Vengono considerati tra i sauri maggiori rimasti sulla faccia della terra, dei giganteschi lucertoloni lunghi fino a 3 m ed 80-100 kg di peso, dalla pelle squamata e con un’enorme lingua biforcuta, camminano velocissimi per la loro notevole mole sospesi su arti possenti e con una coda equilibratrice usata come una clava a menar fendenti supplementari ed a spaventare i nemici. Oltre ad essere poco gradevoli dal punto di vista estetico, a metà strada tra dinosauri bassotti e draghi delle leggende medievali, questi rettili semi-preistorici hanno anche un pessimo carattere, soprattutto da giovani, tanto da essere qualificati come gli animali più aggressivi e feroci in assoluto, capaci di assalire prede assai più grosse di loro, come bufali ed uomini, ben sicuri della loro vittoria a priori.
Stiamo parlando del Varano di Komodo – Varanus komodoniensis, una delle maggiori attrattive naturalistiche dell’Indonesia e del sud-est asiatico, presente con non più di 5.000 esemplari di cui 2.300 protetti all’interno dei Parco nazionale dell’Isola di Komodo ed altre minori delle Piccole Isole dalla Sonda, ubicate tra le più note Bali e Lombok ad ovest e Flores ad est. Il guaio per questa specie a rischio di estinzione è di annoverare “soltanto” 250 femmine attive. L’interesse per questi animali retaggio della preistoria è cresciuto in maniera esponenziale in questi ultimi anni, portando il numero dei visitatori del parco ad un livello intollerabile di una media mensile di 10 mila persone, troppe per un habitat delicato dove vivono meno di 4.000 abitanti, tutti più o meno legati al turismo. Problemi di affollamento non ce l’hanno soltanto grossi centri come Venezia o Roma, ma anche altri minori come Capri, Pompei o Machu Picchu, e tanti tanti altri, dove i turisti non si limitano a fare danni abbandonando plastica e cartacce, scrivendo il proprio nome sui muri o rubando qualche tessera di mosaico.
Ma, per quanto incredibile ed inimmaginabile possa risultare, i problemi a Komodo non sono soltanto di eccessiva pressione ambientale, tutto sommato comprensibili. Negli ultimi tempi la popolazione dei draghi è cominciata a diminuire numericamente, senza lasciare una minima traccia o una spiegazione logica. In un’isola grande come tre volte l’Elba i ranger del parco conoscono questi animali uno per uno, fino ad attribuire un nome a ciascuno. La recente scomparsa in una settimana di ben cinque individui ha convinto tutti sul fatto che nel parco è in atto un lucroso commercio di draghi, rubati sicuramente più da organizzati bracconieri che non da turisti in costume ed infradito. Anche il turista più sprovveduto è stato infatti avvertito di tenersi ad un distanza minima non inferiore ai 10 m, in quanto questi rettili attaccano con balzi improvvisi quando uno meno se lo aspetta, senza lasciare alcun scampo. Meno credibile che ci sia qualche ricco snob in giro per il mondo disposto a pagare cifre esorbitanti, per mettersi in giardino un lucertolone tanto brutto quanto feroce, che se per caso dimentichi da dargli la sua razione di carne al giorno non ci pensa due volte a sbranarti. Ma al mondo abbiamo imparato a non meravigliarci proprio di nulla.
Dopo alcuni tentativi abortiti da parte delle autorità locali, per contenere il numero di visitatori elevando il prezzo del biglietto di ingresso fino a 500 dollari (una cifra spropositata anche per turisti danarosi, ora sono giunti a più miti consigli, ma sempre nell’intento di quanto meno dimezzare il numero di presenze medie: dal 2020 per entrare occorrerà registrarsi in anticipo sul sito del parco, e verranno concessi non più di 160 permessi al giorno. Vedremo se un minor afflusso, e pertanto anche un maggior controllo, eviterà ai bracconieri di rubare altri draghi da Komodo. Se abbiamo messo in evidenza l’aspetto estetico poco accattivante e la feroce voracità dei varani giganti, non possiamo altrettanto astenerci dal mettere in luce l’interesse scientifico di questa specie, nonché i suoi curiosi comportamenti etologici.
