L’Argentina si presenta come un grande paese estremamente vario, con paesaggi mozzafiato ancora intatti. Oltre a storia antica, etnie, ecc., questo territorio merita di essere riscoperto al di là dei soliti luoghi che il turismo di massa ha ormai conquistato. Nella sua parte più nord-occidentale, al confine con i rilievi andini passando da San Miguel de Catamarca, s’incontra una fortezza pre-incaica nota come “La Quebrada” a picco sul Rio Tala. Abitazioni, magazzini, luoghi di culto ecc. si riconoscono a malapena per i bassi muretti di pietre miste a fango e circondati da grandi cactus. Sembra siano esistiti collegamenti con la Cultura Aguada (650-950 d. C.), sviluppata proprio nella provincia di Catamarca e penetrata anche nel vicino Cile, al di là della catena andina. Le case in pietra erano per le classi più alte, mentre i contadini abitavano in capanne di paglia e fango. Attivo era il trasporto delle merci mediante carovane di lama. Non molto lontano esiste un’altra fortezza nota come Pucara de Aconquija. Il termine Pucara risulta di origine Quechua e significa “fortificazione” e, come la precedente, è stata dichiarata patrimonio UNESCO. Questa struttura viene considerata la più importante dell’Argentina. Risalendo verso nord, si entra nella provincia di Tucuman. In direzione di Tafi en Valle il paesaggio, in pochi chilometri, improvvisamente diventa di tipo tropicale, con foreste ricche di piante epifite che pendono da grandi alberi, felci ecc. Poco dopo l’imbocco della gola, in fondo alla quale scorre un fiume rombante, un cartello reca la scritta “Fin del Mundo” capace di rendere bene l’idea di questo straordinario paesaggio che si eleva, man mano, ad una latitudine inconsueta.
A El Mollar, piccolo villaggio a 2.137 metri di altezza, esiste invece un museo all’aperto ( Parque provincial de los Menhires) molto particolare. Qui, infatti, sono stati riuniti circa un centinaio di menhir, originariamente sparsi sulle montagne attorno. Tale operazione fu voluta, diversi anni fa, dal governo militare per evitare che queste antiche testimonianze andassero perdute o vandalizzate. Purtroppo mancano chiari riferimenti topografici sulla loro originale posizione. Si tratta comunque di steli in pietra locale alte, alcune, anche tre metri. Interessanti sono le figure umane, serpenti e simbolismi di difficile interpretazione raffigurate. Esiste anche un piccolo museo privato allestito in una tipica capanna, dove sono esposti diversi contenitori in terracotta e pezzi con la forma di grosse macine, molto consumate dall’uso. Localmente si dice che queste pietre lavorate servissero come culle per neonati, avendo sul fondo un foro per favorire l’uscita delle loro evacuazioni, ma in realtà erano solo state consumate da una prolungata macinatura dei cereali. Una diga, “La Angostura”, poco lontana dal villaggio, raccoglie le acque sorgentizie del torrente. Un passo montano di 3.040 metri (detto dell’Infernillo), con verdi prati in cui s’incontrano vacche al pascolo e lama, si affaccia su un versante totalmente diverso. Infatti l’ambiente di tipo tropicale risulta qui sostituito, drasticamente, da un paesaggio arido e desertico dominato da migliaia di cactus alti e slanciati. Evidentemente il tasso di umidità si è ridotto drasticamente, forse per una situazione di Stau e di Foehn. Infatti il vento, soffiando liberamente sulla pianura (Pampa)ad Est, incontra la catena delle Ande. Salendo di quota, l’aria si raffredda espandendosi, provocando la saturazione dell’umidità presente e dando quindi origine a nubi cariche di pioggia o nebbia. Precipitando nell’altro versante, la massa d’aria ormai povera di umidità acquista rapidamente calore, raggiungendo temperature maggiori e originando venti secchi. Per questa ragione da un ambiente forestale tipicamente umido si passa ad uno desertico o steppico.
A mezza costa , ad Amaicha el Valle, vive la piccola comunità indigena dei Calchaqui, governata da un consiglio degli anziani. Come molte altre popolazioni andine praticano il culto antico della Madre Terra (=Pachamama), con cerimonie rituali. In particolar modo è famosa la ricorrenza del I° di Agosto, con feste ed offerte alla dea Terra. Proprio in questa zona l’artista Héctor Cruz ha creato un originalissimo Museo all’aperto, non a caso dedicato alla Pachamama, con opere dal significato simbolico, quali pietre di quarzo (cristalli che si crede possano avere proprietà taumaturgiche) le quali completano l’arredo di una specie di giardino Zen, molto affascinante. Non mancano rappresentazioni del Sole e della Luna, oltre a coloratissime pitture, ecc. Tutte le popolazioni andine, ancora oggi, venerano questa divinità della vita e dei raccolti, in altri termini una divinità della Natura. Lo stesso Cruz ha scritto, all’ingresso del suo Museo, questa frase: “La Pachamama è un ente supremo che rappresenta un concetto integrale e completo. A Lei associamo la terra e quindi la vita, la semina, la caccia, la pioggia … tutto … essendo nostro Padre il Sole e, nostra Madre, la Luna”. A lato di una ricostruzione di una capanna Quilme vengono mostrate come erano realizzate le sepolture. Il defunto veniva tenuto esposto all’aria fino a subire una naturale mummificazione e poi inserito all’interno di un grande vaso funebre, mentre i bambini deceduti (alta era la mortalità infantile) venivano invece posti direttamente in contenitori più piccoli.
