E’ stato amore a prima vista. Fin dal primo sguardo, le atmosfere sospese nel tempo, i cieli blu cobalto screziati da nuvole imbizzarrite, uomini e donne legati a culture e storie antiche, i contrasti tra le rocce ed i ghiacci dell’Himalaya, i deserti d’alta quota punteggiati da antichi monasteri buddisti e l’energia vitale e turbolenta del fiume Indo, che da qui inizia la sua lunghissima corsa verso l’Oceano Indiano, mi hanno fatto innamorare del Ladakh. Era il 1985, viaggiavo da solo ed allora arrivare fin qui rappresentava una autentica avventura. Il turismo, che una ventina d’anni dopo ha scoperto questo ultimo regno buddista nascosto tra le montagne, non esisteva ancora. E il Ladakh, luogo a quel tempo difficile da localizzare anche sulle mappe, formava un sogno mormorato a bassa voce da pochi avventurieri.
Da Srinagar all’Himalaya
Lasciate le immaginifiche atmosfere di Srinagar e gli scenari da fiaba del lago Dal, capaci di evocare la grandiosa ricchezza degli imperatori Moghul, avevo chiesto un passaggio ad uno dei primi camion della Indian Oil che, alla fine di maggio tentavano, in convoglio, di forzare le barriere di neve provocate dalle slavine lungo i fianchi rocciosi del Fotu-La, un passo ad oltre 4000 metri di quota. Durante i lunghi mesi dell’inverno himalayano, il Ladakh rimaneva totalmente isolato, ed anche d’estate raggiungere in volo Leh, la sua capitale, rappresentava soltanto un’ipotesi. I pochi aerei che saltuariamente la raggiungevano, dovevano volare superando a vista valli e contrafforti himalayani, e la presenza del monsone sul versante sud della muraglia di rocce e ghiaccio più alta ed estesa del pianeta finiva per essere la causa primaria dei frequenti annullamenti del volo. Arrivare nel “Piccolo Tibet” via terra costituiva la soluzione più certa, ma non meno pericolosa… la strada che collegava il Kashmir al Ladakh era un tratturo sterrato, spesso largo meno delle ruote dei camion, la quale per trecento chilometri si inerpicava tra immani pareti rocciose a strapiombo sulle acque ruggenti dell’Indo. Sui dirupi ghiaiosi emergevano, in continuazione, gli scheletri contorti degli automezzi che non avevano avuto la fortuna di godere della protezione degli dei…
Ai confini del Mondo
Molte altre volte sono tornato in questo luogo, dove i profili aspri delle montagne graffiano il cielo. A causa degli attriti con il Pakistan, che avevano reso estremamente pericoloso il transito attraverso il Kashmir, alla fine degli anni ’90 gli indiani hanno realizzato un’impresa impossibile, tracciando un’altra strada carrozzabile che da Manali, superando la catena dell’Himalaya, arriva in Ladakh da sudest; nel frattempo anche i voli aerei si sono fatti più sicuri e frequenti, sviluppando un consistente flusso turistico. Sempre in quel periodo, la maggioranza dei commercianti musulmani del Kashmir (reso impraticabile al turismo a causa dei frequenti casi di terrorismo islamico) è migrata in Ladakh, il quale resta comunque l’unico stato a maggioranza buddista di tutto il subcontinente indiano.
Anche quest’anno, accompagnando un gruppo Nikon School di appassionati fotografi “aspiranti fotoreporter”, sono tornato qui, in occasione di due importanti eventi del buddismo tibetano: il Phyang Tsedup, nel monastero di Phyang, ed il Korzok Gustor sulle sponde del Lago Tsomoriri, a 4522 metri di quota nel cuore dell’altipiano tibetano.
Per un appassionato di fotografia e culture umane, il Ladakh foma una sorta di Eden dove scoprire le anime più autentiche delle popolazioni di alta montagna, legate dal potentissimo collante dell’appartenenza alla filosofia buddista. Dopo la disfatta del Tibet e della sua cultura millenaria, cancellata dall’invasione cinese, questo piccolo paese è rimasto l’unico depositario del buddismo tibetano, sincretismo religioso di dottrine antiche basate sul rapporto tra gli uomini e gli ambienti estremi delle valli himalayane. Qui vivono ancora, nascosti e protetti in luoghi spesso inaccessibili, i “segreti” dell’antica religione Bon, precedente al buddismo e da questo “assorbita”. Stagliati sull’ocra del deserto, o sul blu cobalto del cielo, i “Gompa” – così si chiamano i monasteri buddisti tibetani – rappresentano il fulcro della società rurale. Non solo luoghi di culto, sono vivaci centri di aggregazione per le popolazioni delle vallate che dalla piana dell’Indo si inerpicano nel cuore di pietra e ghiaccio delle montagne.
