Per scoprire le radici profonde di una città antica come Lecce, non basta mescolarsi alla gente nei vicoli, tra quelle case in arenaria lavorate dal tempo. Ma entrando nelle corti coi portali finemente scolpiti, nelle piccole botteghe artigiane ancora in attività, parlando con le persone del posto, capisci che oltre alla bianca arenaria delle costruzioni barocche, c’è qualcosa nella capitale italiana della cultura del 2015 capace di richiamare fortemente la tradizione: la lavorazione della cartapesta.
La cartapesta leccese, opere d’arte patrimonio culturale artigianale del Salento
Un’arte antica tramandata di padre in figlio fin dal XVIII secolo, per molti versi diventata anche un’attrazione turistica. Non si tratta dei pupazzi del Carnevale di Viareggio, ma di vere opere d’arte realizzate con tecniche non apprese a scuola, ma nelle botteghe dei maestri scultori e cartapestai. Opere importanti che potrebbero essere scambiate per quelle fatte con materiali più pregiati, portate in processione nelle ricorrenze religiose, o per decorare chiese e case durante la Natività. Statue a grandezza naturale, ma pure aggraziate statuine del Presepe, come quelle che si tiravano fuori dalla scatola a Natale.
Nelle lavorazioni l’influenza del Barocco spagnolo e napoletano
La lavorazione della cartapesta è nata per le stradine del cuore di Lecce, influenzata dall’estetica del Barocco spagnolo e napoletano, specie nella riproduzione degli arabeschi sul cosiddetto ‘estofado’, il manto di copertura della statua, ovviamente realizzato con fogli di carta e colla. Un’arte che nel suo sviluppo diacronico ha subìto l’influenza del Barocco e poi del Rococò, dando vita ad un’estetica fantasiosa a corredo del soggetto centrale dell’opera, con aggiunta di intrecci, serpentine, curve e spirali, angeli e puttini. Ma da arte povera ha ben presto acquisito dignità di rango, tanto che a Lecce le hanno dedicato una strada del centro storico: via Arte della Cartapesta.
Le origini della lavorazione della cartapesta leccese
C’è una scuola di pensiero portata ad attribuire le origini della statuaria cartacea a due fattori molto umani. In primo luogo l’enorme spesa che avrebbe dovuto sostenere la committenza ecclesiastica per arricchire le tante chiese costruite nel corso del XVII e XVIII secolo, con opere sacre realizzate con materiali più nobili, se non fossero intervenuti i mastri cartapestai a soddisfare quelle esigenze. Ma un altro fattore determinante fu il peso ridotto delle statue realizzate con tale materia, portate a spalla in processione per le strade del centro storico nelle ricorrenze religiose.
Le botteghe artigiane e l’arte nella tradizione
Ormai il consumo di massa ha cambiato radicalmente gli stili di vita e, anche in questo campo, a quelle artigianali si preferiscono statuine stampate in resina o plastica, perché a più basso costo. Un tempo erano molte le botteghe di maestri artigiani, come quella di Giuseppe Manzo, Cesare Gallucci o Luigi Guacci, il quale ultimo nei primi decenni del 900 fu anche un caposcuola nell’uso della produzione industriale “a catena di montaggio” delle opere, per battere la concorrenza. Pur rappresentando un mercato di nicchia, sono molti gli intenditori italiani ed esteri a frequentare i laboratori ancora in attività. Come quello di Mario Di Donfrancesco, in via Francesco Antonio D’Amelio 1; di Claudio Riso e dei fratelli, in via Vittorio Emanuele II al 27; di Rosaria Pallara, in corso Vittorio Emanuele 33; di Carmelo Gallucci e Stella Ciardo, in via Pozzuolo 21 e di Maria Arcona Ratta e Antonio De Rinaldis, in via Giacomo Matteotti 18. Oppure la bottega di Marco Epicochi, in piazza Duomo, dalla quale proviene anche il simulacro di Sant’Oronzo, patrono della città.
Chiese con entrata a pagamento, botteghe artigianali aperte
Non solo botteghe piene di statue di santi, crocefissi, madonne con bambino, ma anche con soggetti della tradizione, in atti di vita quotidiana. In una di queste ci sono capitato per caso, girovagando nel cuore della città barocca. Ad attirare la mia attenzione, una discussione davanti alla chiesa di San Matteo, tra dei turisti e un addetto alla vigilanza, che impediva il loro ingresso perché senza il biglietto. Già, perché dal 13 maggio 2019 si paga per visitare i principali luoghi di culto cittadini, come Duomo e cripta, basilica di Santa Croce, chiese di San Matteo e di Santa Chiara, il Museo diocesano e il chiostro dell’antico seminario. Con il biglietto da 9 euro, valido 15 giorni, si può visitare tutto; ma l’accesso è gratuito per i residenti della diocesi di Lecce e alcune categorie di utenti, tra cui giornalisti e operatori turistici. Così, a parte le polemiche accese da questi ultimi, il provvedimento voluto da monsignor Michele Seccia, arcivescovo di Lecce, risulta in conflitto con le parole di Papa Francesco: «Le chiese con le porte chiuse si devono chiamare musei».
