«I have a dream», la frase di Martin Luther King nel discorso per i diritti civili, davanti al Lincoln Memorial di Washington il 28 agosto 1963, potrebbe ben raccontare quella promessa fatta nel 1974 tra Michele Placido e Domenico (Mimmo) Volpone. Quando l’allora 28enne Michele era già un attore affermato e Mimmo, che di anni ne aveva 21, si ritagliava po’ di tempo per la chitarra cantando per amici e parenti, dopo il lavoro nei vigneti. Decisero che un giorno avrebbero investito nei prodotti di quella loro terra «capace di produrre eccellenze che vengono poi lavorate fuori e nella Capitanata non rimane nulla», come disse Placido. Più che un progetto era un’idea: quella di cementare quell’amicizia tra le due famiglie, con un collante rappresentato dalla loro storia, le proprie radici, più la tradizione, arte e cultura della loro terra. Raccontato in tre parole chiave: Puglia, figli e vino.
«Terzo di otto fratelli, già a 6-7 anni – racconta Michele – andavo all’alba in campagna col nonno o accompagnavo mio padre Beniamino, geometra, a fare rilievi nei poderi agricoli». Lì toccava con mano la terra secca e sabbiosa di quei luoghi, respirandone i profumi della campagna. Mimmo invece, erede di una secolare attività contadina, dalla campagna non s’era mai mosso e passava le giornate appresso al padre, Rocco, tra i vigneti di famiglia e la cantina. Ti accorgi subito che ancora va per le vigne a potare, scacchiare e legare le viti ai filari, solo stringendogli la mano robusta segnata da quei calli di lavoratore impenitente.
Un patto – oggi racchiuso nel marchio rappresentato da due mani stilizzate che si stringono – siglato con un bicchiere di vino in quella masseria dell’amico fraterno, dove le due famiglie passavano assieme l’estate. Un’azienda agricola vicino al loro paese d’origine, Ascoli Satriano, dove Placido ritornava nelle pause di lavorazione per sentirsi a casa. «Sono attaccatissimo alla mia terra e torno in Puglia almeno una volta al mese, specialmente per i morti, la festa dell’uva e per l’olio, ma voglio passare sempre di più i miei giorni qui, per lasciare qualcosa ai nostri figli per continuare il nostro lavoro». Così racconta l’istrionico attore e regista durante la presentazione alla stampa dei vini della cantina Placido-Volpone, nell’elegante e affollato salone dell’Aleph Rome Hotel di via di San Basilio, da poco riaperto dopo un profondo restauro.
Parla di quella sua amata Puglia, ma quando cerchi sulle mappe il loro paese d’origine, Ascoli Satriano, ti accorgi che è un piccolo comune di poco più di 6mila abitanti nell’immensità del Tavoliere delle Puglie, coi terreni segnati dal lavoro dell’uomo. Si trova nel Subappennino Dauno, la ‘mundàgne’, dove i nomi di quei luoghi affondano le radici nei miti della storia greca. Appezzamenti di terreno dai colori diversi, impegnati a contendersi lo spazio con centinaia di gigantesche pale eoliche mosse dal vento, che arricchiscono pochi alle spalle di tutti, e sviliscono la bellezza di quelle terre di grandi vini. Antiche, argillose e sabbiose, resti stratificati di depositi alluvionali del Quaternario, databili a oltre 2,5 milioni di anni fa. Lavorate prima dal mare e poi dall’uomo, ma principalmente riarse per la scarsa piovosità e la ventosità dei luoghi. Da dove emergono evidenti le tracce del passato, con oltre un migliaio di siti neolitici, villaggi dauni e resti romani. Come quelli di Arpi (o Argos Hippium), a nordest di Foggia; Aecae, la Troia pugliese; Ausculum, l’attuale Ascoli Satriano, sulla via Appia Antica che da Roma porta a Brindisi; Sipontum (Siponto), oggi quartiere di Manfredonia e sede di un importante parco archeologico; o Salapia Vetus, verso Trinitapoli nella provincia di Barletta-Andria-Trani.
