“Natale coi tuoi e Pasqua con chi vuoi”, recita il proverbio… Ma anche no, perché specie in questo periodo dell’anno il nostro Paese mette in vetrina per l’occasione eventi e appuntamenti, spesso diffusi anche nelle strade e nelle piazze cittadine. Tra le città che festeggiano in vari modi la ricorrenza natalizia alla fine dell’Avvento c’è Torino, già descritta in un precedente articolo tra luci ed ombre: due facce della stessa medaglia che da un lato fanno di questa città una delle principali mete del turismo esoterico, tanto è legata al mondo dell’occulto. Dall’altro c’è la Torino della luce, quella della “magia bianca”, in particolare con la Chiesa della Gran madre, luogo dove si ritiene sia nascosto da qualche parte il cosiddetto ‘Santo Graal’, cioè la coppa che avrebbe usato Gesù nell’Ultima Cena e dove, secondo la leggenda, fu poi raccolto da Giuseppe di Arimatea il sangue del Cristo crocifisso. Ma anche quest’anno il Natale illumina Torino con oltre un mese di festeggiamenti che hanno preso il via dalla sera del primo dicembre 2023 e termineranno a fine giornata di lunedì 8 gennaio 2024. Una Torino che si è «Vestita a festa – ha detto il sindaco Stefano Lo Russo – per diventare ancora più accogliente e vivere le feste natalizie insieme a torinesi turisti», grazie a una programmazione intensa che ha portato in ogni dove iniziative variegate, per la soddisfazione di grandi e piccoli, come Il giocattolo sospeso, ovvero l’acquisto di un regalo da far trovare sotto l’albero a bambine e bambini meno fortunati di famiglie in difficoltà economiche. Grazie al contributo della multiutility Iren guidata da Luca Dal Fabbro, sono state accese anche le luminarie in tutte le Circoscrizioni e l’assessorato alla Cultura della Città di Torino ha lanciato un concorso fotografico per premiare la foto migliore di una delle sette installazioni luminose inaugurate: “Universo”, in viale Ottavio Mai; “Tunnel Luminoso”, in piazza Teresa Noce; “Bouquet di fiori”, in viale Madonna di Campagna; “Stelle e pianeti”, in corso Telesio; “Cielo stellato”, in corso Marconi; “Galassie”, in piazza Benefica e “Sfere celesti”, in piazza Santa Rita da Cascia. Luci che andranno a valorizzare e dare maggiore lustro anche ai tradizionali mercatini di Natale come quello di Piazza Solferino attiguo alla pista di pattinaggio su ghiaccio, o quelli solidali diffusi un po’ ovunque in città.
C’è il Boschetto di Natale in piazzetta Reale, le installazioni luminose di Natale di Luce 2023 (realizzate da Iren), i cori gospel, concerti e il suggestivo allestimento del Calendario dell’Avvento sul lato destro guardando la facciata del Duomo di Torino in Piazza San Giovanni. Si tratta di 25 caselle realizzate su bozzetti di Emanuele Luzzati (disegni e progetto artistico di Lastrego & Testa), che dal primo dicembre 2023 vengono scoperte quotidianamente dai Vigili del Fuoco del Comando Provinciale di Torino, a segnare lo scorrere dei giorni fino a Natale. Ma, parlando di Luzzati, non poteva certo mancare l’ormai tradizionale suggestivo e magico Presepe con i suoi personaggi, che quest’anno viene ospitato in Piazza Cavour ed è ormai considerato il simbolo del Natale torinese. Prese vita nel 1997 nei Giardini di Porta Nuova, grazie ad un progetto artistico realizzato dallo scenografo, animatore e illustratore italiano Emanuele Luzzati, morto a Genova nel 2007. La realizzazione dell’allestimento con le novanta sagome dipinte su legno è curata dalle maestranze del Teatro Regio in collaborazione con la Fondazione Torino Musei. Un progetto itinerante che in attesa del definitivo collocamento è stato ospitato negli anni in varie location, tra cui piazza Castello e Teatro Regio, in Piazza Carlo Felice e nel Borgo Medievale, ma anche nell’Auditorium di Roma nel 2010.
A poche centinaia di metri da Piazza Cavour c’è Piazza San Carlo, rivitalizzata tutte le sere dalle 18.30 alle 21.30 e fino al 7 gennaio 2024, dallo spettacolo di videomapping “Città Fantastica. Favole d’inverno”, un progetto della Città di Torino realizzato da Fondazione per la Cultura Torino e giunto alla seconda edizione. Si tratta di un’evoluta tecnica di proiezione che trasforma le superfici di palazzi, monti, nuvole, in schermi giganti dinamici, dove proiettare immagini, filmati o giochi di luce.
