Alzi la mano chi non possiede in casa almeno una conchiglia, ricordo di un momento romantico, di una vacanza esotica, di un acquisto su una bancarella come souvenir oppure semplicemente ricevuta in regalo, che ci piace ogni tanto accostare all’orecchio per risentire lo sciabordio del mare. Nessuna mano alzata, ovviamente, perché – anche senza esserne collezionisti – questi curiosi oggetti naturali di calcare costituiscono da sempre i frammenti di vita passata maggiormente diffusi sulla terra, più facilmente reperibili e, al tempo stesso, anche più amati dagli uomini. Esse sono, infatti, tra le strutture più ingegnose che la natura abbia escogitato e fin dalle origini delle civiltà sono state loro attribuite consistenti e misteriose proprietà.
Ogni popolo ha utilizzato, a scopo alimentare, decorativo o pratico, quelle che ha avuto a disposizione e non appare esagerato sostenere come probabilmente il primo monile per l’uomo – o la donna – preistorico sia stato proprio una conchiglia. E se qualcuno magari pensa di non possederne nemmeno una, potrebbe anche sbagliarsi: forse non ha una qualche conchiglietta, ma possiede un cammeo, una collana di perle, qualche oggetto in madreperla, al limite i bottoni di una camicia elegante, che dalle conchiglie derivano. Perché sono presenti da sempre nella nostra storia e nella nostra cultura: Venere nasce da un pecten gigante, i teatri greci e romani ne avevano la forma, le fontane ne sono piene, Visnù regge in una mano un candido esemplare di Xancus pyrum, sacro per gli Indù, i pellegrini di Compostela portano una cappa appesa ai loro bastoni, simbolo di San Jacopo; e l’elenco potrebbe continuare a lungo. Conchiglie erano anche le prime rudimentali monete usate dall’uomo: esiste una Cypraea, non a caso chiamata moneta, che è stata usata per secoli (e fino agli inizi del 1900) appunto come moneta in Africa centrale; in Papua Nuova Guinea si usa la “kina”, una moneta in madreperla tuttora utilizzata. Anche il più antico strumento musicale, per l’esattezza una tromba, era costituito da conchiglie di Charonia tritonis: un grosso cono in cui soffiando da un foro praticato alla sommità produceva un suono molto forte e acuto. Per non parlare dell’ Hexaplex trunculus, dalla quale i Fenici ricavavano la porpora per tingere di rosso i tessuti, ricavandone fama e ricchezza.
Spesso non ci soffermiamo a riflettere sul fatto che queste curiose formazioni di carbonato di calcio in natura come tali non esistono, ma sono le case e il rifugio di esseri animali invertebrati chiamati molluschi, privi di ogni tipo di difesa e di protezione dai loro predatori, se non quella di rintanarsi dentro la loro tana di pietra, i quali popolano da tempi immemori e dalla più lontana era geologica – quell’Archeozoica vecchia di ben 900 milioni di anni – le acque degli oceani, ma anche i laghi e i fiumi, nonché le terre emerse di tutto il pianeta. E furono tra i primi animali complessi a popolare la terra e oggi i loro discendenti, pur con le dovute trasformazioni, ne sono i più antichi abitanti. Quindi i molluschi, e le conchiglie da loro derivate, non popolano soltanto i mari, ma anche laghi e fiumi (e in questo caso si chiamano dulciacquicoli) e la terra; per ogni referenza chiedere ai francesi, gran consumatori di ostriche (marine) ma anche di escargot, le chiocciole terrestri Helix allevate a scopo alimentare. La scienza suddivide i molluschi in sei classi: i più importanti sono i Gasteropodi, con oltre 100 mila specie viventi, dove la conchiglia si svolge a spirale, seguiti da Bivalvi (25 mila specie, tra cui vongole, cozze, ostriche, e datteri, con conchiglie formate da due valve uguali unite tra loro) e dai Cefalopodi, molluschi marini predatori molto evoluti con circa 700 specie, solo alcune delle quali hanno conchiglie esterne, come nel caso dei Nautilus piuttosto belle, dotati di un’intelligenza paragonabile a quella di un bambino di due anni. Comparvero nei mari ben 520 milioni di anni fa e si estinsero 65 milioni di anni or sono, assieme ai dinosauri; se ne conoscono ben 10 mila specie fossili e tra quelle attuali il più famoso è il calamaro gigante, capace di raggiungere 18-20 metri di lunghezza.
