Durante il mio nomadismo tra Milano, Bologna e terra salentina, ho conosciuto l’architetto Bepi de Finis il quale dopo essersi votato all’insegnamento dell’architettura, da Roma si è ritirato a vita semplice e monastica, in Veglie, provincia di Lecce, suo paese natio. Concettualmente intrigante, mi si è presentato qualificandosi come: “ Architettore, pittore, scultore e cantore, megalomane frustrato” e tanto … basta! Durante una delle nostre interminabili, quanto interessanti chiacchierate, sul Barocco leccese, alle volte anche polemiche, mi ha, particolarmente, incuriosito il suo concetto di “doppio corpo architettonico” o, ancor meglio, di “Doppia Anima dell’Architettura”. Mi ha parlato di un’anima nera, di un Corpo, inteso come “ Corpo Abitabile e l’altro, come Corpo Simbolico, dunque inabitabile. Se – continua a sostenere Bepi nel suo discorso – “ il verbo latino habitare è un frequentativo di habeo: Io ho; l’inabitabile, semplicemente significa: “ Non Avere Corpo.”
Nel suo argomentare, racconta che, Alessandro Cappabianca, critico d’arte e di cinematografia, nel 1976, presentava il suo saggio “Distruggere l’Architettura” parallelamente alle sue opere scultoree titolate “Monumenti Neri “ e di quei monumenti, Alessandro, scriveva: […] “ dovremmo chiederci, di fronte al doppio oscuro e inaccessibile d’una porta, al calco opaco d’una finestra, alla traccia solidificata di avvicinamento a una colonna – obelisco, qual è l’anima nera dell’architettura? Se è il miraggio dell’immaginario in quanto illusione d’intero, in quanto forma, in quanto supposta sintesi (funzione – tipo – simbolo), o se è lo spazio dell’inconscio, campo del suo lavoro e della sua decodificazione?” Bepi, aggiunge: “ ma, dunque, cosa può mai esserci dietro una quinta, se non un fantasma? E se, per sua stessa natura, la quinta si fa scenario per la rappresentazione, quella Rappresentazione vivrà solo, a condizione, che almeno un sol essere umano abiti la platea antistante allo scenario che, sottraendosi alla funzione abitativa, si limita a fare da cassa di risonanza al discorso che il potere ha voluto rappresentare.
Sono troppo incuriosita e un po’ affascinata dal discorso del mio amico Bepi, che continua a professare, il suo credo architettonico, con sì tanto fervore, che decido di intervistarlo per saperne di più sul Barocco leccese.
Cos’è il Barocco leccese per l’architetto Bepi De Finis?
“Il Barocco leccese, è Cosa altra, rispetto a quello che è da intendersi per spazio architettonico e piega barocca borrominiana; esso, a differenza del primo, si fa quinta pomposa, ammaliante scenario plateresco, che un già tardo potere ecclesiastico, rispetto a quello romano, volle per meglio rappresentare la sua Controriforma.”
Bepi, da cocciuto salentino, sarcasticamente, ancora aggiunge: “ ma allora, perché non sottoporre a un’Inquisizione, se pur laica, gli architettori che, in quel periodo, operarono a Lecce? E inquisire, innanzi a tutti, sì, proprio loro: Gabriele Riccardi e Francesco Antonio Zimbalo, compreso Cesare Penna, lo scultore complice che realizzò la parte alta della facciata di Santa Croce su disegno dello stesso Zimbalo.” Il Barocco, si articola intorno a degli interrogativi fondamentali che mi sono, da sempre, posto più con un intento filologico – formale, che per un giudizio estetico. Sono nella totale convinzione che un giudizio estetico sull’arte barocca non possa essere espresso né da un architetto contemporaneo (molto condizionato dalla formazione culturale “post – razionalista”; “post – moderna”; “de – costruttivista”; e “Minimalista”) né da un critico d’arte d’impostazione arganiana che, quindi, credendo nel “darvinismo linguistico” dell’Arte, non può che considerare l’arresto evoluzionistico della forma, un incontestabile momento di Krisis. In conseguenza di tali considerazioni, di quell’importantissimo momento storico, che amo definire “La Grande Metafora secentesca”, mi limiterò a una “filologia formale” e filologicamente rimango nella convinzione che sia improprio definire Barocca l’architettura dell’Italia meridionale del XVI e del XVII.
