Dopo due anni di chiusura per il covid-19, con una grande partecipazione di cittadini ha riaperto nel pomeriggio del 28 maggio 2022 il Museo Civico della Preistoria del basso Belìce, nel Castello Grifeo a Partanna (Tp). Tra i presenti il presidente della Regione siciliana Nello Musumeci, l’assessore regionale ai Beni culturali e Identità siciliana, Alberto Samonà e, ovviamente, il direttore del Parco Bernardo Agrò, che con il sindaco di Partanna Nicolò Catania, hanno fatto gli onori di casa. Ma tra i personaggi di spicco non poteva certo mancare Giuseppe Maria Salvatore Grifeo di Partanna, giornalista professionista e tra gli ultimi eredi di questa antichissima e nobile casata siciliana, la cui storia è sempre viva anche attraverso (e non solo) il suo blog, Il Grifone,l’artiglio la penna e la forchetta.
«È stato emozionante essere a Partanna il 28 maggio per la nuova inaugurazione del Museo Regionale a Castello Grifeo – ha detto il Principe -. Un’emozione dettata non solo da quanto stava avvenendo per la migliore valorizzazione del suo contenuto archeologico e artistico, ma anche per il ricordo di quel 28 dicembre del 2007, quando ci fu la prima inaugurazione del Museo ed eravamo presenti in tanti della nostra famiglia, tra cui alcuni oggi non ci sono più. Ricordo che l’incontro tra i partannesi e il Castello diventato centro di cultura, storia diffusa e valorizzazione del territorio, fu una vera festa», ricorda ancora Grifeo.
Il Museo Regionale di preistoria del Belice
Il Museo di Castello Grifeo è sotto la direzione del Parco Archeologico di Selinunte, Cave di Cusa e Pantelleria dal 2019 e fa parte della Rete Museale e Naturale Belicina, nata per conservare e valorizzare il vasto patrimonio di quest’angolo di Sicilia, ricco di storia e inestimabili bellezze naturali. Il nuovo allestimento delle sale espositive è stato realizzato secondo il progetto ideato dal direttore del Parco Archeologico Bernardo Agrò, che lo dirige dal giugno 2019. In particolare, si sono realizzate quattro sezioni che, attraverso un viaggio spaziale diacronico, ripercorrono le fasi della presenza dell’uomo in questi luoghi, da 180mila anni fa al XIX secolo. Grazie a una migliore illuminazione, il percorso espositivo è reso più inclusivo, con racconti e immagini su schermi che spiegano, anche con una audio-guida, la storia di quanto è esposto in ogni sala nelle teche illuminate a led e tecnologia digitale. Valorizzando al meglio i molti reperti già presenti, come quelli provenienti dalle campagne di scavo archeologiche in Contrada Stretto a partire dagli anni ’80 del XX secolo, effettuate dalla Soprintendenza per i Beni culturali di Trapani.
Il sito archeologico di Contrada Stretto e UTC
Il sito neolitico di Contrada Stretto è uno dei principali della Valle del Belìce e ha rivelato molte testimonianze di questa civiltà in Sicilia. Si trova sulla Strada Provinciale Ex Fondo Valle a circa tre chilometri ad est dell’abitato di Partanna, ma se aveste intenzione di visitarlo come ho provato io, rinunciate subito, perché da tempo versa in un vergognoso stato di abbandono. Dai miei lontani ricordi c’è una galleria scavata nella roccia, probabilmente adibita per uso sociale e cultuale; ci sono molte tombe a grotticella (a forma di forno) e a camera (ipogee).
In Sicilia, la più grande e affascinante concentrazione di tombe a grotticella si trova nella necropoli rupestre di Pantalica (Sr), con migliaia di tombe scavate nella roccia dei Monti Iblei, che s’affacciano sulla gola del fiume Anapo, come fossero tanti occhi spenti.
