Fare trekking a Porto Badisco, vedere certi luoghi, risentire emozioni dimenticate di quella gioventù ormai divenuta un ricordo, è stata una delle esperienze più interessanti del press tour Luci a Sud Est, organizzato dal ‘Distretto Produttivo Puglia Creativa’ e G.Local Tour Operator. Tutta la costa sud est del Salento si presenta ricca di percorsi naturalistici ed archeologici, con un mix di natura, bellezza, storia e mito. Come quello dell’antica Grecia, descritto dal poeta Virgilio nel III canto dell’Eneide, dove si racconta come Porto Badisco sia stato il primo approdo di Enea in Italia, dopo la fuga da Troia assediata con i suoi fidi, il padre Anchise ed il figlio Ascanio. Versione però messa in dubbio da alcuni esperti, per la non somiglianza dei luoghi, molto più riferibili a Castro (Castrum Minervae), lì vicino.
La narrazione del luogo, attraverso la voce della gente
In agosto il posto risulta molto affollato, decisamente troppo. Lungo la strada gruppi di bagnanti impegnati a conquistarsi un posto sulla minuscola spiaggia, banchetti con cesti di ricci di mare con i turisti in fila, e un furgoncino intento a vendere prodotti locali. Nello storico bar da Carlo si stanno preparando i tavoli esterni, per chi – come noi – si fermerà a gustare i cibi locali preparati da loro. Qui ci stava aspettando Francesco, la nostra guida ambientale, esperto in speleologia e biologia terrestre e marina. Parlando con qualche anziano capisci subito come questo posto si sia trasformato, da piccolo borgo con poche case di pescatori negli anni 60 del 900, in quella località turistica conosciuto nel mondo, il quale in pochi anni ha visto nascere villette, ristoranti, hotel, resort, B&B. Contendendosi lo spazio con le scogliere ed i resti antichi.
La spiaggetta contesa di Minna de Orcu
L’insenatura di Porto Badisco, ‘Minna de Orcu’ (il seno dell’Orco), è una profonda ‘tagliata’ scavata da un antico fiume. La spiaggia, in parte ricavata dalla bonifica di un residuo ambiente paludoso, costituisce anche l’unico approdo per i pescatori, i quali però si guardano bene dall’arrivarci col vento di scirocco, che li spingerebbe sugli scogli. Da tempo esiste un contenzioso tra cittadini e privati, i quali ultimi volevano impedirne la fruizione pubblica. Il fatto è che senza interventi il mare ha eroso la spiaggia demaniale, facendola ricadere catastalmente nella proprietà privata. Ma di recente la Corte d’appello di Lecce ha sancito la fine della storia, confermandone il diritto all’uso pubblico «per usucapione».
La collina della Grotta dei Cervi
Dall’alto si notano gli ombrelloni, accalcati l’uno sull’altro sulla spiaggia. Sulla collina di fronte tre piccoli manufatti si elevano a protezione delle entrate alla Grotta dei Cervi, ricadente nei 60 ettari dell’omonima azienda agricola privata. In questa zona sono state scoperte 8 grotte di origine carsica, che qui chiamano Cunicolo dei Diavoli, Grotta dei Cervi, Grotta del Corvo, Grotta della Legna, Grotta del Mammino, Antro di Porto Badisco, Buco delle Donne, Grotta del Leone e Grotta del Serpente. Ma la più importante di gran lunga rimane la Grotta dei Cervi, per la presenza di circa 2 mila pittogrammi neolitici con immagini antropomorfe e zoomorfe realizzate con guano di pipistrello ed ocra rossa. Un vero ‘santuario dell’arte neolitica’, unico nel suo genere a livello continentale, però impossibile da visitare per i comuni mortali, in quanto l’ossido di carbonio prodotto dal respiro umano e le sporte introdotte dall’esterno distruggerebbero e in breve tempo le delicate pitture preistoriche. Ma oggi, nel regno del 3D e della realtà virtuale, nulla vieterebbe di farne all’esterno una ricostruzione artificiale, con significativo apporto per il turismo culturale e destagionalizzato, in un territorio dove il turismo appare concepito soltanto in senso edonistico. Guardo il mare verso nordest e, su una rupe rocciosa all’orizzonte, si staglia un’antica torre di avvistamento aragonese. È la Torre Sant’Emiliano, una delle cinque torri costiere ancora esistenti e nostro prossimo obiettivo.
