo stile di vita nostrano, sul sole e sul mare. Ma le persone consapevoli e lungimiranti sanno che, per competere oggi e domani, tutto ciò non basta. Noi non facciamo neppure lo sforzo di dedicargli un apposito ministero, affinchè coordini e sviluppi le indispensabili iniziative di promozione all’estero, ma ci limitiamo a trattarlo come un’appendice secondaria di altri ministeri, oggi qua domali là. Per un attimo ho pensato: vuoi vedere che Di Maio, oltre a voler ridurre (magari) i parlamentari, vuole contenere anche i ministeri, con relativo risparmio ? Ennesima delusione: nel governo pentastellati-Pd il numero dei ministri è cresciuto da 18 a 22 perché, checchè se ne dica, la poltrona fa gola a tutti, ad ogni latitudine politica. Ma uno spazio per il turismo non lo si è voluto proprio trovare.
Anche questo governo, che avrebbe dovuto portare cambiamenti ed inversioni di rotta, conferma al riguardo una tendenza ormai consolidata, cioè quella di sballottare questo settore da un ministero altro, impedendogli in pratica di lavorare. Mi spiego. In passato il turismo aveva un dicastero autonomo, assieme allo spettacolo, poi dopo il 1993 divenne una competenza del presidente del consiglio, assegnato di volta in volta ad un altro ministero. Dal 2014 Renzi, e poi in seguito Gentiloni fino al 2018, lo accorparono al Beni Culturali guidati da Franceschini. Nel 2018 Conte 1 lo affidò invece a Centinaio, quale ministro dell’agricoltura, mentre oggi Conte 2 lo ha ceduto di nuovo a Franceschini, ai Beni culturali. Questi continui spostamenti si sono rivelati deleteri, impedendo in pratica di lavorare, in quanto ogni volta occorreva selezionare da capo i funzionari addetti, trovare una sede, spostare uffici ed archivi, fare programmi e progetti, e quando veniva il momento di cominciare ad incidere cadeva il governo ed occorreva ricominciare da capo, su nuove basi. Anche l’accorpamento ad un dicastero piuttosto che ad un altro finisce per incidere sugli orientamenti: ai Beni culturali Franceschini ha sempre spinto per un turismo culturale, mentre all’Agricoltura Centinaio era più orientato verso l’enogastronomia. Il giusto equilibrio risiede nel favorire equamente tutti i comparti del turismo. Infine, sempre senza voler esprimere giudizi politici, conta pure il curriculum umano del ministro: Franceschini, nella prima esperienza Renzi-Gentiloni, ha fatto sicuramente bene, più per la cultura che per il turismo, del quale ultimo sa poco. Centinaio, in un anno, è riuscito ad incidere quasi nulla, ma è stato definito l’unico ministro del turismo davvero competente, forse perché proveniente professionalmente dal settore.
Quindi un ennesimo governo senza un apposito dicastero, con un ennesimo trasloco in programma, vanificando quel poco di buono che era riuscito a fare il predecessore, per il comparto più importante dell’economia italiana, ancora una volta privo di guide e di prospettive, mentre l’occupazione scricchiola ovunque, in Italia ed all’estero. E dire che i problemi al riguardo non mancano di certo. A cominciare da quello macroscopico di Alitalia, azienda da sempre in rosso e sull’orlo del fallimento, che rischia di mandare a casa 12 mila dipendenti (oltre all’indotto); in un anno Di Maio è riuscito a partorire soltanto ipotesi, cioè fumo ma senza arrosto. E se salta la compagnia di bandiera, possiamo scordarci anche la classifica dei viaggiatori stranieri. Un tempo c’era l’ENIT a fare massiccia propaganda all’estero, poi è sparito per mancanza di soldi; ora Centinaio l’ha rimesso in piedi, ma per farlo funzionare occorrono investimenti, cioè proprio quei soldi che mancano. Nell’era del digitale e della rete, l’Italia non possiede neppure un portale turistico multilingue, dove gli stranieri possono informarsi, decidere di venire, prenotare e acquistare servizi: sono dieci anni che ci lavorano, si è mangiato un sacco di quattrini ed il risultato finora è stato nullo. Poi c’è il problema dell’abusivismo: tutti si sono messi a vendere servizi turistici, anche fuori dai canali istituzionali, compresi giornali e blogger, senza fornire alcuna competenza e garanzia, per cui le truffe ai consumatori finali e lo scontento crescono. E tra questi anche i grandi operatori on line internazionali, capaci di guadagnare cifre astronomiche senza pagare le tasse dovute. Basterebbe recuperare quei soldi, per poter finanziare tutte le iniziative di cui sopra, ed altre ancora. Ma non ci pare di intravvedere, ancora una volta, una volontà politica al riguardo. Nell’interesse del paese, speriamo di sbagliarci.
Testo/Giulio Badini – Foto Google Immagini