Il principale interesse del sito di Contrada Stretto che ha colpito subito gli studiosi, è stato per il vasto e complesso sistema di fossati e canalizzazioni scavate nella calcarenite (roccia sedimentaria), tanto che alcuni archeologi denominarono Partanna “La città della Civiltà dei fossati”. Si ipotizza che quella rete di canali e cisterne, fosse usata per incanalare le acque del ruscello Binaia fino a valle per l’agricoltura. Molti dei reperti conservati nel Museo vengono proprio da quei fossati e sono compresi in un arco temporale che va dal Neolitico al Bronzo Antico (3400-600 a.C.). Ci sono resti di focolari, tombe, armi, ossa animali e oggetti ceramici, tra cui alcuni vasi del tipo Partanna-Naro e con semplici decorazioni, riferibili dalla facies (aspetto) della cosiddetta Cultura della ceramica impressa (circa VI millennio a.C.)
Tra i reperti esposti nel Museo, se ne trovano anche altri provenienti da alcune necropoli del territorio belìcino, ma non solo. Nel 1998, durante dei lavori nell’Ufficio Tecnico Comunale, venne alla luce proprio sotto l’atrio, un sito preistorico denominato UTC e databile tra fine XV e inizio XIII secolo a.C.
La scoperta avvenne in Corso Vittorio Emanuele, la strada principale, a poca distanza dalla Chiesa Madre di Partanna (XVI sec.), progettata nel 1536 dal Barone Baldassarre Grifeo e consacrata quasi un secolo dopo. Nel sito UTC furono rinvenute tre capanne, numerosi focolari, piastre di cottura e resti di pasti, tra cui varie ossa animali cotte e frammentate; oltre reperti ceramici che lo collocano nella facies Media Età del Bronzo di Thapsos. Quest’ultimo è un sito protostorico siciliano che si trova sulla penisola di Magnisi, nel comune di Priolo Gargallo (Sr), noto per essere stato un importante centro commerciale di scambio greco, nato ben prima della colonizzazione della Sicilia.
Sono quattro le nuove sezioni museali
Passato l’arco d’accesso all’interno della Corte, sulla porta che dà accesso al Salone delle armi, c’è il bassorilievo marmoreo romboidale con lo stemma del Grifone, opera di Francesco Laurana, scultore che nel 1468 ebbe bottega a Partanna e fu anche autore del busto di Eleonora d’Aragona a Palazzo Abatellis a Palermo. Rispetto a prima, il nuovo percorso museale a forma di U inizia sulla destra. Dopo la biglietteria c’è la grande carta amministrativa della Partanna di metà 800 e in successione, sono esposte varie anfore un tempo depositate in locali sotterranei.
Nella sezione dedicata alla preistoria, s’incontrano oggetti e testimonianze che vanno dal Pleistocene al Paleolitico attraversando il Neolitico, con reperti fossili anche di animali un tempo qui comuni come elefanti e ippopotami, scomparsi dal nostro continente dopo la frammentazione della Pangea e la deriva dei continenti. Nelle vetrine sono presenti zanne di elefanti preistorici, crani di animali, utensili vari in pietra, selce e osso, vasi nello stile ‘Partanna-Naro’ e Campaniforme e c’è anche il riposizionamento di una sepoltura. Di particolare rilievo è un cranio trapanato rivenuto nel 1988 in una tomba a grotticella in Contrada Stretto. Probabilmente è appartenuto a un uomo di circa 5mila anni fa e si ritiene che il grosso foro occipitale sia stato un primordiale intervento di pratica magico/chirurgica, eseguito forse per curare un soggetto affetto da malattie mentali. Inoltre, dall’evidente ricrescita ossea presente, è palese che l’intervento fosse stato fatto con il paziente in vita e poi sopravvissuto per qualche tempo.
