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Homepage > CULTURA > NATURA/SCIENZA > Scoperto in Puglia il primo reefs del Mediterraneo
marzo 17, 2019  |  By Giulio Badini In NATURA/SCIENZA

Scoperto in Puglia il primo reefs del Mediterraneo

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Le barriere coralline – reefs in inglese – sono formazioni tipiche dei mari tropicali, quindi ad acque calde, composte da rocce sottomarine biogeniche, cioè costruite ed accresciute nel tempo dalla sedimentazione degli scheletri calcarei dei coralli, animali polipoidi.  Le barriere si presentano come luoghi straordinariamente ricchi di biodiversità, in quanto i coralli creano un habitat ideale, ed offrono riparo e protezione a migliaia di specie diverse di pesci, crostacei, molluschi ed echinodermi, tanto da diventare il sogno di ogni sub e fotosub.  Con simili premesse risulta difficile immaginare qualcuno intento a cercare reefs nel Mediterraneo, un mare con caratteristiche non certo tropicali, a cominciare dalla temperatura ben più fredda dell’acqua.  E invece è bastato provarci, per trovarne subito uno, o addirittura più di uno, o quanto meno qualcosa di piuttosto simile.  Ma andiamo con ordine.

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Da tre anni a questa parte il Dipartimento di Biologia dell’Università di Bari, sotto la guida del suo direttore Giuseppe Corriero, sta monitorando il mare al largo di Monopoli, 48 km a sud-est del capoluogo,  per effettuare la mappatura del fondale quando,  ad una profondità compresa tra i 40 ed i 55 m ed a circa 2 km dalla costa, i sub non senza sorpresa hanno individuato una formazione rocciosa del tutto simile ad una barriera corallina,  analoga  a quelle famose presenti nel Mar Rosso o alle Maldive.  I ricercatori ritengono che questa possa proseguire, anche se non compatta ma fratturata in parecchi punti, da un lato almeno fino a Bari e dall’altro fino ad Otranto, per una lunghezza complessiva di almeno 135 km. La differenza tra la formazione pugliese e quelle classiche risiede soprattutto nella notevole profondità delle prime rispetto alle seconde, e quindi alla mancanza dei colori accentuati delle seconde dovuta alla scarsità di luce delle prime.

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La luce solare costituisce infatti  il carburante della barriera, posta sempre  ad una modesta profondità, che attraverso alghe fotosintetiche viventi in stretta simbiosi con i coralli, stimolano la crescita dei loro scheletri calcarei.  Fin dal lontano Cambriano medio (513 – 501 milioni di anni), la storia geologica della terra registra la presenza di barriere coralline biocostruite, magari rinvenibili oggi come fossili nei sedimenti depositati da antichi mari.
“L’aspetto paradossale è che ce l’avevamo davanti agli occhi da sempre, ma non l’abbiamo mai vista fino a tre anni fa”  dichiara il prof. Corriero.  Nel caso delle barriere classiche i processi di simbiosi tra le madrepore (animali marini che costruiscono i banchi corallini) sono favoriti dalla presenza della luce, mentre la nostra barriera vive in penombra e quindi le madrepore costruiscono queste strutture imponenti di carbonato di calcio in assenza della funzione fotosintetica svolta dalle alghe, e quindi la colorazione risultata piuttosto tenue.  I colori dei coralli pugliesi si presentano quindi più soffusi, dati da spugne policrome con tonalità variabili dall’arancione al rosso, fino al viola.

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Il progressivo riscaldamento del pianeta registrato in questi ultimi decenni sta provocando notevoli variazioni anche in questo campo: la grande barriera corallina australiana, ad esempio, sta morendo progressivamente per il caldo eccessivo, mentre diverse specie tipicamente tropicali stanno penetrando nel Mediterraneo attraverso il Mar Rosso e lo stretto di Suez, in cerca di acque più tiepide.  Se dovesse continuare a lungo questa tendenza, un giorno parecchio lontano potremmo avere vere e proprie barriere coralline nel Mediterraneo.
Grazie all’impiego di  moderne tecnologie ed a strumenti più avanzati, negli ultimi anni si è scoperta la presenza lungo alcune coste meridionali della penisola di sopraelevazioni rocciose del fondale marino dovute a madrepore biocostruttrici, anche a rilevante profondità (attorno ai 500 m), appartenenti alla stessa classe di organismi che generano il corallo, gli antozoi, ma incapaci di produrre il corallo rosso, quello pregiato da gioielleria.

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Questa scoperta innalzerà inevitabilmente il turismo nella zona, perché non saranno pochi i sub provenienti da tutta Europa che vorranno cementarsi con queste singolari formazioni corallogene.  Prima pertanto di aver provocato danni irreparabili, sarà opportuno che le autorità competenti assumano provvedimenti di tutela per questo già incantevole tratto di mare.

Testo/Giulio Badini – Foto/Google Immagini


 

 

 

 

 

 

 

 

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