‘Terra Carta Fuoco’, la bottega di Stefania Guarascio
Tuttavia quell’episodio mi ha fatto conoscere una piccola bottega proprio lì di fronte. Impossibile non notarla, con tanti lavori già pronti per la vendita appoggiati ai muri e, sulla strada, seduta a un piccolo tavolo di lavoro Stefania Guarascio. Quel laboratorio in via dei Perroni 20, ‘Terra Carta Fuoco’, l’ha avviato nel 1992, ma l’arte antica della cartapesta leccese l’ha appresa nella bottega del maestro Antonio Malecore, una delle figure più rappresentative nel panorama salentino, scomparso nel 1998. È intenta a dipingere un personaggio. Il pennello scorre rapido per dare vita a quell’iniziale manichino fatto di fil di ferro e paglia. Come quello che sta ai suoi piedi, prima di prendere forma sotto le sue mani esperte.
«Vuoi sapere come si realizza un’opera in cartapesta?»
Al mio cenno d’assenso alla domanda, prende quel ‘bustino’ e mi spiega i passaggi della lunga procedura. Realizzato su uno scheletro in filo di ferro, la forma grossolana del corpo si realizza con paglia legata con del filo sottile. Poi si mettono testa, mani e piedi in argilla (fatti da lei, ci tiene a precisare) ed incomincia la ‘vestizione’ (o drappeggio). Si usano fogli di cartapesta imbevuti di colla (la ponnula), preparata con acqua calda, farina ed un pizzico di solfato di rame, per evitare muffe ed attacchi degli insetti. Un po’ come quella che facevamo da ragazzi per attaccare le figurine dei calciatori sull’album Panini. Una volta assorbita la colla (che può anche essere vinilica, in rapporto 1/3 con l’acqua), la carta viene sagomata con le mani per ammorbidirla e renderla simile ad un tessuto, utilizzato per vestire la statua. Con attrezzi in ferro arroventati si modellano le sagome, nella fase detta ‘fuocheggiatura’. La ‘gessatura’ – fatta con una mistura di acqua, gesso e colla – serve a consolidare la struttura. Poi si carteggia finemente prima di completare l’opera con colori ad olio.
Il Museo della Cartapesta nel Castello Carlo V
Ci sono altri curiosi ad ammirare i personaggi già realizzati, che apparentemente potrebbero essere scambiati per lignei, in terracotta o addirittura in bronzo, ma sono invece l’essenza ultima di quest’arte tramandata di generazione in generazione. Un’arte che oggi ha un luogo deputato dove mettersi in mostra, perché da fine 2009 è stato aperto il Museo della Cartapesta nel Castello Carlo V. Qui, attraverso immagini e video, ma principalmente con la ricostruzione di un’antica bottega artigiana, si possono scoprire le tecniche usate dai maestri e gli strumenti utilizzati per realizzare le statue di cartapesta. Come quelle della collezione capace di coprire un arco di tempo che va dal XVIII secolo ad oggi. Circa 80 opere prodotte dai maggiori cartapestai leccesi, come Mazzeo, Errico, Caretta, Pantaleo, Capoccia, Guacci, Gallucci, Indino Malecore e Surgente. Ma anche internazionali, come Emilio Farina e la brasiliana Lucia Barata.
L’entrata si trova sul lato nord del cortile interno, sotto il portico medioevale accanto alla Torre Magistra. Si scendono pochi gradini e nelle tre sale un tempo occupate dalle scuderie della guarnigione, compaiono opere d’arte che potresti trovare nelle cattedrali spagnole di Avila, Toledo o Salamanca. Ma, seppure ne sia pari la bellezza, queste antiche opere sacre non sono in legno, bensì realizzate strato su strato con carta sapientemente lavorata. Nel Castello Carlo V sono attivi numerosi laboratori didattici, tra i quali anche quello sulla lavorazione della cartapesta leccese. L’intento è di far avvicinare i ragazzi a quest’arte tradizionale con un approccio esperienziale alla materia, facendogli realizzare oggetti che poi porteranno a casa.
Un mercatino da non perdere durante il Natale
Per chi fosse interessato, tra piazza Sant’Oronzo e piazza Duomo, durante il periodo di Natale si svolge l’Antica Fiera dei Presepi e dei Pupi, meglio conosciuta come la ‘Fiera di Santa Lucia’. Un caratteristico mercatino natalizio, un po’ come quello di San Gregorio Armeno a Napoli. Sulle bancarelle leccesi si potranno trovare lavori di diverse dimensioni, sia in cartapesta che in altri materiali, da acquistare per piacere proprio o per fare un regalo significativo. Nello stesso periodo, nell’ex convento dei Teatini in via Vittorio Emanuele II, sarà allestita l’annuale mostra di caratteristici presepi artistici, realizzati dai maestri cartapestai e dai loro allievi.
Info: Lecce: https://www.comune.lecce.it/vivi-lecce/accoglienza-turistica – www.lecce.it – infopointlecce@gmail.com – www.infolecce.it – tel. 0832 24 20 99 – Museo della Cartapesta: www.castellocarlov.it – castellocarlov@gmail.com – tel. 0832 24 65 17 –
Testo/Maurizio Ceccaioni – Foto/Maurizio Ceccaioni e Archivio Arnesano-Badini