Iran, l’antica Persia, un nome che evoca civiltà sorte e scomparse in un mondo dagli spazi sconfinati. Visitare oggi l’Iran significa ritrovarsi catapultati in un paese moderno, ma con radici ben piantate nel passato. La più straordinaria fra le antiche civiltà persiane è sicuramente quella universalmente conosciuta come “Età Achemenide” e che costituì il fulcro del drammatico incontro/scontro fra oriente e occidente, caratterizzato da una lunga serie di guerre di conquista che coinvolsero le civiltà del Mediterraneo, dall’Egitto alla Grecia. Tutto ebbe inizio nel 550 a.C. quando Ciro il Grande, dopo anni di conflitti, sconfisse Astiage, il re dei Medi e ne saccheggiò Ecbatana, la capitale con tutti i suoi tesori. In seguito a quel violento evento Ciro prese possesso dell’intero impero medo, espandendone i confini ben oltre il suo territorio. Da questa conquista derivò la potenza dell’impero achemenide che si estese per circa due secoli. Nel contempo lo stesso Ciro decise di fondare una propria capitale, Pasagarde, a quasi 2000 metri sul livello del mare nel vasto plateau desertico iraniano, situata a una novantina di Km a Nord dell’attuale città di Shiraz. Ciò che resta di Pasargade è oggi ben poca cosa se confrontata a quella che doveva essere la grande città saccheggiata dalle armate di Alessandro Magno, dalla furia invasiva di altre popolazioni entrate in scena dopo la morte di Alessandro e dai devastanti movimenti sismici che regolarmente colpiscono il suolo iraniano. Ma ciò che più sorprende a Pasargade è la tomba stessa di Ciro, miracolosamente giunta fino a noi nonostante le conquiste macedoni e l’invasione mongola. Il monumento superò indenne anche l’avvento dell’Islam, grazie al fatto che in quel periodo circolava la diceria che si trattava della “Tomba della Madre di Salomone” (Qabr-i-Madar-i-Sulaiman). Certamente il monumento è unico nel suo genere ed è visibile da grande distanza. Una piattaforma solitaria in mezzo alla pianura, costituita da massi squadrati posizionati in sei gradoni sulla quale si eleva una sorta di austero sarcofago realizzato con blocchi di calcare giallastro dalla copertura spiovente. Secondo la tradizione, dopo la sua morte avvenuta in battaglia contro gli Sciti Massageti, Ciro fu qui sepolto all’interno di una bara d’oro dotata di un ricco corredo funerario.
Retrocedendo in direzione sud, verso Shiraz, per circa quaranta Km, sorge il luogo archeologico forse più famoso di tutto l’Iran: Persepoli. Fu Dario I, imparentato con Ciro da una linea parallela di sangue, che salì al trono dell’impero persiano dopo una complicata serie di rivolte e faide familiari per ottenere il potere. La dinastia achemenide ebbe una durata di circa 230 anni. In questo periodo di tempo si alternarono sul trono di Ciro sovrani dai nomi leggendari, Cambise, Dario, Serse, Artaserse ecc., ognuno dei quali diede il proprio contributo al proseguimento della dinastia.
Una volta al potere, Dario I decise di fondare una propria capitale e con questo obiettivo fu selezionata una località situata all’estremità di una enorme pianura circondata da alture e rilievi montuosi. Il luogo prescelto era caratterizzato da uno sperone roccioso presente alle pendici di una collina oggi chiamata Kuh-o-Ramat (Montagna della Misericordia). Gli architetti di Dario adattarono lo sperone, livellando e asportando circa 125.000 m² di roccia, per ottenere un grande terrazzamento sul quale costruire il primo palazzo/fortezza di Persepoli. Ciò che sappiamo oggi dell’antica capitale è dovuto principalmente allo straordinario lavoro compiuto negli anni ‘30 del secolo scorso dalla Missione Archeologica Americana dell’Oriental Institute, facente capo all’Università di Chicago. Gli scavi, condotti per quasi un decennio con grande dispendio di uomini e mezzi, rivelarono le complesse strutture che un tempo sorgevano sulla Grande Terrazza di Persepoli, e riuscirono a stabilire con sorprendente esattezza la cronologia e l’appartenenza dei vari edifici. A oltre ottant’anni di distanza la documentazione scientifica pubblicata dall’Oriental Institute costituisce a tutt’oggi una fonte di informazioni preziosa e indispensabile per studiare e comprendere il sito.
