Può sembrare strano e curioso, ma uno dei siti più importanti del nord-Italia per lo sviluppo della religione, della storia e dell’arte tardo-romana ed alto-medievale risulta racchiuso in un luogo lungo in tutto 600 m e largo 200, con un perimetro di due km ed una superficie inferiore ai 12 ettari. Si tratta dell’Isola Comacina, unica isola di tutto il Lario a brevissima distanza dalla costa occidentale del lago di Como in comune di Tremezzina, oggi interamente ricoperta da rigogliosa vegetazione mediterranea dove predominano ulivi (come punto più settentrionale di produzione), tigli, allori, bagolaro, carpino nero e gelso, al centro di un minuscolo comprensorio di elevato valore paesaggistico e turistico che raggruppa in breve spazio il Sacro Monte di Ossuccio (sito Unesco) e l’Antiquarium alloggiato nell’antico hospitalis de Stabio (1169), nonché i capolavori artistici conservati nelle stupende ville Carlotta e del Balbianello, dalle sculture del Canova ai quadri di Hayez, ai letterati Pellico, Berchet, Giusti e Manzoni. Le prime testimonianze di frequentazione umana di questo scoglio totalmente roccioso e montuoso risalgono all’epoca romana e paleocristiana, costituite da un colonnato marmoreo rinvenuto sotto la chiesa di San Giovanni Battista, forse i resti di un tempio o di una villa, quando fu importante oppi dum militare fortificato con castello, case e un gran numero di chiese cinto da alte mura. La nuova religione si affermò nell’area lariana a fine del IV sec, grazie all’opera del vescovo di Como Abbondio, che estirpò il paganesimo fino alla Valtellina; e la Comacina divenne sede episcopale. In epoca tardo-romanica, nel tentativo di arginare l’avanzata dei popoli barbarici, la città di Como assunse il ruolo di avamposto per la difesa di Milano, divenuta sede dell’imperatore romano d’Occidente Massimiliano. Il Lario, area di notevole importanza strategica per i collegamenti commerciali e militari con il centro Europa, venne presidiato da una flotta al comando di un prefectus che governava anche Como. E qui nacque il plurisecolare conflitto che avrebbe contrapposto le due città, concluso poi soltanto con la distruzione di entrambe. L’isola scelse già allora di schierarsi con la lontana Milano, e fu l’inizio delle sue disgrazie. Essa divenne ben presto un elemento fondamentale di un sistema di avamposti difensivi, baluardo di resistenza contro i Longobardi come la definì Paolo Diacono. La sua fama di imprendibilità si accrebbe nel 589, quando il comandante bizantino Francione la tenne per ben 20 anni, e si arrese soltanto dopo un assedio durato sei mesi; era l’ultimo bastione bizantino a nord del Po. In seguito divenne il comodo rifugio per quanti si ribellavano ai dominatori longobardi: nel 594 il duca di Bergamo Gaidulfo, sollevatosi contro re Agilulfo, e poi di Ansprando antagonista di Ariberto nel 701.
Fu in questo periodo che divenne famosa anche in lontane contrade, fino al Lazio ed al centro Europa, per l’opera plurisecolare dei cosiddetti Maestri comacini, una corporazione di artigiani edili specializzati (muratori, stuccatori e artisti dotati di apposite attrezzature (cum machinis, o anche cum macinis) attiva nell’edilizia fin dal VII-VIII sec. tra Como, il Canton Ticino e la Lombardia, a cui si deve la diffusione dell’architettura e dell’arte romanica altomedievale. Nei secoli successivi (XII-XIV) furono anche chiamati Maestri campionesi; Campione è un’altra località e su un altro lago (quello di Lugano), ma a due passi dal Lario. E poi a quell’epoca l’isola Comacina come tale non esisteva già più.
Como era decisamente più debole di Milano, e dei suoi numerosi alleati anche lariani, ma anche sicuramente più forte della minuscola isola; eppure, nonostante si sarebbe tolta volentieri questa spina dal fianco, non poté mai farlo per non provocare le vendette e gli interventi milanesi. Un lusso che riuscì a permettersi soltanto poche volte, in occasione della venuta in Italia degli imperatori germanici, alleandosi con loro. Fu così nel 951, quando arrivò Ottone I di Sassonia, imperatore del Sacro Romano Impero, e Waldo vescovo e signore di Como assediò il ribelle Berengario II re d’Italia e i conti suoi alleati. Il conflitto si acuì ulteriormente, togliendo ogni spazio alle trattative, fino a sfociare nella cruenta Guerra dei Dieci Anni (1117-1127), approfittando della presenza italiana dell’esercito di Federico I di Svevia, il Barbarossa. Sconfitti una prima volta alla Breggia, gli alleati si salvarono dal duro assedio comasco solo perché nel 1127 Milano conquistò e distrusse Como. La vendetta e i conti finali erano però soltanto rimandati. Nel 1162 infatti il Barbarossa conquistò Milano, consentendo mano libera ai comaschi che nel 1169 rasero completamente al suolo l’Isola Comacina, abbattendone anche tutte le chiese (e meritandosi così la scomunica papale). Un decreto imperiale del 1175 ne vietava qualsiasi tipo di ricostruzione, accompagnato da un analogo anatema da parte del vescovo comasco Vidulfo. I pochi abitanti superstiti si trasferirono in altre località, in particolare a Varenna, e da quel momento l’isola uscì definitivamente dalla storia, per entrare nella leggenda. Milano e gli altri liberi comuni suoi alleati, confluiti nella Lega Lombarda guidata dal Carroccio, in un estremo gesto di orgoglio italico misero in fuga a Legnano l’imperatore germanico, che non fece mai più ritorno in Italia.