La magia dei riti Cham
Le radici del buddismo, in gran parte comuni all’induismo, risalgono ad epoche remote in cui le forze della Natura, in ogni loro espressione, venivano considerate divinità capaci di cambiare, in meglio o in peggio, la vita degli uomini. Nella filosofia tibetana, sviluppata sulle pendici delle grandi montagne himalayane dove la Natura risulta ancora protagonista incontrastata, e determina le sorti degli uomini che ci vivono, il rispetto ed il timore per gli elementi naturali, considerati “demoni” buoni o cattivi, costituisce ancora la base della spiritualità. E gli antichi rituali celebrati ogni anno nei monasteri del Ladakh hanno proprio il compito di allontanare i demoni cattivi ,e garantire un periodo di pace. Nelle corti dei “Gompa”, i monaci inscenano danze rituali mistiche, che simulano il combattimento tra gli spiriti del bene e le forze del male.
Abbigliati con sgargianti costumi colorati ed enormi maschere sacre, dalle fattezze mostruose, per due giorni eseguono complicate scenografie al ritmo dei tamburi, corni, trombe e gong. Creando una suggestione sensoriale impossibile da descrivere con parole ed immagini. I riti Cham sono una pratica tantrica e, agli osservatori più attenti, ricordano la costruzione geometrica, a cerchi concentrici, del “mandala”, il disegno spirituale che induce alla meditazione. La ritualità delle danze e dei movimenti, vecchi più di 1300 anni, viene tramandata in segreto dai monaci anziani ai più giovani, ma recentemente è stato lanciato un allarme sulla conservazione di queste complesse pratiche religiose; la scarsità di vocazioni monastiche che ha caratterizzato gli ultimi vent’anni mette, purtroppo, in serio pericolo la sopravvivenza dell’antichissima tradizione delle danze Cham.
6 Agosto 2019 – in diretta mentre cambia il Mondo
Oggi dovremmo rientrare a Delhi, ma è una strana mattina. A Leh si trova l’unico aeroporto di questa regione tra le montagne, e base militare strategica per truppe ed armamenti che presidiano i confini, perennemente “caldi”, col Pakistan a nordovest, e con la Cina a est. Fin dall’alba un insolito caos di aerei da guerra che decollano e atterrano in continuazione mi ha messo in allarme, ma è quando vedo stagliarsi nel cielo la sagoma gigantesca di due C-17 Globemaster, i mastodontici velivoli da trasporto tattico usati solo in momenti di emergenza, che inizio a preoccuparmi ! «Problem. Big problem ! Have closed the borders of Kashmir…» “hanno chiuso il confine col Kashmir” mi sussurra Govinda, la nostra guida locale, il quale nel frattempo mi ha raggiunto nella hall dell’hotel dove alloggiamo. Da ore alla televisione il Primo Ministro Modi sta spiegando ad un miliardo e trecento milioni di indiani, nonchè al mondo intero, come l’autonomia del Kashmir non esista più. Un decreto del Congresso da lui governato, ha cancellato in un solo colpo tutte le concessioni garantite da settant’anni all’unico stato dell’India a maggioranza musulmana.
Il conflitto infinito
La guerra tra India e Pakistan, che si trascina dal 1947 per la sovranità nella regione del Kashmir, rappresenta il frutto avariato del “taglio cesareo” perpetrato dall’agonizzante Impero Britannico (esattamente come accaduto tra Egitto e Sudan, nel continente africano) in un’area già eccitata da conflitti etnici e religiosi. All’epoca dei negoziati, nonostante la maggioranza della popolazione fosse musulmana e naturalmente orientata ad aggregarsi ad uno stato islamico come il Pakistan, il Maharaja Hari Sing, che regnava sul principato del Kashmir, scelse la confederazione indiana, in cambio dell’autonomia e molte altre importanti concessioni. Il Pakistan non ha mai accettato quella scelta, ed in questi settant’anni ha cercato, con ogni mezzo – compreso il finanziamento dei gruppi terroristici e separatisti islamici locali – di sollevare la popolazione kashmira contro il governo di Delhi. Dando luogo ad una guerriglia più volte sfociata in conflitto aperto.