I nicchi dei gasteropodi terrestri presentano una minor variabilità nella forma rispetto alle specie marine, ma hanno colori più intensi e, dovendo portare la casa letteralmente sulle spalle, anche gusci più sottili e leggeri. I colori che tanto affascinano sono dovuti a speciali ghiandole cromogene poste lungo i bordi del mantello, le quali secernono pigmenti che si fissano sul carbonato di calcio, depositato a strati. Uno dei maggiori interessi commerciali rappresentato dai bivalvi è dato dalla loro capacità di produrre perle e madreperla, usate in gioielleria per le loro proprietà naturali di iridescenza; i gusci sono formati da carbonato di calcio sotto forma di calcite e di aragonite, ma soltanto quest’ultima è in grado di produrre madreperla. Quindi soltanto poche specie di bivalvi e gasteropodi producono madreperla, e ancora meno perle. Almeno fin dal 1500, quando compaiono i primi trattati di malacologia (la scienza che studia e classifica le conchiglie attuali), l’uomo colleziona conchiglie, in particolare gasteropodi delle specie coni, volute, murici e cipree, queste ultime per la loro naturale lucentezza. Ma collezionare conchiglie risulta assai più complicato di quanto non si possa immaginare. A parte tutti i problemi di pulizia, conservazione e esposizione, ci sono quelli della classificazione, dove occorre destreggiarsi tra centinaia di migliaia di varietà, generi e specie. E poi, dopo le prime raccolte sulle spiagge, affiora subito il dilemma dell’approvvigionamento: comperarle oppure girare il mondo per cercarle, entrambi a loro modo costosi. Una raccolta, anche modesta, è sempre il frutto di un consistente impegno, economico e di tempo, l’impegno di una vita.
Con simili premesse potrà sembrare davvero strano che la maggior collezione esistente al mondo non sia pubblica, proprietà di qualche museo, fondazione o università, bensì privata (e non certo di qualche magnate), che non si trovi in qualche mare esotico o in una qualche metropoli marinara, ma in Italia, e non in una città portuale come Genova, Venezia, Napoli o Palermo, bensì in un modesto porticciolo del medio Adriatico che risponde al nome di Cupra Marittima, in provincia di Ascoli Piceno. Si tratta del Museo Malacologico Piceno, questo il nome ufficiale e un po’ riduttivo vista la sua straordinaria importanza, sorto nel 1977 per ospitare l’ormai enorme collezione di fama mondiale dei fratelli Vincenzo e Tiziano Cossignani, ospitata in una sede di 3 mila mq dove occupa 1.800 metri lineari di vetrine che espongono qualcosa come 900 mila esemplari, degli oltre 7 milioni della loro collezione privata e di studio, a cui occorre aggiungere una sala convegni con 200 posti, una sala didattica per 80, una sala proiezioni per 50, un laboratorio, una biblioteca con 3 mila volumi (la maggiore d’Europa), la redazione di una rivista trimestrale dedicata a studiosi e collezionisti e un negozio dove trovare ogni ben di Dio malacologico. Una sede capace di ospitare anche qualificate mostre tematiche. Un insieme da far impazzire anche il più esperto collezionista, ma di impressionare pure il semplice profano, bambini compresi, che ne conserveranno un ricordo duraturo nel tempo.
Il tutto ha una storia, che può essere sintetizzata così. Negli anni 50 due fratellini, Vincenzo Cossignani classe 1946 e Tiziano classe 1951, giocano sulla spiaggia sottocasa di Cupra Marittima, allora uno dei maggiori centri italiani di pesca alle vongole, e naturalmente raccolgono conchiglie. Si sa come vanno certe cose tra i bambini: le mie sono più belle delle tue, ma tu una così bella non ce l’hai, e giù a raccogliere a tutto spiano. Per milioni di bambini la collezione finisce con l’estate, non per i fratelli Cossignani che cominciano a frequentare i pescatori, a battere altri lidi, a comprare e a scambiare. I bambini crescono e la collezione pure, che non sanno ormai più dove tenere con casa e cantina satura in ogni angolo. Tiziano diventa medico, Vincenzo insegnante di scienze naturali, ma sempre con il pallino in testa per le conchiglie, che ormai non soltanto raccolgono ma anche studiano e descrivono in libri, che cominciano anche a vendere per procurarsi esemplari sempre più rari. Così, giorno dopo giorno, quella collezione iniziata da due fanciulli sulla spiaggia di Cupra diventa la più fornita del mondo e per contenerla occorre trasferirla in un apposito museo, che dal piccolo paese costiero marchigiano diventerà un autentico faro di riferimento per i collezionisti di tutto il pianeta.
