Sono passati oltre cinquantacinque anni da quando una spedizione italiana organizzata da Giancarlo Ligabue e Cino Boccazzi andarono alla ricerca, nell’immenso deserto del Tenerè in Niger, di un vastissimo giacimento di dinosauri. Da allora questa notizia mi è ritornata alla mente più volte finché, una decina di anni fa, organizzai insieme a mia moglie, mio figlio ed un gruppo di amici (tra cui dei geologi), un viaggio proprio laggiù. Infatti da poco si era riaperto il turismo in Niger, dopo anni di problemi politici e militari. Fu un’esperienza indimenticabile. La cronistoria della scoperta di dinosauri a Sud di Agadez inizia nel 1907, da parte di René Chudeau (1864-1921), geologo francese. Seguirono poi diversi viaggiatori e paleontologi come R. Furon, L Greigert, F. Joulia e A.F. De Lapparent che, specialmente a Sud deli’Air, identificarono numerosi siti fossiliferi con resti di dinosauri. Negli anni ’60 del secolo scorso i francesi organizzarono diverse spedizioni per il rilevamento geologico della regione, su richiesta del Commissariato dell’Energia Atomica ( non lontano, ad Arlit, vi sono importanti miniere di Uranio). All’inizio degli anni’70, Cino Boccazzi (medico e appassionato esploratore sahariano) era in Tchad insieme alla sua guida tuareg Fall. Non era lontano dalle spettacolari guglie di Sissè. Indicando una roccia forata chiamata Ekkibeden, Fall tracciò sulla sabbia una parola in tifinagh (la scrittura originale dei tuareg), una parola molto antica , accennata a bassa voce perché, secondo le credenze tuareg, non doveva essere udita dagli spiriti malvagi, i Jinn. La parola era Beitrourou, ovvero “serpenti di pietra”. Fall aggiunse che la parola che aveva scritto sulla sabbia, il vento l’avrebbe cancellata subito, ma i serpenti di pietra nessuno li avrebbe cancellati mai. Questa frase, associata a numerosi oggetti in bronzo con aspetti di coccodrilli, lucertoloni, ecc, trovati in tombe nel Tenerè, scatenarono in Boccazzi una grande curiosità, al punto che nel 1971, durante un viaggio attraverso la parte meridionale del deserto del Niger non lontano da Agadez, insieme a Giancarlo Ligabue (imprenditore, archeologo, esploratore, paleontologo e mecenate veneziano di scavi e ricerche in tutti i continenti) arrivarono sul giacimento di Gadoufaoua, dove decine di scheletri di dinosauri emergevano dalle sabbie: erano i famosi “Serpenti di Pietra”! Una spedizione ufficiale italiana, partì il 3 Febbraio 1972 da Venezia e si concluse il 24 Febbraio a Parigi. In quell’ occasione vennero portati alla luce diversi fossili dinosauriani, tra cui l’Ouranosaurus nigeriensi, nuova specie per la scienza. Dei tre esemplari raccolti di questo rettile, uno è al Museo di Storia Naturale di Venezia, donato da Giancarlo Ligabue, mentre gli altri sono a Niamey (Niger) ed a Parigi.
Ma perché il deserto del Tenerè è ricco di centinaia di scheletri fossili, costituiti da una grande varietà di rettili definitivamente scomparsi poco meno di 65 milioni di anni fa, probabilmente per la caduta di un meteorite… molto lontano da lì ? Il Sud di Agadez è costituito da terreni del Cretaceo Inferiore/Medio (Mesozoico), datati 112 milioni di anni da oggi. Durante quel periodo l’attuale Sahara era posizionato sull’Equatore e tutta la regione era ricoperta da vaste foreste pluviali, non dissimili da quelle presenti oggi in Amazzonia. Il clima caldo-umido e le quotidiane forti precipitazioni favorivano lo sviluppo di paludi, laghi e fiumi, habitat ideale per innumerevoli faune costituite da coccodrilli, tartarughe, primi piccoli mammiferi, uccelli oltre a diverse specie di dinosauri. Tra questi molto interessante era un grande Iguanodonte (Ouranosaurus nigeriensis), un dinosauro di diversi metri di lunghezza. Ancora oggi si dibatte se questo animale fosse quadrupede o bipede. Era un