Ritengo che sia anche criticamente corretto distaccare il rivoluzionario “concetto spaziale dell’architettura barocca” dalla mera “mimetica” decorazione, quella che Benedetto Croce condannò, senza mezzi termini, definendola: “ […] una sorta di brutto artistico, e come tale, non è nulla di artistico, ma anzi, al contrario qualcosa di diverso dall’arte, di cui ha mentito l’aspetto e il nome, e nel cui luogo si è introdotto o si è sostituito”. È pur vero che codesta “metafora secentesca” spesso si è avvalsa, e sempre compiaciuta, di sterili e retoriche combinazioni intellettualistiche e dell’accostamento di figure della più svariata natura, al solo fine di creare stupore e meraviglia.
In un mondo iperconnesso e turistico di quale Arte parliamo, di quella…“Decadente”?
Ho sempre considerato la “Decadenza” una categoria essenzialmente morale che non ammette quantificatori di tipo economici, tantomeno presunti valori formali. Lo stesso Croce, così critico verso quel “Brutto artistico”, essenzialmente attribuì la stupidità di quel secolo alla Controriforma, un movimento del tutto politico, il cui obiettivo fu unicamente la difesa della Chiesa Cattolica.
Perchè, ancor oggi, è data al Barocco una connotazione negativa quando invece, nel bene e nel male, è stato l’emblema di quella grande “Rivoluzione Culturale Secentesca” che ha costituito, concettualmente il vero inizio dell’era moderna?
E’ noto che Il termine “barocco” ha una doppia origine, chi lo lega al portoghese barroco ( spagnolo barrueco ) con il significato di “perla irregolare” e chi lo riferisce ad un sillogismo scolastico, del tutto formale ed inutile chiamato, appunto: “Baroco”. In entrambi i casi, s’indica qualcosa di negativo. Già alla fine del Settecento, tanto in Francia che in Italia, il “Barocco” diventa sinonimo di “bizzarro”, “stravagante” soprattutto in rapporto all’arte e all’architettura. Il Barocco è di dubbio gusto, continua Bepi, solo perché si oppone al gusto classico o perché è stata una reazione politica settecentesca, soprattutto francese, verso uno stile delle Corti e dei salotti aristocratici e, come tale, dopo la rivoluzione doveva necessariamente essere distrutto in nome di un ideale neo – classico?
Certamente, questo spiega perché si dovette aspettare la fine dell’Ottocento, con l’Impressionismo e l’Espressionismo, per fare assumere al termine Barocco un valore nuovo e descrivere una trasformazione profonda non solo del gusto, ma di tutti gli ordini Rinascimentali. Basti pensare che, ancora oggi, una donna eccessivamente ingioiellata e imbellettata si definisca: “ Barocca”; com’è quasi luogo comune dire: “ Bella donna ma, quel suo gusto barocco, la rende quasi pacchiana.” Spesso, la stessa connotazione negativa si dà quando riferendosi alla casa di un amico, si commenta: “ bellissima casa, peccato che quello sfarzo baroccheggiante dell’arredamento la rende proprio di cattivo gusto.” E’ dunque chiaro che, al di là della maldicenza e dell’invidia, il “Cortocircuito Concettuale” di chi considera il Barocco sinonimo di eccessivo, sovrabbondante, addirittura pacchiano, avviene in chi non solo ignora il vero senso dello Spirito barocco, ma anche perché ignora la giusta separazione che, per uno studioso, è doveroso fare, tra il “barocco classico”, per ben intenderci, in pittura: Caravaggio (1571 – 1610) e il “tardo barocco” di Luca Giordano, che già prelude al Rococò.
