A Bologna e dintorni la Grotta del Farneto gode di notevole considerazione, e assai di più ne godeva fino ad una trentina di anni fa, quando era di libero accesso, prima che alcuni crolli dovuti alla preesistente attività di cava ne alterassero la morfologia dell’ ingresso, imponendo dal 2008 soltanto visite guidate. Non si tratta della cavità più grande, e tanto meno la più bella (nulla a che vedere con le consorelle calcaree, adorne da stupende e curiose concrezioni alabastrine) tra le oltre duecento grotte presenti negli affioramenti gessosi situati sulle colline attorno al capoluogo felsineo. Il Farneto, esplorato per un chilometro di lunghezza, costituisce il tratto terminale, un’imponente risorgente semifossile di un consistente complesso idrico-carsico che interessa due delle enormi doline presenti alle spalle della grotta. Essa deve però la sua notevole popolarità non a ragioni speleologiche, bensì al fatto di aver funzionato per un secolo da palestra di ardimento per diverse generazioni di giovani bolognesi, soprattutto maschietti. Ubicato in una zona diruta e selvaggia sulle sponde del torrente Zena, pur a due passi dalla città (ci si poteva andare anche a piedi o in bici), costituiva la valvola di sfogo per frotte di ragazzini esuberanti ed adrenalici, i quali affrontavano la visita con le attrezzature più approssimative ed impensabili, come se dovessero avventurarsi con Verne al centro della terra.
Venne scoperta nel 1871 da Francesco Orsoni, giovane borghese allievo della scuola geologica del Capellini con villa di famiglia nelle vicinanze, di idee socialiste ed appassionato di storia patria, come veniva chiamata allora la paletnologia. Assunse subito una notevole fama quando l’Orsoni vi individuò un ingente deposito archeologico risalente all’Eneolitico (età del Rame), attestante una prolungata frequentazione in epoca preistorica. La caverna iniziale venne attrezzata per le visite turistiche, con esposizione dei reperti rinvenuti, e vi iniziò un regolare afflusso di pubblico, tra i quali spiccano i nomi di intellettuali concittadini come Carducci, Pascoli, Panzacchi, Rubbiani, Zanichelli e altri, afflusso proseguito poi in tutti i decenni successivi quando, dopo la morte dello scopritore, la grotta venne abbandonata a se stessa: ogni giovane bolognese si sentiva in dovere di dimostrare la propria virilità compiendovi almeno una visita nella vita, e il Farneto divenne fucina per generazioni di speleologi, compreso il sottoscritto.
Nella casa colonica situata a fianco della grotta, oggi sede del Parco dei Gessi, nel 1895 nacque Luigi Fantini, grande naturalista e speleologo, fondatore del Gruppo Speleologico Bolognese e attivo ricercatore del suo Appennino, il quale a fianco dell’ingresso scoprì la caverna del Sottoroccia, contenente una necropoli preistorica intatta, i cui reperti sono oggi in parte esposti al Museo Civico di Bologna ed al Museo della Preistoria Luigi Donini (altro speleologo formatosi al Farneto) di San Lazzaro di Savena.
Un altro momento di intensa frequentazione del Farneto da parte dell’uomo avvenne, ma per tutt’altra ragione, durante l’ultimo anno dell’ultima guerra, quando la cosiddetta Linea Gotica, tra tedeschi in ripiegamento e truppe alleate in lento avanzamento, sostò per parecchi mesi da quelli parti. Per gli abitanti di Bologna sfollati dalla città per sottrarsi ai massicci bombardamenti alleati, tesi a distruggere il maggior nodo ferroviario italiano, in cerca di alimenti dai contadini locali, per i partigiani attivi nella zona e per i rastrellamenti dei nazisti le grotte, ed il Farneto in particolare, divennero un comodo e spontaneo rifugio, dove ripararsi al tepore invernale ed al fresco estivo. Come accertato da un’apposita indagine compiuta in passato dal GSB-USB sugli ultimi sopravvissuti, avvenne che parecchie decine di persone vi soggiornò per periodi più o meno lunghi, protetti dalle accoglienti tenebre, ingegnandosi a rendere il meno scomodo possibile la loro permanenza, come l’illuminazione della grotta pedalando su una bicicletta per produrre l’energia.
Oggi, con le visite guidate e l’adattamento artificiale dell’ingresso, hanno tolto alla grotta la sua secolare funzione di palestra salgariana di ardimento per i giovani adrenalinici petroniani, ma una volta indossato il caschetto resta intatto il fascino dell’ambiente ipogeo, dove i cristalli di gesso brillano alla luce delle pile ed occorre evitare il volo zigzagante dei pipistrelli, nonché l’importanza di un luogo che in un passato lontano e recente ha offerto ospitalità ai nostri progenitori. E proprio per rievocare le modalità dell’ultimo soggiorno umano, la compagnia teatrale bolognese Fraternalcompagnia, specializzata in teatro sociale e civile utilizzando ragazzi di strada con problemi, organizza una serie di spettacoli – Le Grotte della Memoria – della durata di un’ora all’interno della grotta, con il pubblico spettatore (massimo 20 persone) coinvolto nella ricostruzione storica e scenica. Al termine della rappresentazione visita della cavità con guida di uno speleologo che ne illustrerà le caratteristiche geologiche, e proiezione del documentario “Finchè la guerra non sarà passata”, sullo stesso argomento. Le manifestazioni avverranno per tutta l’estate 2018, a sabati alterni (16 e 30 giugno, 14 e 28 luglio, 25 agosto e 2 e 16 settembre) con ritrovo alle ore 16,30 presso i il Parco dei Gessi, via Jussi 171, loc. Farneto, San Lazzaro di Savena. Il costo 15 euro a persona, visita, spettacolo e filmato.
Info e prenotazioni: tel. 349 29 70 142, info@fraternalcompagnia.it – www.fraternalcompagnia.it –
Per le visite normali alla Grotta rivolgersi al Centro Visite Casa Fantini, tel. 051 62 54 821,
www.enteparchi.bo.it/parco.gessi.bolognesi – info@parcogessi@enteparchi.bo.it –
Testo/Giulio Badini– Foto/Google Immagini