In queste pagine si vuole rendere omaggio a tutte quelle persone che sono nate in Sardegna le quali, per la mancanza di posti di lavoro, si sono dovute trasferire “in continente” per trovare quel benessere economico che nella loro terra non era più disponibile a causa di una profonda crisi sociale e politica che ha ridotto drasticamente le attività commerciali sia nel settore minerario che agro-pastorale.
Giovanni Lilliu, notissimo archeologo, nato a Barumini, in una delle sue pubblicazioni, definisce la Sardegna come “…un frammento di un vecchio ed esteso continente alla deriva…” In questa frase troviamo sintetizzati in maniera esemplare i più evidenti elementi che caratterizzano questa regione italiana che emerge dal centro del Mar Mediterraneo:
vecchio: perché è una terra formatasi in tempi antichissimi e perché nasconde una delle culture tra le più remote e misteriose
continente: perché è un territorio con una grande varietà di morfologie naturali tali da superare il restrittivo concetto di “regione”
alla deriva: per le caratteristiche di un vissuto storico delle popolazioni autoctone che son rimaste chiuse in se stesse senza sfondare all’esterno. Tutti questi elementi fanno della Sardegna una terra dove ancora oggi la Natura e la Storia dell’Uomo, si fondono intimamente creando un mondo certamente unico in tutta l’area mediterranea ed anche ben oltre.
Un mondo dove ancora la Preistoria sfuma nella Storia
Merita, a questo punto, una brevissima sintesi riguardante le fasi antiche di quest’isola per meglio apprezzarne l’unicità di questo territorio.
Nel Neolitico esisteva già una rete di contatti commerciali con le regioni delle coste mediterranee in cui era in arrivo la diffusione del fenomeno megalitico. Il passo successivo fu la nascita della civiltà nuragica durante la Media e Tarda dell’Età del Bronzo che proseguì fino all’Età del Ferro (1700-700 a.C. circa). Dopo i dolmen, i menhir e le domus de janas, apparirono ben presto i Nuraghi, grandi costruzioni megalitiche che sono diventate una caratteristica di quest’isola.
Il culto dell’acqua
La Sardegna non è mai risultata una terra ricca di fiumi, né di riserve idriche di superficie molto abbondanti, poiché il prezioso liquido, da sempre, ha soggiornato in massima parte nel sottosuolo all’interno delle numerose grotte presenti in molte aree. Per tutta la Preistoria l’acqua ha sempre segnato la nascita, lo sviluppo e la scomparsa delle civiltà. In generale dove l’acqua è rara, una sorgente è da sempre stata interpretata come una manifestazione della divinità nascosta sottoterra. In molti casi la polla, che usciva gorgogliando dal terreno, era immaginata come l’occhio di un essere misterioso e quindi sacro. Non è un caso che, in lingua araba, la parola “sorgente” venga tradotta col termine ain che significa appunto “occhio”. In Sardegna questo aspetto di “divinizzazione” della sorgente è diffuso in diverse zone. A tal riguardo, ad esempio, lo troviamo nel particolarissimo santuario nuragico di Santa Cristina nell’oristanese. Qui l’architettura è contraddistinta da uno stile originalissimo. Una ripida scala penetra all’interno della struttura restringendosi sul fondo fino a toccare l’acqua immobile di un pozzo sulla cui verticale si apre un foro attraverso cui entra la luce del sole o della luna. Ancora oggi l’atmosfera suggestiva che si percepisce è la stessa di migliaia di anni fa. Nelle immediate vicinanze di questi luoghi, accanto a queste sorgenti, il senso del divino non è mai venuto meno come si comprende dalla attigua presenza di chiese costruite fin dai primi tempi dell’era cristiana. Un caso tra i tanti, è quello del pozzo nuragico a lato della chiesa di Santa Anastasia del X° secolo.