Per quanto riguarda l’architettura, è altrettanto doveroso evidenziare la grande differenza che c’è tra la nascita, a Roma, del Barocco borrominiano (S. Carlino alle quattro fontane 1638 – 1641; S. Ivo alla sapienza 1642 – 1662) e le architetture “Tardo Barocche “ del Vanvitelli (reggia di Caserta; 1752 – 1845). Per non parlare del “Tardo Barocco Tedesco” dell’architetto Johann Neumann, progettista del santuario dei Quattordici Santi (1743 – 1772) chiesa, dalla facciata tardo barocca, e dagli interni certamente Rococò. Altra grande confusione è quando si confonde la Sinuosità, le Curve, le Pieghe Barocche, con i trasbordanti fronzoli del “Plateresco” (stile artistico spagnolo risalente al XV e al XVI secolo) o con i fronzoli del Tardo Barocco, o Barocchetto, o con le, non tanto più eleganti, decorazioni del Rococò di corte. Che sia chiaro: fronzoli, ghirlande, gravide cornucopie, e sinuosi intrecci, con il “Barocco Classico” hanno poco da spartire. Chi confonde codeste “merletterie” è come se confondesse: l’Impero con il Basso Impero, la Rivoluzione con la Reazione, la Riforma con la Contro Riforma, o confondesse “Eros” con “Porneia”.
In Spagna, (1475 – 1525) la maniera fiammeggiante del Gotico venne a tradursi in quello stile, non solo architettonico, denominato: “ Stile Isabella “, chiamato in spagnolo (Gòtico isabelino), o tardo Gotico Castigliano. Vigorosamente si fuse con lo stile “ Mudèjar ”, per poi durare più di un mezzo secolo, in seguito all’influsso del gusto rinascimentale italiano, si configurò una nuova fastosa, eccessiva, ibrida, forma d’arte che prese, appunto, il nome di stile “Plateresco”. Vale la pena soffermarsi, anche un solo istante, sullo stile “Mudèjar” e notare come esso sia la prosecuzione dello stile cosiddetto Mozarabico. L’arte mozarabica si riferisce all’arte sviluppata dagli ispanici cristiani che vivevano nel territorio musulmano durante il periodo che va dall’invasione musulmana (711) sino alla fine dell’XI secolo. In Portogallo si afferma lo stile “Manuelino” o “Tardo Gotico”, uno stile Composito molto sontuoso che fiorisce nel primo decennio del XVI secolo. Lo stile sintetizza aspetti del Tardo Gotico con lo stile Plateresco spagnolo e alcuni elementi dell’architettura italiana e fiamminga. Quest’annodarsi dello “Stile Isabella” al Mudèjar al Plateresco e all’Arte Mozarabica e a quello Manuelino ben spiga quell’eccesso decorativo, quella sovrabbondanza trasbordante di forme, di chiara derivazione spagnola, musulmana, gotico – catalana, e addirittura normanna che caratterizza e influenza fortemente l’architettura dell’Italia meridionale, soprattutto quella della Puglia e della Sicilia. Quello che è più difficile da comprendere è il grossolano errore, storico – stilistico, commesso dagli storici, di considerare l’Architettura dell’Italia meridionale, tra il XVI e il XVII secolo, influenzata dal Barocco anziché dallo stile “Tardo Gotico”, quanto dal “Gotico Catalano” e da quello portoghese. Così, la maggior parte dello stile architettonico leccese, palermitano o messinese, che già tra loro presentano delle notevoli differenze, vengono, erroneamente a parer mio, definite “Barocche”, quando potrebbero essere, più correttamente, essere definite di stile “Plateresco”; per non parlare anche dei numerosi esempi dei Portali “Catalano – Durazzeschi, simboli della moda architettonica del Rinascimento Meridionale.