Non si può pensare di descrivere un’esposizione di quasi un milione di esemplari, ognuno dei quali – compreso il più modesto esteticamente – può rivestire una rilevante importanza per la scienza. Ma ci sono un’infinità di esemplari capaci di impressionare anche un profano. Si comincia con alcuni esemplari giganti di ammoniti, cefalopodi fossili con conchiglia piatta a spirale che popolarono i mari con varietà di dimensioni comprese tra pochi millimetri e i 3 metri di diametro, e enormi Nautilus, comparsi 520 milioni di anni or sono. Sempre fossili sono anche i reperti più pregiati: uno scheletro di Mosasauro perfettamente conservato, dinosauro marino proveniente dal sud del Marocco lungo quasi 8 metri e vecchio di 80 milioni, precursore dei grandi rettili attuali e in particolare dei coccodrilli; un piccolo Mixosaurus, dinosauro erbivoro acquatico vissuto 150 milioni di anni nella Cina orientale, e un rarissimo esemplare (se ne conoscono 7 in tutto il mondo) di Leptoteutis gigas, una seppia lunga 138 centimetri vecchia di 150 milioni e quindi contemporanea dei dinosauri marini. Odierna invece l’enorme bivalva ondulata Tridacna gigas del peso di 2,5 quintali che vive per un secolo nell’Oceano indo-pacifico, capace di produrre perle non commerciali del peso di 20 chilogrammi, famosa con il nome di conchiglia assassina per la supposta capacità di intrappolare le gambe di sprovveduti pescatori, usata per le sue forme e dimensioni come acquasantiera in diverse chiese.
Si passa poi alle sezioni specializzate: i cammei, incisi artigianalmente in pezzi sempre unici da alcuni tipi di conchiglie, che trovano il loro epicentro mondiale di lavorazione a Torre del Greco; le maschere e gli oggetti rituali etnici africani decorati con conchiglie; i coralli e le mandibole di squali; gli innumerevoli oggetti ottenuti dalla madreperla (oltre ai bottoni, di cui l’Italia è la maggior produttrice mondiale, anche manici pregiati di utensili, mosaici, ventagli, binocoli, intarsi, tasti per strumenti musicali, ecc.); le perle; le piastrelle di ceramica per arredamento, le sculture, le argenterie e i servizi da tavola in porcellana a soggetto malacologico, dove si sono cimentati stilisti e disegnatori del calibro di Laura Biagiotti, Valentino, Krizia, Rocco Barocco, Versace e Dior. E per finire il negozio, uno dei più forniti del settore a livello mondiale, dove poter acquistare non soltanto le più rare conchiglie esistenti, ma anche mille altri oggetti come gioielli, libri, stampe antiche, minerali e fossili. Se passate dalle Marche, ma varrebbe la pena anche andarci appositamente, non perdete l’occasione di una visita al Museo Malacologico di Cupra. Non male per un gioco di bambini nato 40 anni fa su una spiaggia del medio Adriatico.
Info. Il Museo Malacologico Piceno (tel. 0735.777550, malacologia@fastnet.it, www.malacologia.org) si trova in via Adriatica Nord 240, Cupra Marittima (AP). Uscita autostrada Adriatica A14 a Pedaso, proseguendo per 7 km verso sud lungo la statale 16. Orari di apertura: sempre al pomeriggio, in giugno-agosto tutti giorni dalle 16 alle 22,30, gli altri mesi giovedì, sabato e domenica dalle 15,30 alle 18,30.
Testo/foto di Giulio Badini