La sezione Arte medievale e moderna va dal 1400 al XVII secolo e si sviluppa in gran parte in quella che fu la Sala del Trono o Salone delle Feste o delle Armi, a pianta rettangolare e volta reale. La pavimentazione in graniglia e decori tipica del Novecento, ha preso il posto di quella originaria in ceramica siciliana, in piccola parte ritrovata nei sotterranei. Nella pinacoteca troviamo subito un grande polittico (olio su tavola) detto Madonna del Rosario tra Santi domenicani. La pregevole pala d’altare è attorniata da quindici formelle che rappresentano i misteri del Rosario e, in basso ritratti sulla stessa tavola, Eleonora Grifeo e il marito Blasco, che nel 1585 commissionarono l’opera al celebre pittore fiammingo Simone de Wobreck. L’opera è arrivata qui dopo il crollo della chiesa di Santa Maria della Catena (XVII sec.), di cui rimane in piedi solo il campanile di San Francesco dopo il terremoto del 1968. A curare il trasferimento fu l’allora assessore comunale alla Cultura Mimmo De Gennaro, medico e appassionato di storia e cultura locale. L’opera presenta la stessa impostazione iconografica della pala d’altare dipinta nel 1540 da Vincenzo degli Azani da Pavia (1486-1557), che si trova nella Chiesa di San Domenico a Palermo. Un’altra particolarità è che dai lavori di restauro conservativo fatti sulla pala d’altare nel Museo, non sono stati tolti volutamente gli sfregi fatti nel 1910 con un oggetto da taglio da un tale Giliberti, per diverbi avuti con il parroco di allora.
Ci sono cinque quadri olio su tela di grande formato con rappresentazioni religiose, provenienti quasi tutti dalla chiesa di San Nicolò da Tolentino (1646), realizzata per volere di Don Mario III Grifeo, XIX Barone e II Principe di Partanna. Sono tutti d’autore ignoto (forse della scuola trapanese), databili tra XVII e l’inizio XVIII secolo. C’è l’Adorazione dei Magi, un Santagostino tra il cristo risorto e la vergine, San Guglielmo duca di Aquitania, l’Adorazione dei Pastori e un San Gaetano. Ma a caratterizzare la sala, il grande affresco del XVIII secolo che rappresenta la cacciata dei Mori da Mazara del Vallo, riprodotta sullo sfondo con le mura cittadine e la porta detta Arco normanno. In primo piano il Granduca Ruggero d’Altavilla a cavallo mentre uccide il condottiero Mokarta, affiancato da Giovanni I Graffeo col suo scudo con lo stemma del grifone. La stessa scena simbolica è rappresentata nel gruppo scultoreo sul portale della Cattedrale di Mazara del Vallo (XI sec.), sede del primo Arcivescovato d’Italia, ristrutturata a fine XVI secolo dal vescovo della Diocesi Francesco Maria Graffeo. Sempre sulla stessa parete della sala, i resti di un antico affresco a tema floreale rinvenuto casualmente durante precedenti lavori di rifacimento.
Nella sezione etno-antropologica, sono raggruppati diversi oggetti recuperati dal piano seminterrato. Vi sono strumenti di lavoro dei vecchi mestieri come l’antico telaio per tessitura con l’arcolaio, torchi per l’olio e il vino, recipienti in terracotta smaltata, documenti, testimonianze sulla vita della comunità, antiche fotografie, ricostruzioni di epoche successive. Fino alle valigie di cartone usate dagli emigranti per lasciare questa terra in cerca di un futuro migliore. Più avanti troviamo alcuni arredi lasciati dalla famiglia Adragna, che qui visse per circa un secolo, ma nulla a che vedere con quello che ti aspetteresti in un antico castello. Una giustificazione la dà Giuseppe Grifeo, Principe per discendenza nobiliare e giornalista per professione, quando dice che: «Di certo degli arredi, quadri e suppellettili della famiglia Grifeo che erano rimasti nel castello quando fu acquistato dalla famiglia Adragna, al momento del passaggio allo Stato c’era ben poco, come ebbi occasione di vedere personalmente».
La sezione dedicata all’Archivio Grifeo è stata spostata e riorganizzata, con la ricollocazione dei due quadri con gli alberi genealogici del casato redatti a mano, che vanno dall’anno mille al milletrecento e poi fino a oggi. Nel terzo quadro poi, sono raccolti gli stemmi delle famiglie imparentate coi Grifeo.
