C’è qualcosa di sottilmente affascinante nella Puglia. Te ne accorgi dal cielo, dai profumi, dalle distese di ulivi, dai resti del suo glorioso passato, dalla cucina locale, dal vino, persino il vento del mare sembra qui avere un profumo diverso. Ma quel che non smette mai di stupirmi qui, specialmente nel Salento, sono le persone. Forse per i ritmi diversi della vita, per la vicinanza con altre culture, considerando che per millenni la Puglia ha rappresentato, insieme a Sicilia e Calabria, il crocevia perfetto di un Mediterraneo che, anticamente, era considerato il centro del mondo. Forse è per il loro innato senso dell’ospitalità, o per l’abilità nel saper sfruttare i vantaggi delle nuove tecnologie pur rimanendo fedeli alle loro antiche tradizioni, o per tutti questi motivi insieme. Ma le genti del sud mi affascinano ogni volta che viaggio da queste parti, e questa volta è capitato nel Salento.
Decido di partire in treno, per rendermi conto di persona dei collegamenti tra il sud ed il resto d’Italia, anche se non è la prima volta che mi reco in Puglia né, si spera, l’ultima. Quando si viaggia in treno, all’andata c’è tutto il tempo per prepararsi, riflettere, leggere, mentre al ritorno c’è altrettanto tempo per assimilare tutto quel che si è visto e vissuto, metabolizzare emozioni e ricordi, e iniziare a pensare alla struttura da dare al reportage. Più che un mezzo di trasporto, il treno costituisce un mondo a parte. All’altezza della stazione di Caserta sale un uomo e si siede davanti a me, con tranquillità si sistema e inizia a leggere “Le 7 dinastie”, di Matteo Strukul. Dopo aver passato metà della mia vita a fare questo mestiere, ho ormai un certo occhio per riconoscere un collega. C’è un qualcosa, evidentemente, nel modo di muoversi e parlare, nello sguardo, che a livello inconscio ti fa capire che quello che hai davanti è un giornalista. Non mi sbagliavo: l’uomo davanti a me si rivela essere un collega, Vincenzo D’Antonio. Bene, ora ho compagnia. Il resto del viaggio prosegue tra letture in silenzio e dialoghi con Vincenzo. L’uomo, per fortuna, non sembra avere l’ossessione di parlare di continuo, come capita spesso ai compagni di viaggi in treno, ma quando lo fa si rivela sempre interessante. Ma, mano a mano che ci dirigiamo verso il sud Italia, il treno diventa sempre più vuoto, e il binario è uno solo, fino a Lecce. Qui torno a notare, ancora una volta, il primo dei pro ancora enorme. Provate a confrontare le offerte di treni verso Milano con quelle verso Lecce, in un qualsiasi motore di ricerca online.
Sembra quasi che gli unici miglioramenti siano ancora quelli voluti da Mussolini, quando in seguito alla sua “Battaglia del grano” fece bonificare molte zone della Puglia e potenziarne la rete di trasporti, in seguito ai vasti consensi raccolti dal Fascismo nel sud del Paese nei primi anni ’20 del secolo scorso. Circola ancora, in Rete, una foto d’epoca di un impettito Mussolini davanti alla stazione di Lecce nel 1934, nello stesso punto dove infine scendiamo io e Vincenzo. Ci vengono a prendere con il Van, c’è solo da aspettare qualche minuto che arrivi un altro collega, Pietro Civera. Appena ci conosciamo provo, lo ammetto, una decisa antipatia per lui: mi sembra troppo elegante, troppo sicuro di sé, troppo tutto. Mi sbaglio, e di molto. Nel corso dei cinque giorni successivi si rivelerà una delle persone più piacevoli che ho incontrato in più di vent’anni di mestiere. E non solo lui: in questi tour è quasi inevitabile dividere simpatie da antipatie, e non manca mai quel collega con il quale non c’è proprio verso di legare. Invece qui tutti i nomi si riveleranno belli e interessanti, Annamaria, Valentina, Antonio, Manuela, Paola.
Ci si sistema, ognuno ospitato nella sua struttura. A me, Vincenzo e Paola capita la Dimora Vicolungo, nella scalinata omonima, storica strada del borgo antico di Ugento di fianco al grande Castello Angioino. I cinque giorni successivi saranno una miniera di emozioni, volti, storie, persone, sapori. Si parte già poco dopo il nostro arrivo a Ugento, con Giovanni Venneri, considerato da queste parti (a ragione, come scopriremo quasi subito) un po’ il patriarca dei dolci pugliesi: oggi regge ancora benissimo, insieme al figlio Roberto, il timone del suo “Cafè dei Napoli”, pasticceria storica fondata dal nonno. Tra le altre cose, ci racconta di essere stato uno dei primi, negli anni ’80, a portare qui il panettone, dolce fino ad allora considerato esclusivo del nord Italia.
