Considerata uno dei borghi più belli d’Italia, Acerenza si trova a 70 chilometri dalla più famosa Matera, a 833 metri di altitudine. Venne fondata intorno al X secolo come insediamento militare normanno contro l’avanzata dei turchi per diventare in seguito un’importante zona di passaggio per i templari diretti in Terrasanta, che qui hanno anche lasciato molte testimonianze archeologiche e simbolismi. Ma se il passaggio dei Poveri cavalieri di Cristo, come amavano definirsi (che poi tanto poveri non erano, ma questa è un’altra storia), è attestato ormai in quasi ogni borgo del sud Italia, a rendere Acerenza unica è la presenza, nella sua cattedrale, di numerosi simboli, indizi e testimonianze archeologiche insolite in un edificio cristiano. Uno dei rarissimi casi in cui sacro e profano si fondono in un’atmosfera perfetta per un qualsiasi romanzo di Dan Brown o Clive Cussler.
Le dimensioni dell’edificio, del tutto sproporzionate rispetto al resto del borgo, sono la prima cosa che si nota, con i suoi 70 metri di lunghezza e 23 di larghezza, e qui si capisce perché molti definiscano Acerenza la “Città-cattedrale”. Già dalla facciata sappiamo di trovarci davanti a un edificio unico nell’architettura cristiana. Sopra all’arco di entrata si vede l’emblema di un Dragone sovrastare per rango quello della famiglia Ferrillo, che abbiamo già incontrato a Napoli nel complesso Santa Maria la Nova durante le nostre ricerche della tomba di Dracula, mentre le basi delle colonne laterali, al posto dei classici putti, arcangeli o simboli sacri, raffigurano creature deformi che mordono due figure umane sul collo, anche se alcuni vi vedono due scimmie nell’atto di accoppiarsi con donne. L’edificio, stupendo, è stato costruito intorno all’anno mille sui resti di un precedente tempio paleocristiano dedicato a Ercole Acheruntino, e non stiamo qui a dirvi altri particolari storici, poiché all’interno si trovano vari pannelli descrittivi e, nel dubbio, si può sempre chiedere agli abitanti del borgo, sempre gentilissimi. L’edificio in sé è pieno di riferimenti religiosi ed esoterici interessanti, tra arcangeli, epigrafi, statue, simboli e tombe, tra cui in particolare quella di San Canio di Atella (al quale, insieme a santa Maria Assunta, è dedicata la cattedrale), interessante figura di vescovo, avventuriero e martire.
Nato a Iulia dalle parti di Cartagine, San Canio, vescovo di stanza in Africa nel 292, venne arrestato sotto l’imperatore Diocleziano nel corso delle persecuzioni ai cristiani e, poiché si rifiutava di adorare gli idoli pagani, fu condannato a morte dopo numerose torture. Nel giorno previsto per la decapitazione, intorno al vescovo si verificò una serie di improvvisi e violenti fenomeni naturali tra cui un terremoto, una forte grandinata e, giusto per non farsi mancare nulla, persino un uragano, che molti interpretarono come segni divini. Vista la pessima aria che tirava, il prefetto di Cartagine decise quindi di liberare il vescovo, mettendolo in fretta su una barca diretta il più lontano possibile dall’Africa. Giunto in Campania, Canio si dedicò a una vita di guarigioni, alcune delle quali considerate miracolose, per morire infine ad Atella, dove venne sepolto in un piccolo tempio fatto costruire apposta dal vescovo Elpidio. Dopo qualche tempo le spoglie di Canio furono trasferite nella cattedrale di Acerenza all’interno di un sarcofago nella navata destra. E qui non si fermano gli aneddoti curiosi legati alla presenza del vescovo.
Sulla parte sinistra del sarcofago di san Canio c’è infatti una piccola finestrella di vetro, da dove si può vedere il suo pastorale. Leggenda vuole che in certe occasioni, quando il sarcofago viene sfiorato, il bastone si muova all’improvviso in direzione del vetro, soprattutto in presenza di fedeli che si sono appena confessati o dotati di animo semplice e puro. Chi scrive evidentemente non lo è, poiché il bastone in questo caso non si è mosso di un millimetro. Ma per trovare i riferimenti e i simboli più interessanti di questa storia dobbiamo scendere nella cripta, dove gli affreschi, le colonne, il soffitto e i bassorilievi rimandano ai vampiri, alla Romania e a numerosi altri argomenti che non ci si aspetterebbe mai di trovare in un luogo di culto cristiano. La prima parte di questa storia l’abbiamo raccontata nel reportage “Napoli e il mistero della tomba di Dracula”, dove accennavamo ad Acerenza come luogo legato al conte Giacomo Alfonso Ferrillo e alla moglie Maria Balsa, figlia del voivoda Vlad “Tepes” Hagyak III, meglio conosciuto come Dracula. Riprendiamo da dove ci eravamo fermati.