Ci sono anche 73 antichi tomi dove dal XV secolo all’inizio del 1800 è raccolta la storia di questo maniero. Sono volumi con resoconti sulla gestione dei feudi, lettere di corrispondenza anche con le corti reali d’Europa, sentenze dei giudici, disposizioni militari, matrimoni con conseguenti conferimenti di beni in dote. C’è una vasta raccolta di antiche foto di famiglia, che testimoniano sia la vita nel castello tra la fine 800 e i primi del 900, che quella dei Grifeo in diversi momenti. Tra queste ve ne sono alcune riguardanti le varie residenze possedute e, dalle numerose tracce toponomastiche che fanno riferimento alla loro presenza, è facile capire come questa casata abbia avuto un ruolo molto importante non solo in Sicilia. A Napoli ci sono ancora edifici, vie e parchi a loro riferibili, come a Palermo, Mondello, Caltagirone, Terrasini. Per esempio, il ramo napoletano dei Grifeo-Migliaccio ha lasciato ai posteri bellezze architettoniche come Villa Floridiana con il Parco Grifeo e Palazzo Partanna in piazza dei Martiri. Invece è rimasto ben poco di Palazzo Grifeo a Palermo, dopo il bombardamento alleato nella Seconda guerra mondiale. Si trovava nel quartiere Kalza e dominava piazza Marina. A testimonianza, sulla porzione di facciata ancora in piedi c’è un fregio centrale dove spiccano le immagini degli gli stemmi nobiliari Grifeo e Migliaccio.
Qualche notizia su Partanna e il Castello Grifeo
Partanna (forse dall’arabo ‘Barthamnah’ = Terra sicura) è una cittadina del trapanese con oltre 10mila abitanti. Si trova in una zona ricca di storia e di produzioni vitivinicole ‘Igt’ d’eccellenza com’è la Valle del Belìce, che per i più anziani ricorda il devastante terremoto di metà gennaio 1968.
La strada per arrivarci è piacevole, costeggiata da campi di terra rossa uliveti, viti e agrumeti, con un clima ingentilito da quei 410 metri d’altezza slm. Qui ci devi venire per il piacere, perché non trovi l’attrattiva dell’azzurro mare della Riserva dello Zingaro o di San Vito Lo capo; ma a pochi chilometri ci sono le aree archeologiche di Selinunte e Segesta, ambedue importanti colonie greche.
Il legame tra Partanna e il Castello Grifeo è indissolubile: fu la residenza della casata a cominciare dal 1091, quando la Baronia di Partanna fu donata da Ruggero I di Sicilia al fido condottiero Giovanni I Graffeo (poi Grifeo), per i servigi resi al suo fianco nella cacciata dei Mori. Titolo e feudo poi riconfermati nel 1137 a Giovanni II Grifeo da Re Ruggero II e, con il Privilegio concesso da Re Filippo IV di Spagna nel 1627, Guglielmo I Grifeo divenne il primo Principe di Partanna. Così il castello divenne residenza principesca fino al 1887, quando fu acquistato da Girolamo Adragna Vario barone di Altavilla, la cui famiglia lo tenne fino al 1991, per poi essere rilevato dalla Regione Siciliana-Soprintendenza dei Beni Culturali ed Ambientali di Trapani.
Tempo fa mi trovai con il dott. De Gennaro nella piana che porta a Castelvetrano, zona famosa per la produzione della ‘Cipudda Partannisa’, la cipolla rossa schiacciata di Partanna, che nel mese di luglio viene celebrata con una sagra, che quest’anno va dal 27 al 28 luglio. Guardando attorno mi disse: «Il primo insediamento arabo di quella che diventerà poi Partanna, fu realizzato da queste parti tra il VII e VIII secolo ai piedi dell’attuale abitato e da qui passavano le mura che cingevano la Partanna medievale. Iniziavano da via Zagato, un’antica trazzera che dal nome arabo indicava un luogo ricco di essenze profumate», precisò De Gennaro. Ma quelle mura del XIV secolo sono ormai scomparse.