Stato di guerra
A seguito della decisione indiana, in meno di ventiquattr’ore il Pakistan ha schierato le sue divisioni corazzate lungo il confine conteso, e minaccia apertamente un attacco per “riprendersi” il Kashmir qualora il governo indiano non recedesse dalla sua azione unilaterale. Ma Modi ha dalla sua il 90% della popolazione, di religione indù, e ha fatto della “normalizzazione” dell’area nordoccidentale filoislamica la sua bandiera. Passiamo la giornata a seguire gli aggiornamenti in televisione, ed a tratti sembra che la guerra, a meno di cento chilometri da dove ci troviamo, stia per deflagrare. In Ladakh la situazione sembra apparentemente tranquilla, ma anche il paese himalayano appare direttamente coinvolto in questo cambio epocale di strategia politica. Qui si trova, infatti, il grosso delle truppe e degli armamenti destinati al presidio del territorio del Kashmir (regione di cui il Ladakh fino ad ora ha fatto parte).
Ma, soprattutto, nella dichiarazione di modifica dell’articolo 370 della costituzione indiana – quello che prevedeva l’ampia autonomia del Kashmir – il Premier Modi ha sancito anche la separazione del Ladakh dall’area di influenza musulmana, e l’antico regno tibetano si trova, per la prima volta, ad essere considerato uno stato a sé, col diritto ad avere dei rappresentanti presso il governo centrale di Delhi. Per questa piccola regione himalayana, che finora la politica gestita a Srinagar dai governanti kashmiri musulmani ha ignorato, significa poter finalmente accedere direttamente e senza intermediari a risorse economiche ed aiuti del governo centrale indiano, i quali sicuramente porteranno grandi modifiche a questo paese magnifico e con una cultura millenaria, ma con pochissime risorse economiche derivanti esclusivamente dal turismo nei mesi estivi.
Essere dove le cose accadono
Aeroporti chiusi, comunicazioni telefoniche ed internet bloccate, nessuna notizia in entrata ed in uscita dal Kashmir, esercito in allerta ed un continuo viavai di aerei da guerra, per tutta la giornata ci hanno fatto vivere, in diretta, un momento epocale di cambiamento. Quelli che, di solito, si percepiscono da lontano comodamente seduti sul divano di casa davanti al televisore. Alla fine siamo riusciti a partire senza problemi per Delhi, con gli occhi ed i pensieri carichi dei colori e dei contrasti del “Piccolo Tibet”, ma anche con la consapevolezza che, ogni giorno, in molte parti del mondo, equilibri sociopolitici fragilissimi si modificano, cambiando in modo sostanziale la quotidianità di intere popolazioni.
Scoprire il mondo e imparare a fotografarlo con Michele Dalla Palma e NIKON SCHOOL
Conoscere il mondo, imparando a “viaggiare” lontano dalle solite mete, per raggiungere il cuore più autentico di terre lontane, vivere il fascino di scenografie naturali straordinarie e luoghi ignoti, “scoprire” universi alieni alle nostre culture, “spiare” la quotidianità di altri uomini, senza forzature e senza prepotenza. Per raccogliere frammenti di vita da vivere e rendere “eterni” negli scatti fotografici: questa la filosofia dei viaggi di Michele dalla Palma, il quale mette a disposizione la sua esperienza accompagnando piccoli gruppi di appassionati di fotografia alla scoperta degli angoli più suggestivi del pianeta. In compagnia delle attrezzature Nikon: obiettivi ed attrezzature fotografiche solitamente solo alla portata dei professionisti, messe a disposizione gratuitamente da Nital, che ogni partecipante avrà l’opportunità di provare “sul campo” e nelle condizioni tipiche del fotoreportage.
Per informazioni sulle prossime partenze: www.micheledallapalma.it
Testo/Michele Dalla Palma –Foto/Michele Dalla Palma e partecipanti Nikon School Travel Ladakh 2019