Da qui proseguiamo, in serata, verso la festa di san Martino, a Taviano, vicino Ugento. Legata alla figura di San Martino di Tours, vescovo e fondatore, insieme ad altri, del monachesimo occidentale, oltre che patrono di un intero catalogo di paesi e di professioni: Ungheria, Francia, Guardia svizzera pontificia, cavalieri, albergatori, mendicanti, vendemmiatori, osti, sarti, viticoltori. Come tutti i santi, ha avuto una vita sospesa tra realtà e storia: la sua conversione al cristianesimo, narra la leggenda, risale a una gelida notte d’inverno del 335 d.C. quando Martino, allora semplice soldato dell’Impero romano, durante una ronda divise il suo mantello con un mercante, semi congelato a causa dello scarso abbigliamento. In seguito a quel gesto, Martino ebbe la visione di Gesù Cristo vestito proprio con la metà del mantello donata allo sconosciuto mercante. Pare che, solo in Italia, ci siano 900 chiese a lui dedicate, e lo si festeggia in po’ in tutto il Paese, l’11 novembre, con l’apertura delle botti del vino al mattino presto, nel corso di eventi che riuniscono felicemente i riti religiosi con i festeggiamenti laici.
Il secondo giorno invece parte male: è piovuto durante tutta la notte e il mattino seguente. Scostando la tenda della mia stanza, vedo solo una muraglia di acqua e di fulmini. Si calmeranno nelle ore successive, per poi non ripresentarsi più per tutta la durata del nostro tour. Per fortuna, la giornata di oggi prevede solo visite al coperto: cantine, castelli, e in particolare l’eccellente museo storico di Ugento. Qui veniamo accompagnati da Angelo Minenna, che più che una guida sembra una specie di Wikipedia vivente della storia antica del Salento e dintorni.
Il giorno dopo, sempre in Van, ci rechiamo al percorso “Tra gli ulivi dei templari”. Già solo il sentir tirare in causa gli antichi cavalieri di Cristo mi fa pensare che sarà un’altra giornata interessante. Non mi sbaglio: nel corso del tour conosciamo infatti Gianroberto Antoniotti, uno di quei personaggi che spero sempre di incontrare nel corso dei miei viaggi.
Al timone dell’omonima azienda, viticoltore, nonché appassionato esperto della storia dei templari (caratteristica che, insieme alla sua piacevole compagnia, me lo rende simpatico da subito), Gianroberto è uno che crede poco nei social network, se non per strette esigenze di lavoro, e preferisce affidarsi al contatto diretto, umano. Quel genere di persona con qui passeresti volentieri una giornata intera a bere caffè al bar della piazza, parlando di ulivi e di cavalieri. Ci guida qui in un percorso fatto di macchinari allora avveniristici (parliamo dei primi 30 anni del secolo scorso) e di cultura (e coltura) degli ulivi, la cui storia si intreccia con quella delle famiglie dei Villani e dei Lubelli, tra le più antiche del Salento. Già proprietarie di diversi feudi, le due dinastie si meritarono il titolo nobile praticamente “sul campo” al servizio dei vari re della storia, con tanto di motto: “Lux belli et pacis” (Luce in guerra e in pace) i Lubelli, e “Sans reproche” (Senza macchia) i Villani.
Nel sud Italia, più che nel resto del Paese, sembra che quasi ogni personaggio che si incontra sia una specie di straordinaria enciclopedia folkloristica e culturale della zona. Come Francesco Winspeare, attualmente erede a capo della cantina Castel di Salve, che ci spiega storia e meccanismi della sua azienda e della cultura vinicola del Salento. Elegante, colto, prodigo di aneddoti, personaggi come Winspeare ne ho incontrati solo nel nord della Scozia. O anche Agostino Branca, maestro dell’omonimo laboratorio di ceramiche a Tricase, e Rocco Cazzato, singolare figura di oste d’altri tempi che, già dal nome, sembra un personaggio uscito da un film di Nanni Moretti. Entusiasta, baffuto, rubicondo, focoso marinaio/oste che ci intrattiene per tutta la durata del pranzo nel suo ristorante “Anime sante”, grazie anche al suo inesauribile archivio mentale di aneddoti e storie locali.