Contrada Bigini è a poca distanza. Qui ci sono i resti di un edificio che da metà XVI secolo fu anche sede della Santa Inquisizione, ma principalmente la zona è nota per le sorgenti d’acqua. Da qui partiva l’acquedotto fatto realizzare dal XVI secolo dal principe di Castelvetrano Carlo D’Aragona (detto Magnus Siculus) per portare l’acqua in città; ma erano già usate secoli prima per fornire d’acqua Selinunte, la più vasta città della Magna Grecia. E questo grazie a un sistema idraulico che partiva dalla Vasca Selinuntina, scoperta nel 1882 dall’archeologo palermitano Antonino Salinas.
Si tratta di una cisterna di forma cilindrica rivestita con blocchi di pietra arenaria e tufo alla base, di circa 15 metri di diametro e 4 di profondità. Il collegamento con la colonia greca avveniva tramite una canalizzazione di circa 14 chilometri realizzata tra il V e IV secolo a. C., poi distrutta in parte con la rete idrica della colonia nel 370 a.C., da un forte terremoto.
Di quest’opera idraulica ebbi modo di discuterne con la nota archeologa francese Martine Fourmont durante un convegno proprio a Selinunte, perché visitando i sotterranei di Castello Grifeo ero rimasto colpito dalla storia del collegamento (oggi murato) tra la grossa cisterna sotto le ex scuderie con volte a botte (oggi salone per convegni e concerti), le suddette sorgenti e forse, attraverso i lunghi sotterranei del castello usati anche come via di fuga in caso d’assedio, l’acquedotto selinuntino.
Castello Grifeo lo incontri sul versante sudovest venendo dal mare, in posizione strategica tra le valli dei fiumi Modione e Belìce (anticamente Hypsa e Selinus). Costruito su un antico casale arabo dell’XI secolo, un tempo comprendeva anche la vicina Chiesa del Purgatorio, di cui rimane in piedi solo la facciata. Ha la pianta rettangolare a corpo triplo e si dispone su vari livelli, di cui quattro sottoterra, da cui si diramavano misteriosi e bui cunicoli scavati nella roccia. Sotto il giardino ci sono botti gigantesche per il vino da 10mila litri in noce di Slavonia del diametro di oltre 3 metri. Scendendo i primi gradini s’incontra il nevaio scavato nella roccia, usato per conservare i cibi specie in caso di assedio. Sotto ancora locali per usi diversi e porticine, ma principalmente cunicoli misteriosi che portavano verso il buio assoluto.
«La raccolta delle opere d’arte e dei reperti che si sviluppano sotto l’attuale castello e gli altri sotterranei verso la rimanente parte del maniero, rendono Castello Grifeo tutto da godere», dice Giuseppe Grifeo. «Poi c’è la vicina Chiesa Madre, che è uno dei massimi esempi del Barocco Trapanese e dove trova posto un prezioso coro ligneo realizzato dal faber lignarius Antonino Mangiapane e completato nel 1670, dichiarato già in epoca di Regno sabaudo monumento nazionale e sottoposto a tutela dalla Regia Soprintendenza dell’Arte medievale e moderna della Sicilia», dice ancora Giuseppe Grifeo. Ricordando anche che a Partanna ci sono ottime pasticcerie dove assaporare con gusto le squisite granite al limone, che qui sono una specialità. «Che dire di più? – conclude -. Fatevi affascinare dalla sua storia e stupitevi a Castello Grifeo, immaginando le antiche atmosfere. Magari lo farete in compagnia della Monaca, una mia ava sfortunata in vita, uno spirito benevolo che da secoli, dalla sua leggendaria cella incastonata in una torre del Castello, a volte affianca chi percorre quelle antiche sale; e aspettatevi una carezza sulla testa: è il gesto che lei preferisce».
nfo: www.grifeo.it; www.retemusealebelicina.it
Testo/Maurizio Ceccaioni – Foto/Maurizio Ceccaioni – Giuseppe Minaudo