Nel Salento, il portale del castello di Copertino ne rappresenta uno splendido esempio. Mi chiedo, quanti frettolosi o distratti visitatori, abbiano pensato che quel Portale, splendido merletto scolpito nella tenera e bianca pietra leccese, fosse un esempio di quello che, erroneamente, è definito “barocco salentino” o quanti possano definire Barocco, il settecentesco portale “tardo barocco”, se non più propriamente, “rococò”, dell’attuale palazzo Robertini – Leuzzi, in Galatina, ed ancora, come definire la Basilica di Santa Croce? I lavori di costruzione della Basilica cominciarono nel 1353 per volere di Gualtiero de Brienne, conte di Lecce. Cacciati gli ebrei che occupavano lo spazio urbano dove sarebbe sorta la basilica, si diede inizio ai lavori nel 1549 per poi essere terminati nel 1952.
La facciata della basilica, proprio quella indicata come “ il miglior esempio del barocco leccese ” fu terminata nel 1606 cioè prima che il Borromini in S. Ivo alla Sapienza (terminata nel 1662), giungesse a quel concetto di architettura, poi solo nel settecento definito barocco, che voleva la rottura della scatola muraria. Un’architettura che fosse un’esplosione spaziale, apertura prospettica, in nome di un nuovo concetto architettonico che non separasse più lo spazio esterno da quello interno, e come ben spiega Giulio Carlo Argan in “Progetto e Destino” : ” […] un’architettura, che non si considerasse più un’arte metepsica, che crea e non rappresenta, si sottintende sempre a differenza della pittura e della scultura, che sono arti mimetiche […] ma si giungesse al concetto di un’architettura non più pensata come aderente ai bisogni come una scarpa al piede, ma all’architettura – musica e architettura -messaggio, rivelatrice delle supreme leggi del mondo”.
Bruno Zevi, in “ Saper vedere l’Architettura ” (1948) dice: “ Il barocco è liberazione spaziale, è liberazione mentale dalle regole dei trattatisti, dalle convenzioni, dalla geometria elementare e dalla staticità, è liberazione dalla simmetria e dall’antitesi tra spazio interno e spazio esterno.” Tuttavia, Zevi rileva che, fondamentalmente, apprezzare la grande rivoluzione barocca, non è solo da intendere come capacità culturale di condividere la fantasia, la mutevolezza, l’asimmetria, il disordine, delle forme, ma è soprattutto intendere una realtà che vuole lo spazio interno modellato da quello esterno, spazi in rigorosa corrispondenza biunivoca, un’Erotica Compenetrazione di spazi. Giulio Carlo Argan, sempre in “ Progetto E Destino “ dirà del saggio, “ Saper Vedere L’Architettura”: “ […] c’è tuttavia, nel libro di Zevi, un aspetto non soltanto didattico e orientativo ma metodologico; e vale senza dubbio la pena di esaminarlo anche al di là dei limiti nei quali l’ha contenuto, per bisogno di chiarezza applicativa, l’autore. […] Lo spunto originale è dato da un concetto di “ spazio interno “, ch’è assunto come discriminante tra architettura e non – architettura, o tra arte e edilizia “. A ragione, sentenzierà, ancora Zevi : “l’architettura bella sarà quella che ha uno spazio interno che ci attrae, ci eleva, ci soggioga spiritualmente; l’architettura brutta sarà quella che ha uno spazio interno che ci infastidisce e ci repelle. La cosa importante è stabilire che tutto ciò che non ha spazio interno non è architettura.” Ora, la facciata di S. Croce si erge come solenne, quanto piatta, quinta di uno spazio basilicale edificato a croce latina e un soffitto a cassettoni ( rifatto nell’ottocento ) copre la navata centrale. Le volte delle navate sono sostenute da diciotto colonne e nel quadrivio d’intersezione dei due bracci della croce s’innalza una cupola. Il tutto su di uno schema architettonico dalla direttrice umana dello spazio cristiano.
Dove ritrovare in S. Croce lo spazio barocco, cioè quella perfetta corrispondenza tra spazio esterno e interno che tanto caratterizzò la grande architettura barocca borrominiana?