Vengono considerati gli eredi residui di una popolazione di animali di taglia ancor maggiore, estintasi a fine del Pleistocene, diffusa tra Indonesia ed Australia. Oggi vive in un ristretto areale tra foreste tropicali e zone fluviali in alcune isole dell’arcipelago della Sonda. La sua spavalda ferocia lo porta ad attaccare anche prede grandi ben cinque volte più di lui, consapevole del fatto che alla fine l’avrà vinta lui. Si muove lentamente, quasi handicappato e disinteressato, per poi attaccare rapido e fulmineo la preda designata, sbranandola con le unghie aguzze ed i denti affilatissimi. Ma la vera arma segreta e letale risiede nella saliva e nel sangue, sotto forma di un antibiotico velenifero (passatemi l’espressione poco accademica) che in poche ore condurrà la vittima alla morte. Gli studiosi stanno studiando le proprietà di quest’arma, nella speranza di mettere a punto un nuovo antibiotico assai più potente. Ed i varani sanno aspettare, inseguendo anche pazientemente le loro prede ferite per giorni, fino all’esito scontato.
Sono buoni nuotatori, arrivano a percorrere 10 km al giorno ad una velocità di crociera di 20 km/h e fiutano l’odore della carne a 5 km di distanza. Attaccano cervi, cinghiali, bufali, ed il caso di necessità anche uomini, d’apprima restando immobili e mimetizzati, poi scattando come saette sulla preda; riescono a divorare prede pari all’ 80 % del loro peso, di cui non lasciano nulla di commestibile, zoccoli ed ossa comprese. Con la lunghissima lingua biforcuta, saettante come una vipera, tastano il terreno in cerca di tracce. Sconosciuti dalla scienza fino al 1912, ma ben presenti nei miti ancestrali locali, si riparano in tane sotterranee e le femmine fanno le uova entro nidi abbandonati da uccelli. Curiosamente, oltre alla riproduzione sessuale normale, questi sauri in cattività possono riprodursi anche senza consumare rapporti sessuali, nel qual caso nascono però soltanto maschi. Infine, oltre a spazzini di cadaveri, sono pure cannibali, tanto che i giovani sono costretti a vivere i loro primi tre anni sugli alberi della foresta tropicale, per non essere divorati dagli adulti affamati. Sono longevi, potendo vivere fino a 65 anni, e da anziani diventano meno irruenti ed aggressivi.
Il Parco nazionale di Komodo, istituito nel 1980 per la protezione dei varani giganti, nel 1991 è diventato sito Unesco come patrimonio dell’umanità e, successivamente, anche riserva della biosfera Unesco; infine nel 2011 è stato riconosciuto come una delle 7 nuove meraviglie naturali del mondo moderno. Si estende per 1.817 km2 (otto volte l’Elba), per un terzo su isole collinari vulcaniche dall’incredibile morfologia assai tormentata, dove oltre ai draghi protegge la foresta tropicale abitata da cervi, bufali e cavalli selvatici. Ma la maggior ricchezza in biodiversità risiede in un mare stupendo, ben noto agli appassionati di immersioni ed attrezzato con una quarantina di diving; sott’acqua si possono infatti incontrare animali davvero strani come dugonghi (all’origine del mito delle sirene) e poi squali balena, pesci luna, mante giganti, enormi razze, ippocampi bargibanti, pesci pipa fantasma, pesci rana pagliaccio, nudibranchi, piovre, spugne, tunicati e coralli. Il clima offre due stagioni preminenti: piogge tra novembre e maggio, secco tra giugno ed ottobre.
Info: Indonesia Tourist Promotion, c/o Ambasciata Repubblica di Indonesia, Roma,
www.kemiu.goid/rome – indorom@uni.net – tel. 06 42 00 911 –
Testo/Giulio Badini – Foto /Parco nazionale di Komodo