Nel 1476 Vlad Tepes, a quel tempo potente voivoda delle zone comprese tra Serbia e Romania, decise di mettere in salvo la sua unica figlia femmina, Maria Zaleska, dalle incursioni turche allora piuttosto frequenti nell’est Europa. La fanciulla, scortata dalla vedova del condottiero albanese Giorgio Castriota Skandeberg, viene poi adottata a Napoli da una nobildonna sotto la protezione diretta del re della città, Ferdinando “Ferrante” d’Aragona, a quel tempo esponente di primo piano dell’Ordine del Dragone, una sorta di lega di mutuo soccorso creata per contrastare l’ invasione dei Turchi e di cui faceva parte anche Vlad Tepes. Dopo essersi ambientata piuttosto in fretta, la fanciulla cambiò il suo cognome in Balsa (dai Balcani, secondo la teoria più verosimile) e sposò un nobile locale, il conte Giacomo Alfonso Ferrillo, ricevendo come dono di nozze alcuni terreni nel sud Italia e in particolare ad Acerenza dove, con l’aiuto del marito, tra il 1920 e il 1524 decise di far restaurare a proprie spese il duomo, danneggiato dal terremoto del 1476.
Nell’occasione i due fecero anche costruire la cripta, che costituisce la parte più interessante di questa storia. La sala è piccola, se confrontata ad altre cripte ben più monumentali in Italia, ma in proporzione alle dimensioni contiene una tale concentrazione di simboli e indizi che bisogna dedicarle il tempo che merita. Gli affreschi laterali e i bassorilievi, tra l’altro, rappresentano S.Andrea patrono della Romania e Santa Marina di Antiochia che sconfigge un dragone, mentre una Madonna con Bambino, e l’effigie di un uomo barbuto, sembrano addirittura voltare le spalle all’altare centrale (quindi, nella simbologia, a Dio stesso). Per contro, le immagini di Maria Balsa e del marito Ferrillo sono rivolte direttamente verso l’altare, come a simboleggiare che qui dentro i due sono gli unici con la coscienza pulita. A proposito della testa barbuta, decisamente insolita in mezzo ad effigi e immagini di santi, angeli e personaggi biblici, molti credono si tratti del volto dello stesso Vlad Tepes. Una teoria che, considerando il contesto in cui ci troviamo, sembra avere una certa coerenza. Ma la parte più interessante, qui dentro, riguarda le colonne, i cui capitelli e basi riportano molti altri simboli assenti in altri esempi di architettura religiosa. Tra teste di demoni ed epigrafi dedicate a Maria Balsa e Giacomo Ferrillo, un bassorilievo molto interessante in una delle colonne raffigura in modo inequivocabile il demone Lilith che, guarda caso, nella simbologia biblica ebraica rappresenta il primo vampiro della storia, e qui viene raffigurata persino con il ventre gravido.
Ma non solo vampiri. Acerenza, come quasi tutti i borghi più antichi nel sud Italia, è stata anche una terra di passaggio per i crociati che si dirigevano in Terrasanta, inclusi quei cavalieri templari che sembrano non mancare mai quando si parla di simboli e misteri archeologici. In particolare si dice che da queste parti, più di preciso a Forenza, sia nato il fondatore stesso dell’Ordine del Tempio, Hugues de Payns, figlio di una coppia di signorotti locali, Pagano ed Emma de Paganis. La teoria, che deriva da ambienti neo-templari, massonici ed esoterici e non è riconosciuta ufficialmente da archeologi e storici, si basa su una lettera inviata dallo stesso Ugo a suo zio, contenente riferimenti sulla Terrasanta e sui cavalieri Templari. Queste ipotesi, come quelle del XVII che collocavano la nascita di Payns a Nocera Inferiore (anticamente Nocera dei Pagani), ha evidenti lacune, tra cui le date che non coincidono con la storiografia ufficiale dei Templari, il fatto che tutti i fondatori dell’Ordine fossero in verità francesi e la totale mancanza di interesse da parte di archeologi e storici professionisti. Senza contare che l’Ugo dei Pagani di Forenza, o di Nocera, potrebbe essere stato un semplice omonimo del più famoso fondatore dell’Ordine del Tempio. Tornando a ipotesi più verosimili, tra i molti simboli dei Templari custoditi nella cattedrale, la cripta ne contiene due molto interessanti. L’effigie della testa barbuta, di cui abbiamo già parlato poco sopra, che molti studiosi identificano anche con il Bafometto, una figura che i templari furono accusati di adorare (sembra che il vero Bafometto fosse la Sindone, ripiegata in modo da mostrare solo il volto di Cristo). Inoltre in fondo alla cripta, sotto a un sarcofago vuoto, si trova una scala in bassorilievo, con tanto di scritta INRI, collegata a una piccola finestra che secondo una teoria conterrebbe, nientemeno, il Sacro Graal.
INFORMAZIONI: Al momento in cui scriviamo la cattedrale è aperta tutti i giorni dalle 9.30-13.00 e dalle 16.00 alle 19.00. L’ingresso all’edificio è gratuito, ma per illuminare la cripta per alcuni minuti bisogna attivare un sistema di illuminazione al costo di un euro.
La cattedrale è ancora attiva e vi si tengono i normali uffici religiosi (è in grado di ospitare 1200 fedeli). Per visitarla è meglio informarsi prima sugli orari delle messe o su eventuali funerali e matrimoni.
Per chi vuole approfondire, il Museo Diocesano di Acerenza espone alcuni degli oggetti provenienti dal tesoro della cattedrale.
Testo/foto Emiliano Federico Caruso