Questo interrogativo è estendibile per quasi tutta l’architettura salentina tra il XVI e Il XVII secolo. Forse la risposta c’è data sempre da Bruno Zevi per tutto quello che ci dice in “Saper Vedere L’Architettura“ io, soltanto, aggiungerei: più che vedere realmente, bisogna imparare a sentire l’estetica delle Arti. “Sentire”, da aisthetikòs deriv. di aisthànomai : io percepisco. Io percepisco ogni arte, da quella musicale a quella architettonica, attraverso le mie sensazioni, ma sempre con la consapevolezza che solo con l’approfondimento storico e filosofico posso appropriarmi dell’ambivalenza insita in ogni espressione artistica, capirne l’arbitrarietà del segno ( linguaggio lessicale – operativo iconico ) e il piano delle motivazioni profonde, dell’inconscio ( linguaggio affettivo – coinemico ).
Franco Fornari, indica con il termine “coinema“ le strutture elementari, le più piccole unità di significato degli affetti e, in stretto riferimento alla teoria psico – analitica , il linguaggio coinemico parte necessariamente dal sogno, ma al fine che il sogno possa essere raccontato è necessario che il sognatore sia sveglio. E nel XVI secolo il sognatore più sveglio era proprio la Chiesa. Solo nella logica di questo senso posso comprendere che definire l’architettura leccese barocca, facesse proprio parte di quel sogno ecclesiale che desiderava far identificare il popolo più con la cultura europea che con quella orientale – bizantina, che dopo la caduta di Costantinopoli costituiva una minaccia. Una cultura, dunque, che ancora riconosceva e s’identificava negli assolutismi, compreso quello di Romana Chiesa e che tanto aveva voluto e tanto aveva elevato l’arte barocca a emblema della controriforma. Possiamo, in estrema sintesi, affermare che, come la riflessione filosofica ha da sempre sostenuto, l’opera d’arte non è mero oggetto di percezione visiva, tantomeno solo oggetto dipendente dal proprio sentire, ma è, soprattutto, un problema di natura Intellettuale e in questa logica del senso che, a mio parere, va inteso il “Barocco Classico” quello più tardo. Se il primo, fu espressione di una Riforma, il secondo fu espressione di una manipolatoria Controriforma. Se Il primo libera da regole, canoni, vincoli morali, il secondo re – introduce, cerca, e a tutti i costi, di trasformare un sistema di segni iconici in un indelebile sistema di segni coinemici. Più semplicemente: se il “Libertino” cova sempre l’ovo barocco, il “libertino salentino”, dopo aver covato l’ovo Tardo Barocco, ancor oggi, corre a pagare le indulgenze che lo libereranno da ogni senso di colpa, d’essere libertino.
Il primo è un Libertino Barocco; il secondo un Libertino Tardo Barocco quanto Levantino.
Arnold Hauser, nella sua insuperata “ Storia Sociale Dell’Arte “ osservò : “ Come il Gotico, il Manierismo era un generale fenomeno europeo, sia pure limitato a sfere più ristrette rispetto all’area cristiana medievale; il Barocco invece comprende in sé tendenze artistiche così divergenti, così variamente configurate nei singoli paesi e nelle singole sfere culturali, che si dubita di poterle ridurre ad un denominatore comune.” Per tanto, non solo per amor di battuta, definirei il Barocco Leccese: “Il Barocco della Curia Leccese”. Quel “Barocco” che dopo la caduta di Costantinopoli (1453) introiettò non solo una cultura levantina, ma non volle mai ammetterlo. Ancora oggi, il salentino contemporaneo, rimane segnato da un ipocrita perbenismo da controriforma, rimuovendo le sue più piccole unità mnestico – affettive blocca ogni sua emancipazione culturale facendolo oscillare tra Roma e Istanbul.
In conclusione: Le uniche chiese leccesi che potrebbero rientrare, nell’architettura tardo barocca sono Santa Chiara, ma soprattutto San Matteo progettata da Achille Larducci, nipote di Borromini. Il Larducci, imposta la facciata sul modello di S. Carlino alle quattro fontane in Roma. La prima pietra della chiesa di san Matteo è posta nel 1667 ma la chiesa sarà terminata solo nel 1700.
Come dunque intendere correttamente la vera essenza barocca, dalla cultura filosofica all’estetica, dal costume alla pittura e all’architettura?