Il culto dell’oltretomba
Il rapporto dell’uomo con la “morte” ha, in Sardegna, lasciato testimonianze singolari. Una delle più significative è quella che, la tradizione popolare, chiama “Tombe dei giganti”. La struttura e le dimensioni di quella di “Sa ena e thomes”, situata sul Rio Isalle, poco distante dal villaggio nuragico di Serra Orrios (Dorgali), ne rappresenta un tipico esempio. In molte parti dell’isola s’incontrano altri tipi di sepolcri come le domus de janas o “case delle fate” Si tratta di nicchie e camere scavate nella roccia, spesso in massi granitici zoomorfi, realizzate in epoca prenuragica.
L’epoca storica ha visto l’avvicendarsi di diverse culture. Le coste vennero occupate dai punici di cui Tharros ne rappresenta un magnifico esempio. Le Terme di Fondongianus (Forum Traiani) dove ancora oggi, le donne lavano i panni nelle antiche piscine termali create dai romani. Più avanti nei secoli, sulle campagne svettano i campanili di chiese dalle architetture tipiche della dominazione pisana a cui seguirono gli aragonesi ed infine i piemontesi. E’ stata sempre una terra contesa e difesa strenuamente dai discendenti dei nuragici facendo dei sardi, un popolo chiuso, duro ed intransigente che si è creato così un “habitus” di auto conservazione. Al contrario di altre popolazioni insulari, questa non ha cercato di conquistare qualcosa o qualcuno, non ostante la capacità di spostarsi per mare.
Come conoscere oggi la Sardegna autentica?
Il turismo, da decenni, ha scoperto alcune zone dell’isola, ma non è questo il modo corretto di penetrare nella realtà dei luoghi in cui c’è una natura intatta e gente autentica e genuina. Le diverse Baja Sardinia, Porto Cervo, Costa Smeralda, tanto per citare quelli più gettonati, oltre ad altri, non mostrano più la “vera” Sardegna. Qui i visitatori restano confinati in complessi turistici avulsi dalla realtà dell’isola. Si tratta di un falso approccio antropologicamente ed ecologicamente poco corretto che il più delle volte ha alterato l’ambiente originale e ancestrale. Tuttavia alcuni municipi, fortunatamente, hanno sentito la necessità di salvaguardare il passato creando percorsi ben studiati per recuperare nuovi fondi alimentati da un turismo sensibile e culturalmente preparato. Lo scopo è quello di recuperare quegli habitat, le specie in pericolo e per far conoscere l’antica storia archeologica di località spesso abbandonate. Molte straordinarie grotte, bellissime e gigantesche, sono state sottoposte a vincoli di salvaguardia per le concrezioni e per le rare faune ipogee che contengono. Sono nate cooperative di giovani che hanno fatto, del turismo consapevole, un loro nuovo mestiere. La protezione di specie considerate a rischio di estinzione, grazie ad una nuova consapevolezza ecologica, stanno lentamente ripopolando i diversi areali dove vive la Foca monaca, il Cervo sardo ed il Grifone ed altre faune minori.
Con il trekking (il cosidetto “cammino lento”) si possono raggiungere territori interessantissimi quasi sconosciuti ai più. Tra i numerosi itinerari, uno dei più affascinanti è quello che parte e ritorna a Dorgali facendo un anello che sale a Monte Tiscali e raggiunge la valle del Rio Flumineddu tra altipiani e boschi disabitati. S’incontra uno tra i canyon più lunghi dell’isola passando dal Supramonte settentrionale fino a incontrare l’impressionante e stretta gola di Gorropu.