Narra una leggenda locale che nel 1435, dopo sette anni di eccezionale maltempo in un golfo famoso per il clima perennemente temperato, San Giovanni apparve in sogno ad un tessitore di Campo, tal Marinoso, indicando che sotto un albero di noci avrebbe trovato i resti della chiesa a lui dedicata, distrutta nel 1169. Da allora ogni anno l’ultimo sabato di giugno si festeggia il santo patrono con una processione di reliquie portate in barca e con un suggestivo spettacolo pirotecnico che vuole ricordare l’incendio operato dai comaschi alleati al Barbarossa, mentre sulle acque del golfo galleggiano migliaia di lumini a candela.
L’isola si raggiunge in 10 minuti di barca (le Lucie, le caratteristiche imbarcazioni lariane di manzoniana memoria), partendo dall’imbarcadero ubicato sotto l’Antiquarium presso la chiesa medievale di Santa Maria Maddalena, ubicata lungo la statale 340 strada Regina e riconoscibile per il curioso campanile squadrato gotico. Si solca la Zoca de l’Oli, così chiamata con riferimento alla principale produzione locale, e al fatto che in quel tratto il lago risulta tranquillo e poco profondo. Dall’imbarcadero ad occidente una rete di sentieri in salita tra la vegetazione porta ai resti degli scarsi edifici sopravissuti, messi in luce da scavi archeologici condotti negli anni 1912-13 da Ugo Monneret de Villard e poi quelli terrestri e subacquei dell’architetto Luigi Mario Belloni negli anni 1958-1979. L’edificio maggiore sulla sommità è costituito dalla chiesa paleocristiana biabsidata di San Giovanni Battista, il santo patrono, risalente al V secolo, con vasca ottogonale per il battesimo, quando era sede episcopale; la più antica è una casa-torre quadrata tardo-romana di difesa poi usata come campanile; a fianco quanto resta della basilica romanica di Santa Eufemia a tre navate e tre absidi con cripta e portico antistante. Al centro e ad ovest si incontrano le fondamenta delle chiese di Santa Maria in portico (XII sec.), di San Pietro in Castello (1129), e del monastero benedettino femminile dei santi Faustino e Giovita. Le tombe hanno restituito scheletri di adulti e bambini apparentemente appartenenti a due diversi gruppi etnici. Forse Romani e Longobardi ? A sud-ovest, dietro al bar e al ristorante- locanda, si incontrano tre curiose costruzioni moderne, le case per artisti, erette tra 1933 e 1937 dall’architetto locale Pietro Lingeri nello stile razionalista dell’epoca, usando secondo gli insegnamenti di Le Corbusier materiali tradizionali locali come la pietra di Moltrasio, legno di castagno e tetti a piode, ma anche moderno vetrocemento, con forme semplici e lineari ben inserite nel paesaggio e nella luce., per garantire funzionalità e essenzialità. Il loro scopo è quello di ospitare temporaneamente artisti che vi vogliano soggiornare per produrre opere in un contesto di estrema tranquillità e suggestione. L’isola venne infatti regalata nel 1917 dall’ultimo proprietario al re del Belgio Alberto I, il quale la donò allo stato italiano che ne affidò la gestione all’Accademia milanese di Brera attraverso la Fondazione Isola Comacina.
E dopo tanta Storia, una piccola storia che sa tanto di suggestione. Come conseguenza della distruzione del 1169, per quasi otto secoli l’isola rimase completamente disabitata. Poi, nel 1948, a tre amici del posto viene l’idea di costruirvi un ristorante, sfidando l’antico editto del Barbarossa.
Sono Sandro De Col, campione di motonautica, l’industriale serico Carlo Sacchi e Lino Nessi, detto il Cotoletta. Ma i lavori procedono a rilento, interrotti più volte da misteriosi accadimenti, finchè due dei tre soci muoiono in breve tempo di morte violenta. Fatalità ? A qualcuno tornano in mente le parole dell’anatema di Vidulfo, che gravano da sempre su quel lembo di terra: “Non suoneranno più campane, non si metterà pietra su pietra, nessuno vi farà più l’oste, pena la morte violenta”. Chiunque si sarebbe arreso all’evidenza, non il nostro che, su parere di una medium inglese, compì un rito propiziatorio con il fuoco – come scrive la figlia Albertina nel libro “L’isola che c’era” – e le forze avverse si placarono. Da oltre mezzo secolo la locanda ha sfamato generazioni di turisti da ogni dove, e tra questi un elenco incredibile di personaggi illustri, capi di stato, politici, attori, cantanti, sportivi e gente di spettacolo, italiani e stranieri, tutti trattati dall’oste in ugual maniera. Ma ancora oggi ogni pranzo si conclude con uno strano miscuglio, un caffè corretto al liquore e zucchero cotto in un pentolone sul fuoco, mentre suona una campanella. L’antidoto scovato dal Catoletta contro la maledizione del vendicativo vescovo di Como ?
Testo / Foto : Giulio Badini