La grande rivoluzione barocca inizia fondamentalmente perché il Seicento con la filosofia di grandi pensatori come Hobbes, Locke, ma soprattutto Leibniz e Spinoza, cerca di dare risposte concettuali in alternativa alla cosmologia medioevale e all’antropocentrismo dell’Umanesimo. Si muta fondamentalmente il concetto dello spazio, sia inteso come spazio – temporale, della propria esistenza, quanto spazio pittorico che spazio architettonico. Nel Seicento (il Grand Siècle) muta il modo di guardare. Si giunge a una concezione molto diversa, dall’illusionismo prospettico rinascimentale, basato sulla geometria euclidea, e su quella certa e rassicurante simmetrica centralità dell’immagine dell’uomo vitruviano, ora si passa a una visione laterale, strabica, uno strabismo che ci può generare anche una visione anamorfica, quella visione che ribalta i significati in significanti, io non guardo più la cosa ma dalla cosa sono guardato. È il ribaltamento totale dello sguardo rinascimentale che ha sempre rappresentato la centralità dell’uomo, come : “misura di tutte le cose”. Ora la centralità dell’uomo nell’universo è profondamente messa in discussione. Copernico, Keplero, Galilei, hanno una risonanza sconvolgente e già spinto l’uomo verso una situazione di smarrimento e di relativismo destabilizzante. L’uscita di scena, sul piano politico, dell’Italia non corrisponde con la perdita di quadri culturali e artistici presenti in una città come Roma alla quale già si cerca di dare una struttura di capitale. Gian Lorenzo Bernini, detto “il cavaliere” è chiamato a Parigi da Luigi XIV nel 1665 per esprimere un giudizio sulla città e dunque dare suggerimenti architettonici utili per la capitale parigina. Il cavaliere, forse anche con poco tatto, fece sapere al sovrano che Roma aveva ben altro aspetto di Parigi: “ […] a Roma si poteva ammirare San Pietro, il Campidoglio, Palazzo Farnese, Monte Cavallo, il Palazzo di San Marco, il Colosseo, la Cancelleria, Palazzo Colonna […] situati qua e là, e tutti grandiosi e di una parvenza magnifica.” Sempre Anna Ottavi Cavina, ci ricorda che Roma, per prima aveva attuato quella riorganizzazione di spazi, quel tracciato monumentale di strade, grandi piazze, palazzi, che saranno il lascito dell’architettura barocca. Un’architettura essenzialmente urbana, che intendeva rappresentare il valore ideologico dello Stato nazionale nascente. In Italia, dove lo stato nazionale non è ancora realtà, il mecenatismo dei papi attribuisce a Roma un ruolo primario. Roma non è più una corte locale, ma il centro del mondo di fede cattolica e il luogo della sua organizzazione politica. Qui il fasto, la teatralità, l’ostentazione della ricchezza sono strumenti di propaganda nella strategia di espansione della Chiesa cattolica dopo il concilio di Trento. Seguendo il filo della cronologia, le linee di tendenza nel XVII secolo non seguono per nulla percorsi paralleli. All’inizio le posizioni più radicali sono quelle che pongono un nuovo rapporto con la tradizione classica ( Carracci ) e con la realtà ( Caravaggio ). Tuttavia, la morte di Caravaggio ( 1610 ) e la dittatura culturale dei Barberini con l’avvento al soglio pontificio di Urbano VIII ( 1623 ), iniziano a cancellare, dalla scena romana, la corrente naturalistica caravaggesca, e la grande rivoluzione architettonica e scultorea del Bernini e del Borromini cui viene preclusa la strada delle commissioni pubbliche importanti per lasciare spazio a quello che amo definire: “il Tardo Barocco della Curia di Romana Chiesa” quel composito, ed eclettico movimento artistico che alla mistica spiritualità paleocristiana aveva volgarmente saputo sostituire un trasbordante, ingombrante, forse, anche pagano, “Corpo” Tardo Barocco.
Testo/Anna Maria Arnesano – Foto/ Nicola Gennachi e Maurizio Ceccaioni