Nel periodo del suo massimo splendore Persepoli era caratterizzata da una serie di palazzi reali, edifici di rappresentanza, magazzini, quartieri domestici e militari, oltre alle altre strutture tipiche di ogni residenza imperiale. La terrazza era raggiungibile da una monumentale scalinata che rappresenta anche attualmente il primo punto d’accesso alle rovine. In cima alla scalinata si eleva l’imponente e cosiddetta “Porta di Serse”, meglio conosciuta come “Porta di tutte le Nazioni”, attraverso la quale un tempo si accedeva ai vari settori. Il grande portale è caratterizzato da sculture raffiguranti tori guardiani che stilisticamente rimandano alla tradizione assira; essi proteggono l’ingresso occidentale mentre una coppia di uomini/toro sorvegliano quello orientale. Sopra ai grandi colossi all’interno della porta vi sono iscrizioni dedicatorie trilingui (Persiano Antico, Elamita e Babilonese) fatte apporre da Serse. Oltre la Porta delle Nazioni il primo edificio che si incontra è la cosiddetta “Apadana” o “Sala delle Udienze”. Si tratta del maggior edificio di Persepoli, iniziato da Dario I e completato da Serse. In origine la sala era dotata di 72 colonne ma oggi ne sono sopravvissute solo 13. L’accesso alla struttura era consentito da due monumentali scalinate scolpite e decorate con bassorilievi raffiguranti i “Portatori del Tributo”, vale a dire i rappresentanti delle 23 popolazioni soggette all’impero, condotti davanti al sovrano da funzionari militari e dignitari di corte, Persiani, Susani e Medi. Spostata verso est, accanto all’Apadana, sono visibili i resti della “Sala delle Cento Colonne”, così chiamata dall’effettivo numero di pilastri di cui era dotata, o meglio indicata come Sala del Trono. La realizzazione di questa struttura fu iniziata sotto il regno di Serse che al pari di altre caratterizzarono l’intensissima attività edilizia favorita da questo re. Gli archeologi che scavarono la Sala del Trono presto si resero conto che in realtà doveva trattarsi di un edificio particolare, nel quale venivano esposte le enormi ricchezze accumulate a Persepoli dai vari sovrani, alla stessa maniera in cui i moderni Scià utilizzavano il palazzo Gulistan a Teheran per esibire i tesori dell’impero. Oltre l’Apadana e la Sala del Trono a Persepoli si sono conservati anche i resti delle residenze dei singoli re (vedi planimetria). Così abbiamo il Palazzo di Dario I, Il Palazzo di Serse, l’Harem di Serse, ecc. Naturalmente esistevano una quantità di altri ambienti di servizio, come gli alloggi per la servitù e gli acquartieramenti per la guarnigione.
Nel 1935 gli archeologi americani iniziarono a scavare nel settore individuato come “il Tesoro”. Una serie di ambienti racchiusi da un poderoso muro di cinta alto undici metri per uno spessore di due e mezzo. Ciò che venne alla luce rivelò inequivocabilmente quale era stato il destino di Persepoli negli ultimi giorni della sua esistenza. Le truppe di Alessandro Magno giunsero qui verso i primi di febbraio del 330 a.C. Dopo aver costretto la guarnigione persiana comandata da Tiridate ad arrendersi senza combattere, penetrarono nella reggia e presero possesso dell’intera Grande Terrazza. Tremila soldati si attestarono nei palazzi reali e subito diedero inizio al saccheggio di tutto ciò di valore su cui porre le mani. Il tesoro confiscato venne valutato in oltre 120.000 talenti d’oro e d’argento. Narra Plutarco che il bottino era così imponente che per trasportarlo da Persepoli a Ecbatana fu necessario l’impiego di diecimila muli e cinquemila cammelli. Ma la misura non era ancora colma. Qualche tempo dopo, nel corso di uno dei tanti festini tenuto dai macedoni ubriachi, accadde l’irreparabile. Scrive lo storico romano Curzio Rufo nella sua Historiarum Alexandri Magni Macedonis: “… Anche il re si dimostrò più bramoso che temperante: “Perché dunque non vendichiamo la Grecia e non diamo alle fiamme la città?” Tutti si erano riscaldati per il vino; perciò si alzarono ubriachi per incendiare la città, che in armi avevano risparmiato. Per primo il re appiccò il fuoco alla reggia, poi i commensali, i domestici e le cortigiane. La reggia era stata costruita con gran quantità di cedro, che, innescato il fuoco, propagò rapidamente l’incendio. Quando l’esercito, che era accampato non lontano dalla città, lo vide, credendolo fortuito, accorse in aiuto. Ma quando si giunse al vestibolo della reggia, videro il re in persona che portava delle torce. Abbandonata dunque l’acqua che avevano portato, iniziarono anch’essi a gettare nell’incendio materiale infiammabile. Questa fine ebbe la reggia di tutto quanto l’Oriente …… E non risorse più, nemmeno nel lungo periodo che seguì la sua distruzione…. I Macedoni si vergognavano che una così splendida città fosse stata distrutta da un re gozzovigliante. Pertanto la cosa fu presa sul serio, e si costrinsero a credere che doveva esser distrutta particolarmente in quel modo. Risulta che egli stesso, appena la calma gli restituì la ragione, dopo esser stato annebbiato dall’ebbrezza, si sia pentito ed abbia detto che i Persiani avrebbero pagato un fio maggiore ai Greci, se essi fossero stati costretti a guardarlo sul trono e nella reggia di Serse”.