erbivoro con una testa allungata con muso a becco ed una bocca in parte priva di veri denti, ma ricoperta da tessuto corneo e con molari lunghi almeno 5 cm. Probabilmente viveva in branchi (come risulta dai resti trovati in Belgio in una miniera di carbone). Il suo cibo era costituito da foglie, frutti, semi ecc. Oltre a questi Iguanodonti (per altro diffusi in tutti i continenti, fino in Inghilterra dove furono scoperti per la prima volta nel XIX° secolo), in queste aree vi erano anche giganteschi coccodrilli. A tal riguardo il Prof. Paul Sereno, noto paleontologo americano, lo studiò sul posto ed alla fine dimostrò essere stato il più grande dei progenitori degli attuali coccodrilli: era il Sarcosuchus imperator. Si stima che gli individui adulti potessero raggiungere i 12 metri di lunghezza. Il muso allungato assomigliava a quello dell’ attuale Gaviale. Gli occhi, posizionati in alto sul cranio, permettevano (come agli attuali coccodrillomorfi) di osservare dal pelo dell’ acqua, restando col corpo immerso. La grande bocca aveva inseriti 132 lunghi ed affilati denti conici. Il corpo era ricoperto, fino a metà della coda, da scudi dermici, che creavano una superficie molto resistente agli attacchi di altri predatori. Gli attuali coccodrilli (anche se considerati su una linea evolutiva diversa da quelli giganti del Tenerè) sono considerati le uniche forme dinosauriane viventi e rimaste tali, fin dalla loro comparsa nel Cretaceo. Oltre a questi grandi animali erano rappresentati anche Carnosauri (Afrovenator), Elafosauri e molti altri. Nelle zone paludose vivevano diverse specie di pesci, tartarughe, serpenti, ecc.
Dopo mesi trascorsi alla preparazione dei mezzi (Camper Alfa Romeo 4×4, Land Rover 110, Discovery) e per reperire la documentazione necessaria, arrivati a Tunisi siamo scesi lungo la desertica e sconfinata Algeria ben oltre Tamanrasset ed entrati in Niger (frontiera In Guezzam/Assamaka), dopo aver pagato un’assicurazione “virtuale”, su una pista abbastanza segnata da balise (bidoni vuoti con palo in mezzo) seguiamo uno degli affluenti secchi che confluiscono nell’antica Valle dell’ Azaouak. Qua e là affiorano macine e manufatti preistorici a ricordo di quando, oltre 6000 anni fa, il Sahara era una regione verde e ricca di acqua. Arriviamo ad Arlit. Questa è una piccola cittadina mineraria, nel cuore del Deserto del Sahara, dove si estrae l’Uranio, le cui miniere e discariche radioattive, a cielo aperto, sono battute dal vento a raffiche, tipico di marzo. Inutili gli appelli di Greenpeace verso le multinazionali (specialmente francesi) per risanare quel povero paese. In quel luogo la vita media è veramente molto bassa e non esistono seri controlli sulla salute degli abitanti da parte delle autorità competenti, che lucrano sull’esistenza di centinaia di poveri minatori. Velocemente effettuate le pratiche di dogana e fatta una vera assicurazione puntiamo verso Agadez. Finalmente eccoci su una strada asfaltata a pagamento. Infatti il casello autostradale è rappresentato da una corda tesa a traverso, che viene abbassata appena si paga il pedaggio. Agadez, per chi ama (o per meglio dire amava) attraversare il Sahara con mezzi propri è un punto di arrivo ancora pieno di grande fascino. Fu H. Barth, nel 1850, a fornirne una descrizione, per certi versi ancora valida. Qui abbiamo un appuntamento con Aker, che sarà la nostra guida locale. Immancabile un giro nel mercato etnico e in quello coloratissimo del bestiame, dove vediamo bovini dalle coma lunghissime come quelli riprodotti nelle pitture neolitiche di questa incredibile regione, Arrivati i permessi per la visita alla regione dei dinosauri, lasciamo la piazza della grande moschea di Agadez (costruita nel 1515) e la gente che si accalca per venderci oggetti di artigianato (per altro bellissimi).