Se parliamo delle attrazioni della città sabauda, non si può fare a meno di parlare di uno dei luoghi da visitare assolutamente e si trova proprio accanto a Piazza San Carlo: il Museo Egizio di Torino , luogo che già dall’entrata ti avvolge nella sua sacralità.
Un po’ di storia del Museo
Anche se solo parzialmente, qui la storia dell’antico Egitto è raccontata e ben rappresentata nei quattro piani del Collegio dei Nobili (XVII sec.), sede dell’Accademia delle Scienze di Torino, dove è ospitato dalla sua fondazione (via Accademia delle Scienze 6). Fondato nel 1824 dal re Carlo Felice di Savoia, fu aperto al pubblico nel 1832 e in fatto di egittologia, quello di Torino è il Museo Egizio più importante a livello mondiale dopo quello del Cairo. Tra i primi musei italiani per numero di visitatori, è stato il primo ad essere dedicato solo alla civiltà egizia della regione del fiume Nilo. Riconosciuto a livello internazionale come polo di ricerca scientifica e sede di conferenze ad alto livello, il Museo è diventato un punto di riferimento mondiale anche grazie alle attività svolte e le tecniche di restauro usate, con studi e indagini “archeometriche” fatte con metodi non invasive e visibili anche ai visitatori nell’area restauro al secondo piano.
Dal 2004 è gestito dalla Fondazione Museo delle antichità egizie, che annovera tra i soci fondatori oltre al Ministero della cultura (già Mibact oggi MiC ), enti locali e fondazioni riferibili a banche di primaria importanza. È stato anche il primo museo italiano a sperimentare la formula della gestione “pubblico-privato”, grazie a una concessione trentennale dell’allora Mibac. Scopo della Fondazione è valorizzare, promuovere e gestire la collezione del Museo Egizio e le sue attività. Obiettivi ampiamente soddisfatti dopo la riapertura avvenuta il 1° aprile 2015, dopo una ristrutturazione durata oltre tre anni. Attualmente, grazie all’ampliamento a circa 12mila mq della superficie espositiva, è variato il percorso di visita, con nuovi allestimenti, tecnologie per la didattica, percorsi tematici, audioguide, progetti di inclusione sociale e mostre temporanee.
Anche se è possibile visitare virtualmente il Museo Egizio anche da casa attraverso i Tour virtuali, altra cosa è aggirarsi per quelle sale e corridoi stipati di sarcofagi e mummie, tra oggetti ornamentali e statue finemente lavorate, permeati da una sensazione inesplicabile che porta a fondere la storia dell’uomo con il soprannaturale. Come se quei luoghi facessero da introduzione a un mondo già vissuto, pervaso da fenomeni per certi versi inspiegabili anche per noi esseri del XXI secolo, dotati di conoscenze scientifiche e prerogative cognitive, intellettive e di giudizio.
Ad oggi nel Museo sono conservati circa 40 mila reperti provenienti da precedenti collezioni come quella acquisita dal collezionista, esploratore e diplomatico Bernardino Drovetti e dalle successive campagne di scavo condotte in particolare da Ernesto Schiaparelli, poi direttore dello stesso Museo, tra il 1903 e il 1937. Si tratta di reperti che vanno dall’epoca Predinastica (circa 3900-3060 a.C.) a quella Tardoantica (VII-IV sec. a.C.), ma nei quattro piani museali con sale e gallerie, sono meno della metà quelli esposti al pubblico. Tra loro, statue di sovrani, vere tombe, sarcofagi e arredi funerari (maschili e femminili), oggetti di uso comune, stele in pietra, riproduzioni e modellini vari, come quello in scala della tomba della regina Nefertari, ventiquattro mummie umane e diciassette di animali.
Seguendo la mappa, il nuovo percorso di visita parte dal piano -1 dov’è la biglietteria e c’è da mettere in conto una mezza giornata per apprezzarne discretamente tutti i contenuti, a cominciare dalla sua lunga storia. Poi, grazie a scale mobili ed ascensore, si passa direttamente al secondo piano, dove a simboleggiare il periodo Predinastico ci accoglie la cosiddetta Mummia di Gebelein, esposta in posizione fetale dentro una vasca ovale nel terreno. È uno dei primi esempi di mummificazione di uomo adulto vissuto in un periodo che va da circa il 3900 al 3060 a.C., corrispondente al nostro neolitico. Infatti, in quest’arco temporale nella valle del Nilo si usava scavare la fossa per le sepolture direttamente nella sabbia per favorire la mummificazione naturale del corpo.
