Il periodo è quello della raccolta delle olive e la zona in cui mi trovo è Carovigno, tra Ostuni e San Vito dei Normanni. Quella parte nord della penisola salentina, ultimo baluardo dell’altopiano delle Murge prima della pianura. A un tiro di schioppo dall’azzurro cristallino del basso Adriatico, con le calette di sabbia bianca. Piccoli spazi rubati alle scogliere di calcarenite, costellate da antiche torri di avvistamento costiere.
Basta addentrarsi di poco, specie nella fascia di territorio tra Monopoli, Fasano, Carovigno e Ostuni, che agli occhi del visitatore appaiono gli avamposti di quella sorta di museo all’aperto, che caratterizza gran parte di questa Puglia da scoprire e godere. Sono i suoi alberi d’ulivo secolari, forme scultoree create dalla natura, opere d’arte che questa terra mostra nella loro nudità. Ovunque, tutt’attorno, si vedono le grandi chiome dalle foglie lanceolate, piante sempreverdi coi tronchi sofferti, contorti, nodosi. Scavati nel ventre dal tempo, che hanno lasciato la loro impronta profonda sul paesaggio e sulla gente. Contenitori di biodiversità, habitat e rifugio per piccoli animali.
Eccezionali ulivi secolari, sculture lignee vive come retaggio di una storia millenaria, riconosciuti dall’Unesco ‘patrimonio dell’umanità’. Come quello di circa 3000 anni che si trova lungo via Santa Sabina, di fronte al cimitero monumentale di Carovigno, con una circonferenza a 1,3 m. dal suolo, di circa 10,38 metri.
L’olio pugliese, una storia che si perde nella notte dei tempi
Sentinelle mute di un territorio antico, questi grandi alberi sono lì a ricordare il loro valore paesaggistico e naturalistico, ma principalmente quello economico. Perché grazie agli ulivi sono arrivate da sempre le principali risorse economiche, che hanno permesso lo sviluppo di queste terre. Un’eredità da mantenere viva perseguendo obiettivi di qualità, che oggi è minacciata dalla Xylella fastidiosa, un batterio molto aggressivo trasmesso dalla puntura di un insetto, la ‘Sputacchina’ (Philaenus spumarius), che nel basso Salento ha contribuito a distruggere una gran parte del patrimonio olivicolo.
Con circa 350mila ettari di terreno olivetato e 60 milioni di piante, la Puglia è il maggiore produttore di olio in Italia. Conta su quattro oli extravergini Dop: Dauno (Prov. Foggia), Terra di Bari (Prov. Bari), Colline di Brindisi (Prov. Brindisi), Terra D’ Otranto (Prov. Bari, Brindisi, Lecce). Ma anche se oggi le tecniche produttive ed estrattive sono cambiate nel tempo, queste piante hanno in gran parte il Dna di quelle introdotte dall’Asia minore migliaia d’anni fa forse dai Messapi, una popolazione indoeuropea di incerta origine e provenienza. Alberi secolari, memoria storica di un passato tutt’ora presente. Testimoni silenti di generazioni di contadini, che hanno accarezzato quelle chiome ricche di drupe carnose, da cui si estrae quest’olio extravergine, emblema di un’agricoltura sostenibile. Primo in Italia sia per quantità che per qualità, componente indispensabile della nostra insuperabile cucina mediterranea.
Se in molti modi veniva già usato dai Greci, furono i Romani – già dal VI secolo a.C. – a valorizzarlo anche per l’alimentazione. Specie per i palati dei più ricchi, che si potevano permettere l’Oleum ex albis ulivis, un prodotto di altissimo pregio ottenuto dalla spremitura di olive ancora verdi, che arrivava dall’Apulia (Puglia), ma anche dalla zona di Venafro (Molise) o dalla Liburnia, sull’attuale costa istriano-dalmata, in Croazia.
Olio, un prodotto diventato ben presto punto di forza nei commerci, che se trasportato via mare – specie da Brindisi, Otranto e Gallipoli – arrivava ai porti di Ostia antica e di Traiano (Portus). Qui i generi alimentari come cereali, vino e il prezioso olio d’oliva, risalivano il fiume Tevere fino al ‘Porto fluviale antico’ o dell’Emporium, per essere immagazzinati negli horrea del ‘Porticus Aemilia’, i cui resti sono visibili sulla sponda sinistra del Tevere, accanto a Ponte Sublicio. Per il trasporto via terra, si usava principalmente la via Appia, quella Regina Viarum che nel II secolo d.C. fu poi affiancata da una seconda importante strada voluta dall’imperatore Traiano: la via Traiana o Appia Traiana. Per la sua realizzazione fu sfruttato molto probabilmente il tracciato dell’originaria via Minucia (II secolo a.C.), che dal porto di Brindisi passava per Egnazia e andava a Benevento, per poi ricongiungersi con la via Appia verso Roma. Una strada importante, com’è storicamente provata anche dalla presenza delle numerose masserie sorte già dal IX secolo, ma in particolare nel XVI, coi loro frantoi ipogei, come quello semisconosciuto presso il Castello di Serranova (XIV-XVII sec. d.C.) nel comune di Carovigno, realizzati in grotte carsiche di cui sono ricchi questi territori e un tempo usate per conservare il grano. Olio poi usato tra il XVII e il XIX secolo, anche come ‘olio lampante’, per illuminare strade, regge e palazzi delle principali città europee; ma anche per farne del sapone, miscelandolo alla soda caustica (idrossido di sodio), come ben sapevano le nostre nonne.