La Strada 307 s’innesta sulla Ruta 40, che percorre il Rio Belen. Poche decine di chilometri più a Sud, nel villaggio di Santa Maria, un altro interessante museo è stato dedicato all’ archeologo di origine svedese Eric Boman (1867 -1924), il quale qui aveva effettuato ricerche per molto tempo. Nelle sale sono esposti moltissimi materiali antichi appartenuti a quelle etnie che, fin dalla preistoria, avevano popolato questa valle. Particolare attenzione nel museo, risulta dedicata all’Arte Rupestre locale. In questa cittadina esiste attualmente una scuola di artigianato che serve a dare una formazione professionale ai giovani, molti dei quali ancora sono poco alfabetizzati. Salendo più a Nord, non lontano da Tucuman si incontrano i resti dell’antica città di Quilmes, costruita a terrazze lungo i fianchi di una montagna e che, alcuni secoli fa, aveva ospitato fino a 3000 persone. L’insediamento era stato fondato in epoca incaica, intorno all’anno 1000 d.C. La tribù dei Quilmes è rimasta famosa per la resistenza che oppose ai conquistadores spagnoli. Gli abitanti si arresero soltanto nel 1665 e furono tutti deportati, praticamente cancellandoli dalla storia. Oggi un gruppo locale cerca di rivitalizzare quest’etnia, “rubata” dagli spagnoli.
Proseguendo si entra nella Quebrada de Cafayate. I colori sgargianti, le erosioni ed i canyon fanno di questo posto una vera e propria gemma geologica dell’Argentina. I sedimenti ricchi di fossili, compresi i dinosauri, si presentano stratificati a formare rilievi molto particolari. Le rocce più antiche risalgono al Precambriano e derivate dalla trasformazione di sabbie e fanghi. Al di sopra s’incontrano invece strati mesozoici rossastri a partire dal Triassico, con un’ orizzonte calcareo a dolomia, tipico del bacino sedimentario in cui si è formato. Presenti sono anche formazioni gessose, sempre mesozoiche. Nel Quaternario (Pleistocene), a seguito della confluenza di due fiumi si formò un bacino lacustre, come testimoniato da numerose conchiglie presenti nei sedimenti (da cui il nome Quebrada de las Conchas). Non lontano s’incontra la Quebrada de las Flechas, un’arida distesa di guglie appuntite con forme che ricordano grandi frecce, un paesaggio caratterizzato da intensi fenomeni erosivi. Il sollevamento delle Ande, grazie alle ben note spinte tettoniche, ha prodotto questo spettacolare scenario, una vera e propria tavolozza di argille colorate risalenti quanto meno a 450 milioni di anni. Incisa in rocce stratificate c’è, poi, la Gola del Diavolo, una spaccatura veramente impressionante.
La strada, dopo la città coloniale di San Miguel de Tucuman, innestatasi nella mitica Ruta 40, arriva a Salta, altra città coloniale fondata nel 1582 che, come tutti gli insediamenti dell’area andina, è stata spesso interessata da violenti terremoti. Nella cattedrale, in alto sopra all’abside, troneggia infatti una esplicativa scritta: “Flagello terraemotus liberavit nos”. Da questa cittadina si può salire sul Tren de las Nubes il quale, sferragliando, arriva a 4.220 metri, passando su ponti altissimi e su canyon profondi, tra monti ricchi di miniere di manganese, piombo, ferro ed argento. Per farlo giungere fino al capolinea di La Polverilla sono stati costruiti 29 ponti, 19 gallerie, 13 viadotti e 9 tettoie.
Sono 217 chilometri di assoluta vertigine, dove l’aria rarefatta causa il tipico cerchio alla testa per scarsità di ossigeno. Questo malessere (localmente chiamato “soroche”) si attenua mediante foglie di coca che vengono vendute in bustine tipo tè. Purtroppo talvolta il percorso ferroviario risulta sospeso o ridotto, per seri problemi di manutenzione necessari a seguito di frequenti scosse sismiche e per il clima invernale decisamente ostile. Ancora una volta l’Argentina ci mostra la sua grande capacità di destare meraviglia ed interesse … dove la natura si lega alla storia delle origini.
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Testo/Giuseppe Rivalta – Foto/Giuseppe Rivalta e Google Immagini