Poi c’è Ordona, piccolo comune con meno di 3mila abitanti a 25 chilometri da Foggia, eredità dell’antica città romana di Herdonia con il sito archeologico presso il quale, a 150 m s.l.m. sulle prime colline del Tavoliere delle Puglie, si trova la Cantina Placido Volpone: vigneti, alberi d’olivo e qualche appezzamento di quel grano duro locale, coltivato fin dai tempi dell’Impero Romano, che ha costituito la principale monocultura di questa regione e che vorrebbero trasformare in pasta locale. Lo avevano promesso oltre 40 anni fa e oggi ci sono riusciti. Perché come da tradizione delle famiglie di origine contadina, i figli non sono mancati e ne hanno avuti cinque ognuno: Violante, Michelangelo, Brenno, Gabriele e Inigo Placido (non presente); Antonia, Rocco, Michele, Camilla e Gerardo Volpone.
Con le due famiglie, Davide Marotta, un “umbro di Puglia” a cui è stato affidato il marketing e le vendite, con un foggiano doc, Luca Scapola, che grazie ai suoi studi universitari in viticoltura ed enologia, oltre che titolare dell’azienda vitivinicola foggiana Borgo Turrito, cura la produzione della Placido Volpone. Parliamo di vitigni autoctoni di queste terre antiche, come l’Aglianico e il Nero di Troia, o la Falanghina, non proprio originaria di qui, come quel Sangiovese di cui vengono prodotti pochi quintali per il Rosato. Una “terra dura” con condizioni spesso di aridità estrema, capace però di portare miracolosamente queste uve a rilasciare nei sei vini prodotti dalla Placido Volpone, il massimo dei caratteri e dei profumi ritrovati.
‘I Cinque Figli’, una Falanghina del 2017, viene prodotto dall’uva di circa 4mila barbatelle ed è un vino dalla filiera certificata Blockchain, che garantisce i propri clienti sulla la provenienza e qualità dei prodotti acquistati, con un QR Code della Wine Blockchain Ey su ogni bottiglia. Il ‘Rosato’ (uve Sangiovese e Aglianico), dalla colorazione appena accennata.; l’aspetto aromatico fruttato, dalla fragranza di ciliegia e lampone, prevale sicuramente sul gusto delicato e fresco. Il ‘Faragola’, un rosé fatto con uva Nero di Troia, è un vino più strutturato rispetto al precedente; versatile per tutto il pasto, si rivela ottimo per piatti freddi o carni bianche poco speziate.
Il ‘Rosone’, dal colore rosso rubino, al 100% Nero di Troia, al palato lo immagini già assieme a carni arrostite ma anche col pesce, un ‘vino tinto’ che piacerà sicuramente anche agli spagnoli. L’immagine sulla bottiglia è quella del rosone centrale della cattedrale di Troia di Puglia. ‘Mimì’, come ‘Beniamino’, sono due vini ancora in fase di affinamento, ma pronti per il Vinitaly. Il primo, dal colore rosso rubino, viene prodotto da uve di Aglianico e Nero di Troia. Se il profumo si esalta persistendo nelle narici, in bocca si sente tutto il carattere del Nero di Troia. Il secondo, è un vino rosso scuro prodotto da Aglianico. Corposo, dal profumo fruttato con prevalenza dell’amarena, forte come avrebbe dovuto essere quel padre di Michele Placido a cui è dedicato. Vini belli da vedere e da bere, con sapori, colori e profumi che, anche con tutte le buone intenzioni, non si possono descrivere se non mettendoli in un bel calice. Magari assaporandoli ufficialmente al prossimo Vinitaly, in programma a Verona dal 15 al 18 aprile 2018, quando andranno in commercializzazione.
Per ulteriori informazioni sui prodotti: www.placidovolpone.it
Testo/Maurizio Ceccaioni – Foto/Maurizio Ceccaioni e Cantina PlacidoVolpone