A documentare circa 4mila anni di cultura materiale del mondo egizio, nel Museo c’è una collezione con circa 700 manoscritti su carta di papiro (interi o ricomposti) e oltre 17 mila frammenti, tra cui testi amministrativi, giuridici, letterari, rituali, religiosi, magici e funerari. Circa la metà dei testi sono in egiziano corsivo/geroglifica o ieratica mentre il restante è scritto in Demotico, Greco, Copto o Arabo. Reperti delicati, tenuti sotto controllo igrotermicamente grazie al sistema che garantisce in tutti gli ambienti una temperatura costante tra 21 e 24°C.
Alcuni di questi papiri hanno una maggiore rilevanza sugli altri e tra questi il Canone Reale (o Papiro di Torino), che descrive cronologicamente l’ascesa al trono dei sovrani egizi; oppure il Papiro delle miniere d’oro, dov’è disegnata la mappa del sito minerario di Berenice Pancrisia, in Nubia, nel nordest del deserto del Sudan. Databile tra il 1290 e il 1147 a.C., questo papiro è chiamato impropriamente anche papiro di Seti I, faraone della XIX dinastia, che però morì nel 1279 a.C., ben prima della realizzazione della mappa.
Ma quelli che rendono ai meno eruditi in materia il senso della vita e della morte nell’antica Cultura Egizia, sono quei riti, tradizioni e culti ancestrali legati a un mondo dove oggetti e statue erano dotati di poteri magici per guidare in vita e accompagnare dopo la morte, i faraoni e i loro sudditi. Tra questi reperti conservati nel Museo torinese c’è Il Libro dei morti di Iuefankh (o Libro per uscire alla luce del giorno, come lo chiamavano gli Egizi), un antico testo funerario forse proveniente da Tebe largo 30 centimetri per oltre 18 metri di lunghezza. Databile dal 332 al 30 a.C., è considerato tra i pezzi più importanti della collezione ed è esposto per l’intera lunghezza in una teca lungo un corridoio. Acquisito nel 1824 con la collezione Drovetti, fu in particolare il tedesco Richard Lepsius, intorno al 1840, a dare un senso a quella serie di formule funerarie fino ad allora incomprese.
Il compito della scrittura era assegnato agli scribi, categoria privilegiata protetta dal dio Thot, considerato il messaggero degli dèi. Allo scopo usavano un pezzo di canna o giunco con un’estremità appuntita detto calamo, che veniva intinto in un contenitore con inchiostro nero prodotto con nerofumo, bacche vegetali o minerali vari.
Il Libro dei morti di Iuefankh fu utilizzato in modo continuativo dal 1550 a.C. circa (inizio del Nuovo Regno) alla metà del I secolo a.C. e in esso sono riportati tutti i processi da seguire per accompagnare il defunto nella nuova vita, come un corredo funerario che sarebbe servito per le proprie necessità nell’aldilà e principalmente la preservazione del corpo dopo la morte. Una pratica molto importante perché doveva servire nel momento di passaggio verso la vita eterna, quella nuova vita nel Regno di Osiride, come prescritto nel capitolo 151 del Libro dei Morti. Per questo il rituale dell’imbalsamazione – un tempo elitario – avveniva secondo lunghe, rigide e complesse procedure, la principale delle quali era la mummificazione del cuore che andava rimesso nel torace perché affrontasse la prova della Psicostasia, cioè la pesatura dell’anima o del cuore. Poi, accanto ai corpi mummificati si mettevano i quattro vasi canopi, con forme diverse raffiguranti i quattro figli del dio Horus. In quello con la testa d’uomo (Asmet), andava il fegato e gli intestini venivano collocati in quello con la testa di un falco (Kebehsenuf). In quello con la testa di sciacallo (Duamfet), lo stomaco e i polmoni nel vaso con la testa di babbuino (Hapy).
Secondo quanto riportato nel papiro, il defunto avrebbe dovuto seguire un percorso obbligato e passare il giudizio degli dèi, a cominciare dal dio egizio degli inferi Osiride, al cospetto del quale si sarebbe svolto un rituale governato dalla dea della Giustizia e della Verità Maat, che (detta Psicostasia), dove si valutava il comportamento in vita del defunto. Il superamento della prova avrebbe permesso di raggiungere il Duat (l’oltretomba) e infine i Campi Iaru (o Arau), dove avrebbe dimorato per riprendere a fare quello che faceva in vita. Tutto il processo era verbalizzato dal dio Toth sulla sua tavoletta scrittoria i risultati della Psicostasia alla presenza di 42 divinità, una sorta di tribunale presieduto da Osiride.
Per info: Eventi Natale a Torino 2023; Museo Egizio Informazioni
L’acquisto dei biglietti si effettua solo tramite la Biglietteria online
Testo e foto/Maurizio Ceccaioni – Immagine della locandina in apertura: “Città di Torino – www.comune.torino.it”