Tante varietà, ma sempre una qualità d’eccellenza
Quante volte leggendo un’etichetta o ascoltando una pubblicità sentiamo ripetere il termine ‘Tipico’? Girando per il nostro lavoro, partecipando a degustazioni enogastronomiche o durante visite in aziende, ci capita spesso di trattare della tipicità di tanti prodotti. Che si tratti di cibi, vini o, come in questo caso, di oli extravergini di oliva, la loro tipicità e qualità è strettamente legata al clima, al territorio e alla tradizione. Così un olio extra vergine della varietà Nocellara Etnea, prodotto da ulivi coltivati su terreno vulcanico come quello della provincia di Catania, ha certamente caratteristiche ben diverse da quello proveniente da piante di Ogliarola Garganica, esposte ai venti marini ricchi di salsedine, del promontorio del Gargano. Un insieme di caratteristiche che, con l’uso di metodi tramandati da padre a figlio e le tecniche utilizzate in quei luoghi, ne fanno quello che si definisce un prodotto tipico. Se a livello nazionale esistono oltre 500 varietà di cultivar, sono più di due decine i tipi di ulivi presenti in Puglia, dove prevale l’Ogliarola (Salentina, Barese e Garganica), seguita dalla Coratina. Però, se anticamente si lasciava parecchio spazio tra una pianta e l’altra, per aumentare la resa del terreno sono poi state messe a dimora altre varietà, come Frantoiano e Leccino.
Il Fruttato, l’Amaro e il Piccante che distinguono l’olio extravergine di oliva
Per classificare un olio con l’etichetta di ‘extra vergine d’oliva’, serve stabilire la sua acidità, misurata in grammi di acido oleico ogni 100 grammi di olio. Secondo il disciplinare della Commissione Europea, presente nel Regolamento CE 1989/03, per essere classificato come olio extravergine di oliva, l’acidità deve essere uguale o inferiore all’0,8%. In questo senso, gli oli extravergini pugliesi hanno in comune la bassa acidità, che è inferiore allo 0,4%. Detto questo, per capire quali sono le principali caratteristiche di un buon olio extravergine d’oliva, dobbiamo percepire quelle sensazioni derivate dalla rottura dell’oliva date dal fruttato. È detto ‘verde’ se lascia nelle narici i profumi che ricordano l’erba tagliata: ‘maturo’, se ricorda il profumo proveniente dalla fruttiera casalinga. Quando invece si parla di ‘amaro’ ci si riferisce al sapore, spesso inteso, che può far ricordare quello lasciato dal carciofo mangiato crudo. Un sapore che come il ‘piccante’, causato dai polifenoli, sostanze antiossidanti che – come i tannini presenti nel buon vino rosso – hanno molte proprietà benefiche per la salute umana, tra cui antitumorali, antibatteriche e le malattie cardiovascolari. Proprio a causa di questa grande quantità di polifenoli un tempo non troppo apprezzati, specialmente l’olio estratto dall’oliva Coratina è ancora usato come “olio da taglio” per creare dei blend con altri oli meno pregiati.
Olive oil tasting nuovo Evo zona Carovigno
Durante una degustazione di olio extravergine d’oliva, fatta nel Castello di Carovigno per i giornalisti e blogger che partecipavano al ‘PressTourCarovigo20’, sono stati presentati cinque diversi prodotti della zona. Si è trattato di oli provenienti in particolare dalla molitura di Ogliarola salentina, Coratina e Cellina, che, “analizzati” sotto l’accorta la guida di Antonella Tamborrino – produttrice di olio, ricercatrice e docente universitaria di macchine e impianti presso l’Università di Bari – hanno esaltato tutte le qualità organolettiche presenti nelle bottiglie. Con lei Merilù Barbaro, che assieme a Carmela Barracane, dopo un convegno a Ostuni sulle problematiche del settore oleario, nel 2016 diedero vita a un’associazione tutta al femminile, ‘Olio di Puglia Dialoghi fluidi’, che ha preso le mosse da quella delle ‘Donne del vino’ e che punta a promuovere l’oro verde pugliese.
Tre donne con un curriculum di tutto rispetto, imprenditrici che guardano con occhi diversi al futuro della Puglia. Di Antonella Tamborrino abbiamo già detto; Merilù Barbaro è un’esperta in Marketing e anche lei, seppure indirettamente, si occupa di produzione olearia; Carmela Barracane, che ha guidato per anni l’azienda di famiglia, si è specializzata nelle tecnologie di trasformazione, sistemi di gestione, sicurezza nei frantoi e marketing. Inoltre, da assaggiatrice professionista, ha partecipato a premi nazionali e internazionali. Le loro parole d’ordine per rilanciare nel mondo l’olio extravergine pugliese sono qualità, innovazione e legame con il territorio. Perché, come ricordano, nel mondo vanno diminuendo i consumatori standard e aumentano sempre più quelli più esigenti, che da intenditori sono pronti a pagare di più per un prodotto per certi versi d’élite, nato da un legame storico con il territorio, grazie a quegli alberi secolari da cui provengono le olive raccolte a mano e il trattamento meccanico a cui sono poi sottoposte le drupe.
Ma purtroppo c’è ancora ignoranza sul prodotto da parte del “consumatore-massa”, condizionato dalle pubblicità e orientato verso oli più “appetibili” di noti marchi, i cui extravergini, ottenuti da Blend sapientemente “creati a tavolino” usando una «Miscela di oli di oliva provenienti dall’Unione Europea» (come riportato talvolta in etichetta). Si trovano normalmente sugli scaffali della grande distribuzione e chiaramente non possono avere le stesse caratteristiche organolettiche degli extravergini di produzione tipica. Ma sono venduti a prezzi talmente bassi, che nell’altro caso non coprirebbero nemmeno le spese di produzione. Anche per questo: viva le donne dell’OliodiPuglia.
Testo e foto/Maurizio Ceccaioni