E gli archeologi dopo 2300 anni trovarono le tracce di quell’incendio. Le travi bruciate e crollate dei soffitti avevano lasciato la loro impronta attraverso i corridoi e contro le sculture. Sui pavimenti erano ancora presenti i cumuli di cenere lasciati dai pannelli di cedro dati alle fiamme. Centinaia di vasi con decorazioni e iscrizioni erano stati ridotti in frantumi e sparsi ovunque. Frammenti di splendide statue di marmo abbattute giacevano qua e là nelle antiche sale distrutte dai soldati macedoni. Le tracce del saccheggio erano talmente evidenti da spingere uno degli archeologi ad affermare: “… sembrava che le truppe di Alessandro se ne fossero andate da pochissimo tempo …” Se possibile, tuttavia, il rogo ebbe anche un unico riscontro positivo. Infatti negli archivi del Tesoro erano immagazzinate più di duemila tavolette d’argilla cruda, sulle quali c’erano iscrizioni in carattere cuneiforme elamita. Il calore sviluppato dall’incendio ebbe l’effetto di cuocerle, preservandole così fino ai giorni nostri. In esse sono riportati innumerevoli atti amministrativi ed economici, che svelano particolari importanti della vita quotidiana persiana in epoca achemenide. Riassumendo, è altamente probabile che Persepoli non fosse una vera e propria città come la intendiamo oggi, ma una reggia, una sorta di residenza imperiale stagionale. Nei mesi della cattiva stagione, quando le tempeste degli altipiani impedivano la comunicazione con le provincie occidentali, è impensabile che il re rimanesse isolato a Persepoli senza contatti con l’esterno. In questa ottica dobbiamo ricordare che l’impero persiano comprendeva città come Susa e Babilonia, potenziali capitali d’inverno assai più adeguate per amministrare il potere.
Ancora una cosa merita di essere ricordata dell’area archeologica di Persepoli: la necropoli reale. Sei Km a Nord di Persepoli, sulla strada principale che collega Shiraz con Pasargade, si incontra lo stupefacente sito di Naqs i Rustam, il luogo di sepoltura con le tombe rupestri dei più famosi sovrani achemenidi. I sepolcri furono realizzati sulla parete a strapiombo di una falesia rocciosa dalle caratteristiche uniche. Le tombe si aprono nella viva roccia all’interno di un profondo ed enorme intaglio a forma di croce, al centro del quale un ingresso conduce alle camere sepolcrali. Gli ipogei reali sono quattro e partendo da destra a sinistra furono rispettivamente approntati per Serse I, Dario I, Artaserse I e Dario II. Sulle impressionanti facciate vi sono scolpiti bassorilievi e iscrizioni in caratteri cuneiformi che rimandano ai loro costruttori. L’interno è scavato a volta e nei vari ambienti si conservano i loculi, intagliati direttamente nella roccia di base, che furono predisposti per i sovrani e per i loro familiari. Quando le truppe di Alessandro Magno invasero il territorio, le tombe subirono il medesimo saccheggio patito da quasi tutti i luoghi conquistati. È necessario però precisare che a Persepoli, sulla collina alle spalle della Grande Terrazza, sono presenti altre due tombe dello stesso tipo di quelle realizzate a Naqs i Rustam. Con tutta probabilità erano dedicate ad Artaserse II e Artaserse III, sebbene non si abbia la certezza assoluta, essendo prive di iscrizioni dedicatorie specifiche. Nei pressi esistono i resti di un’ultima tomba reale: si tratta delle strutture di un sepolcro incompiuto che gli archeologi ritengono fosse in corso di realizzazione per Dario III. Ma l’invasione della Persia da parte delle armate di Alessandro e le conseguenti sconfitte di Dario nelle battaglie di Isso e Gaugamela (Arbela), causarono l’interruzione dei lavori e l’abbandono della tomba. Le vicende belliche che portarono all’assassinio a tradimento di Dario III avvenuto nel giugno del 330 a.C. da parte di Besso, satrapo della Battriana (Battra), di fatto decretarono l’estinzione della dinastia Achemenide. Alessandro, assai contrariato dall’omicidio di Dario, catturò e fece giustiziare l’infido Besso e ordinò che il corpo dell’ultimo re persiano fosse inviato a Susa per ricevere sepoltura. Così in quei giorni d’inverno di ventitré secoli fa, si compì il destino di una delle più fastose residenze reali del mondo antico. Oggi, la magica atmosfera del tramonto getta una luce dorata sulle ultime vestigia di una grande civiltà, celata nelle pieghe della storia.
Testo/ Claudio Busi – Foto di Angelo Cecchi e Oriental Institute University of Chicago