Partendo da Dorgali, un paese di oltre 8000 abitanti, sul Golfo di Orosei., si arriva a Scala Surtana che, con una lunga salita, arriva sulla cima di Monte Tiscali (518 metri s.l.m.) caratterizzata da una ampia voragine. Si tratta di una grotta con la volta sfondata da un antico crollo. Aggirando la cima si percorre uno stretto sentiero che conduce all’interno della cavità. Attraverso questo passaggio le truppe romane, che si erano ormai insediate nell’isola, riuscirono a sconfiggere le genti nuragiche che qui vivevano letteralmente nella montagna, dove avevano costruito un villaggio rupestre poiché avevano più volte creato sanguinose imboscate alle ai romani. I resti delle capanne nuragiche, costruite con muri a secco, oggi sono in parte restaurate conservando ancora un fascino particolare. Il percorso prosegue per altre ore, oramai abbastanza in quota, fino ad una ampia valle carsica (tipo polje) che un tempo probabilmente formava un lago temporaneo. Oggi s’incontra un’unica sorgente con poca acqua che si raggiunge sul fondo di una piccola grotta (Fumana sarga). Poco lontano si passa accanto ai ruderi di un nuraghe a torre semplice ed ad una capanna di pastori, classico cuile, a base circolare in pietra e col tipico tetto conico di tronchi di legno di ginepro e frasche, identico alle capanne di epoca nuragica.
In determinati periodi dell’anno è possibile osservare il quotidiano lavoro dei pastori che qui vivono pascolando il loro gregge da cui ricavano latte, formaggi e ricotta che vendono nel paese a valle, trasportandoli con l’aiuto di un asino.Si costeggia la grande dolina di Su Sercone profonda 200 metri in cui vivono gruppi di mufloni e che racchiude un mondo vegetale rimasto intatto nei secoli. Attraversata la Piana di Donannigoro si penetra in boschi fittissimi e si scende attraverso il Rio Titione arrivando sul letto del Rio Flumineddu che si è scavato, nel massiccio calcareo, un vero e proprio canyon (la Gola di Gorropu). La bellezza selvaggia di questo posto è difficile da descrivere. Se si risale la stretta valle, arrivati in quota, s’incontra un nuraghe (Su Gorropu) in una posizione che permetteva un contatto visivo con altri situati sulla riva opposta della valle del Rio Flumineddu.
Proseguendo si arriva ad una capanna di pastori non lontano dalla località chiamata Campos bargios sul confine dei due comuni di Orgosolo ed Urzulei. A tal riguardo i pastori del posto raccontavano una brutale vicenda qui accaduta nel lontano 1920 circa. In questo posto, immerso nei boschi, lavoravano degli allevatori di bestiame del paese di Urzulei ed altri che producevano carbone di legna. Abitualmente tutti i sabati le loro donne portavano lassù i rifornimenti settimanali. All’improvviso, un sabato notte, genti di Orgosolo attaccarono questo gruppo di persone uccidendo tutti gli uomini, rapendo le donne ed incendiando il piccolo villaggio. Ovviamente, come sempre accade, la gente di Urzulei si vendicò ben presto per la strage subita e per il rapimento delle loro mogli e figlie. Oggi, quello che restava, del piccolo villaggio incendiato di Campos Bargios, dopo decenni, è stato finalmente ricostruito. Tutto ciò, che è sinteticamente stato descritto, vuole essere solo un invito a conoscere l’interno della vera Sardegna. Esistono numerosi altri itinerari anche alla portata di quelle persone che non sarebbero in grado di muoversi con venti chili di zaino in spalla per diversi giorni. E’ tuttavia importante, prima di partire, documentarsi, per meglio apprezzare questo ambiente. Per dirlo con il famoso scrittore nuorese Salvatore Satta: ” A Nuoro, come a La Mecca, non si arriva senza una lunga preparazione di spirito e di cose.”
“Su campusantu est su Monte.
No hane reposu a sa morte.
In Tiscali ogni notte…
Andan puppas vagantes,
anima pellegrina,
de sos antico Pellittas,
e hallan incampor de preda,
ballar d’antica agonia.
Pietro Sotgia (poeta dialettale di Dorgali)
Testo e foto/Giuseppe Rivalta