Il mattino successivo, all’alba, siamo già in marcia e con noi c’è la guida Aker che ci porterà nel mondo di Gadoufaoua, parola targui che significa “ il posto dove anche i cammelli hanno paura di andare”! Come primo obiettivo puntiamo sul sito di Merendet, in cui il prof. Paul Sereno sta scavando diversi grandi fossili. Il posto è controllato da un paio di tuareg che, dopo i saluti di rito con Aker, ci accompagnano sul luogo dei ritrovamenti, delimitati da sassi che altro noi sono che pezzi di alberi fossili. Dopo pochi passi ci fermiamo attoniti : davanti ai nostri piedi si scorge uno scheletro con le ossa ancora in connessione anatomica lungo una ventina di metri! Il cranio non è stato ancora scoperto. Si tratta verosimilmente di un Jobaria tìguidensis, un grande erbivoro (simile ai diplodochi come aspetto). Il termine Jobar è stato preso in prestito dalla lingua tuareg che significa “gigante” . Incredibilmente la presenza di storie di giganti è presente in tutte le culture del mondo! Poco lontano appare un altro fossile simile ad un sinuoso serpente. I custodi ci mostrano dei barattoli pieni di denti fossili e placche dermiche. Visto l’orario e la temperatura di 45°C, sostiamo sotto ad una loro zeriba a sorseggiare un tonificante tè alla menta che ci hanno preparato. Un’occhiata alle carte e dopo un paio d’ore ripartiamo: destinazione una foresta pietrificata alla base della falesia di Tiguidit. Qui decine di grossi tronchi di Araucaria (una conifera diffusa in quei lontani tempi) ci fa meglio comprendere come doveva essere coperto di foreste quello che oggi è uno dei luoghi più aridi della Terra. Si parte con destinazione Gadoufaouà. Sostiamo brevemente nei pressi di un pozzo dove decine di dromedari e bovini vengono abbeverati da gruppi di pastori che traggono l’acqua da uno dei pochissimi pozzi della zona. L’acqua viene tirata su dal profondo pozzo, con l’aiuto di asinelli. Dai segni presenti sulle carrucole e sul tronco a cui sono attaccate, si capisce quanto lavoro hanno già fatto questi preziosi strumenti. Abbassiamo la pressione delle gomme per meglio galleggiare sulla sabbia e ci inoltriamo in un paesaggio sempre più cupo e piatto, col cielo lattiginoso. Finalmente il 15 Marzo ( mai un mio compleanno fu più indimenticabile) stiamo aggirandoci tra ossa e resti di scheletri di animali del Cretaceo. Omeri, femori, vertebre sono dappertutto. Purtroppo i fossili sono in esposizione al vento che, con la sabbia, li smeriglia. Il GPS di Aker ha le batterie scariche, ma per fortuna il nostro funziona così possiamo dirigerci in un altro sito. Appena scesi dalle auto ci troviamo con i piedi accanto ad una mandibola grandissima di Saurosuchus gigante. I denti sono quasi tutti spezzati, ma mostrano un diametro di circa 3 cm.! Ne ritroviamo altri due ed ancora ovunque ossa e frammenti di legno fossile. Il giacimento è lungo circa 180 km per una larghezza di 30 km. Lasciamo il campo fatto su una duna, appena fuori dalla valle e puntiamo verso la pista che viene da Bilma, non lontano dal famoso “Albero del Tenere”, abbattuto nel 1973 da un camion. Questa acacia, le cui radici raggiungevano quasi i 40 metri di profondità, era l’unica presente per centinaia di chilometri tutt’attorno. Durante il nostro zigzagare verso la pista, ci fermiamo accanto ad un pozzo. Subito un gruppo di dromedari si avvicinano e poco dopo, da sotto ad un’acacia,ci raggiunge una donna con un bimbo in braccio. Aker parla con lei e ci spiega che da giorni è sola perché il marito è andato a cercare pascoli e non ha i 30 metri di corda per tirare su, col secchio, l’acqua dal pozzo. Subito ci attiviamo e, non ostante i 45 gradi al sole, abbeveriamo le bestie e riempiamo le ghirbe della donna. E’ stata una fortuna per lei ed il bimbo, l’ essere noi passati casualmente da lì. Ma il Sahara è fatto così! Ritornati ad Agadez e salutata la guida puntiamo verso In Gali e poi a Nord verso l’Algeria. Lungo il percorso ci fermiamo in un altro posto che definirei infernale: le miniere di sale di Tegidda- n- Tessoum. Qui, per secoli, la gente ha scavato una piana creando un cratere sul cui fondo, in decine di pozze circolari, estraggomo il sale con un processo di evaporazione e concentrazione. Al caldo del deserto si associa l’umidità che rende il luogo invivibile. Si rientra in Algeria, ma. davanti a noi, vi sono ancora migliaia di chilometri di piste prima di arrivare all’imbarco a Tunisi; ma non ostante il caldo e la fatica… ne è valsa la pena. La visione dei serpenti di pietra delle leggende tuareg, vecchi di milioni di anni, ci hanno regalato emozioni inenarrabili.
Testo/Foto: Giuseppe Rivalta