Passiamo a trovarlo, Rocco Cazzato, in una fresca mattinata trascorsa in riva al mare, dopo aver visitato il Porto Museo di Tricase, un eccellente epicentro di scienze e ricerche marine incluso nell’area del Parco naturale regionale “Costa Otranto, Santa Maria di Leuca e Bosco di Tricase”. Una specie di prezioso scrigno che racchiude, tra le altre cose, cantieri di cucina, musei marittimi, biblioteche, centri di ricerca scuole di vela. Anche qui, come nel resto del nostro tour (e nella Puglia in generale) ho notato una grande abilità nel saper unire antiche tradizioni e recenti tecnologie, come se ci fosse ovunque una forte volontà di proiettarsi nel futuro, senza dimenticare gli insegnamenti degli antenati (la quasi totalità delle aziende in queste zone è stata fondata da nonni o bisnonni degli attuali proprietari). Qui, ci spiegano saggiamente, per avere successo c’è bisogno sia del contadino, sia del tecnico laureato.
Nonostante i danni causati dalla Xylella, che in molte zone ha costretto a ridisegnare la mappa dell’economia del Salento, qui nessuno sembra avere intenzione di arrendersi, e con umiltà, abilità e tenacia vanno avanti. C’è chi fa il contadino di giorno e il pescatore di notte, o persino chi passa le giornate nei campi e le serate su progetti e libri contabili. Lo scopo, e sembra che siano ormai sulla buona strada, è quello di far diventare il Salento sia un polo di eccellenza culturale, agricola, marittima e gastronomica, sia di renderlo attraente per i turisti anche al di fuori della stagione estiva. Per fortuna qui non cercano i grossi numeri dell’escursionismo di massa, che anzi finirebbe per danneggiare il paesaggio, ma un turismo più diluito, costante, consapevole e culturale.
Non è una terra di semplici persone, ma di personaggi, di anime. Dall’elegante erede dell’antica famiglia di viticoltori, che ti intrattiene per giornate intere con storie di dinastie e popoli, fino al contadino che, a sorpresa, conosce a memoria la storia del castello su quella collina, passando anche per Antonella, la ragazza che ogni mattina, con le sue colazioni, ci faceva iniziare la giornata nel migliore dei modi. Sarà forse per il cibo, che qui è sempre eccellente (mi dicono sia dovuto al clima e alla vicinanza con il mare), sarà forse per i suoi abitanti, per questa loro perenne voglia di migliorarsi, o forse sarà per il paesaggio o la cultura locale, che ha preso il meglio di vari popoli (Grecia e Albania sono praticamente dietro l’angolo), ma questa terra, la Puglia, non sembra una regione, quanto piuttosto un affascinante scrigno di meraviglie, molte ancora da scoprire.
L’autore, nel corso del reportage, è stato ospite insieme ad altri 7 colleghi del press tour “Eductour sulle orme di Bacco”, che ha coinvolto le seguenti strutture:
Porto museo di Tricase: http://www.portomuseotricase.org/index.php/it/il-porto-museo/il-porto-museo-di-tricase
Bed and Breakfast “Dimora Vicolungo”: http://www.dimoravicolungo.it/
Museo storico di Ugento: http://www.sistemamusealeugento.it/places/nuovo_museo_archeologico.html
Azienda vinicola Garofano: https://vinigarofano.it/
Resort Maison d’Enri: https://www.maisondenri.com/
Azienda Zecca: http://contizecca.it/
Azienda “I Contadini”: www.icontadini.it
Cantine Bonsegna: http://www.vinibonsegna.it/index.php
Ristorante Hotel “A casa tu Martinu”: http://www.acasatumartinu.com/
Casa vinicola Provenzano: www.cantineprovenzano.com
Azienda Vinicola Castel di Salve: www.casteldisalve.com
Azienda agricola Antoniotti Villani Lubelli: www.agricolantoniotti.it
Cantina Coppola: www.cantinacoppola.it
Ristorante “La locanda dei camini”: www.lalocandadeicamini.it
Trattoria “La vecchia botte”: www.trattorialavecchiabotte.com
Branca Ceramiche: https://it-it.facebook.com/ceramichebrancatricase/
Masseria l’Astore: www.lastoremasseria.it
Testo e foto/Emiliano Federico Caruso