La macchia mediterranea ed i profumi trasportati dal vento
Ci vuole passione ed un po’ d’incoscienza a fare trekking con il caldo di agosto, appena mitigato da una brezza di maestrale, ma quell’ambiente selvaggio e la natura incontaminata capaci di ricordare la Sardegna, ci hanno catturati. Così ci siamo incamminati, sotto l’occhio vigile della nostra guida, per quel sentiero di circa 5 km in totale. Appena partiti notiamo dei ‘gechi kogi’ al fresco, dietro le inferiate dell’entrata della Grotta dei Diavoli. Superata la pinetina, si estende una vasta radura a macchia mediterranea, cresciuta tra le rocce calcaree ed i muretti a secco. La brezza marina trasporta i profumi delle piante spontanee ed officinali, assieme a quello del mare. Qui e là origano, finocchio, capperi, mirto, timo, lentisco, ginepro, fichi d’india, malva. Ma pure tanti i cespugli di ‘giunco spinoso’ (juncus acutus), qui chiamato “nfilateddhra”, perché usata dai pescatori per infilare pesci di piccola taglia a mo’ di coroncina per venderli. In una di queste, un ‘ragno vespa’ in attesa di prede ci guarda diffidente mentre lo fotografiamo. Lungo il sentiero avevamo notato una grossa fascia “anomala” di massi calcarei, con tracce di conchiglie e coralli pietrificati. La causa – ha spiegato la guida – fu un terremoto che il 20 febbraio 1743 colpì il Salento, ed a cui seguì uno tsunami con onde alte oltre 10 metri, che sollevarono questo fondale marino preistorico, depositandolo sulla costa rocciosa per una fascia 30 metri circa, fino alla Torre Sant’Emiliano.
La Torre Sant’Emiliano, baluardo della cristianità
Per difendersi dalle frequenti razzie saracene e prevenire le minacce provenienti dal mare, tra il XV e XVI secolo gli aragonesi costruirono in successione delle torri di guardia costiere, per comunicare a vista con segnali luminosi o di fumo ed avvertire del pericolo. Per esempio, dalla Torre Sant’Emiliano si vedeva bene Torre Palascìa a nord e Torre Badisco a sud, entrambe ora scomparse. La prima nel 1869, per far posto ad un faro; la seconda finita sotto il piccone della speculazione urbanistica, come l’antica cisterna del 700 ubicata sotto l’attuale belvedere del paese. La torre si trova su una spianata, ma la fatica della salita viene abbondantemente ripagata dal panorama che si osserva da lassù. Siamo nel Parco regionale costiero Otranto-Santa Maria di Leuca e da là si vede a sud anche la Torre di Minervino, a picco sul mare su uno sperone roccioso di 66 metri. Torre Sant’Emiliano fu ristrutturata anni fa con malta cementizia tipo il ‘coccio pesto’ dei romani, ma oggi necessita sicuramente di un nuovo intervento. Sotto, i colori delle acque vanno dal blu intenso al verde, al cobalto ed al ritorno si decide di fare un tuffo in quel mare. Ma quelle rocce – seppure interessanti dal punto di vista geologico per la presenza di alghe fossilizzate e conchiglie – ci hanno fatto soffrire a piedi nudi, ma ne è valsa la pena. Un mare solcato nei secoli dalle navi commerciali, di cui alcuni relitti sono sparsi lungo i fondali. Come quelli di una nave romana del II secolo a.C. che trasportava anfore olearie, vinarie e macine in pietra lavica, poi ritrovate sparse tutt’attorno. Ma pare che di quel carico, come spesso accade in Italia per molti reperti archeologici, se ne siano ormai perse le tracce da tempo.
Info: Pro Loco Porto Badisco: www.prolocoportobadisco.it – tel. 0836 81 16 40 – prolocoportobadisco@libero.it – Torre Sant’Emiliano tel. 0836 87 11 11 –
Testo/Maurizio Ceccaioni – Foto/Maurizio Ceccaioni e Google Immagini