Tra i numerosi tesori esposti nel Museo Egizio di Torino, secondo per importanza al mondo soltanto a quelli del Cairo, è conservato un documento che si colloca fra le più antiche mappe geografiche giunte dall’antichità fino ai giorni nostri, ed al tempo stesso anche come la più antica mappa geologica e mineraria in assoluto. Per queste due peculiarità si tratta di un reperto straordinario, pur se purtroppo danneggiato in più punti, disegnato su un rotolo di papiro e raffigurante una zona specifica del deserto egiziano.
Nei primi decenni dell’Ottocento l’Egitto era frequentato e percorso in lungo e in largo da un nutrito numero di viaggiatori stranieri, molti dei quali erano impegnati a raccogliere le antichità che ovunque affioravano dal paese. Vicino a Luxor, sulla riva occidentale del Nilo, era ben nota una delle maggiori necropoli dell’Antico Egitto, quella della mitica città dalle cento porte: Tebe. In una valletta attigua ai siti sepolcrali emergevano i resti di un villaggio molto particolare, oggi universalmente conosciuto col nome di Deir el Medina. Qui vissero per quasi cinquecento anni gli operai addetti alla costruzione delle tombe dei re del Nuovo Regno (1539-1075 a.C. circa), i quali realizzarono anche le loro proprie tombe, scavandole direttamente nella montagna che si eleva alle spalle del villaggio. In una di queste tombe, fra il 1817 e il 1821, gli agenti del piemontese Bernardino Drovetti, Console Generale di Francia in Egitto, costantemente in cerca di antichità, rinvennero un rotolo di papiro. In seguito il reperto fu venduto al Re di Piemonte e Sardegna, Carlo Felice, e qualche anno dopo, con la fondazione del Museo Egizio di Torino, il documento approdò nelle sue collezioni.
Le numerose indagini a cui fu sottoposto il papiro, di quasi tre metri in lunghezza per 80 cm di altezza, rivelarono che su di esso era stata tracciata una vera e propria mappa geografica, corredata di iscrizioni in grafia ieratica indicanti informazioni geografiche, minerarie e petrografiche. L’interpretazione delle iscrizioni e lo studio del disegno hanno consentito di proporre un’identificazione piuttosto precisa. Questa mappa indicherebbe infatti la porzione di una decina di Km di lunghezza di una valle nel deserto denominata Wadi Hammamat. Il nome arabo di Wadi Hammamat è traducibile in “Valle dei Molti Bagni”, con riferimento alla presenza di sarcofagi in pietra appena abbozzati e abbandonati nelle cave sul posto, assomiglianti appunto a vasche da bagno. Situato nel Deserto Orientale egiziano, Wadi Hammamat risulta percorso dalla strada che collega la valle del Nilo al Mar Rosso, fra le città di Qift e Quseir, e fin dall’antichità fu un luogo prescelto per l’estrazione di vari tipi di pietre pregiate. L’ambiente si presenta desolatamente arido, dardeggiato dal sole e scavato fra formazioni rocciose dall’aspetto inquietante. Ma la particolarità più straordinaria, oltre ai residui dei lavori di cava, appare costituita da centinaia e centinaia di iscrizioni ed immagini scolpite sulle rocce, che costeggiano lo wadi. Tali incisioni furono apposte in un arco di tempo lunghissimo, dalla preistoria fino all’epoca romana ed oltre.
Ma qual era il significato della mappa e perché si trovava all’interno di una tomba dell’antica Tebe? Ciò che è emerso dai vari studi risulta assai interessante e ci riporta ad un periodo di grande fermento della storia egizia. Il reperto risale all’incirca al 1150 a.C. e fu compilato da uno scriba incaricato di sovrintendere ai lavori nei sepolcri della Valle dei Re.Vi sono diversi indizi che avrebbero identificato l’autore nello scriba Amennakht, il quale redasse il papiro in occasione di una delle tante spedizioni minerarie che venivano inviate allo Wadi Hammamat, allo scopo di ottenere le pietre necessarie alla realizzazione di statue, stele e sarcofagi. Una di queste pietre veniva indicata col nome di “bekhen”, roccia dall’aspetto particolare e molto ambita a quell’epoca. La “pietra bekhen” è identificabile oggi con la basanite, una varietà di roccia effusiva a struttura porfirica, reperibile in Egitto solo nello Wadi Hammamat. Lo scriba Amennakht, dunque, tracciò la mappa e sullo stesso papiro una serie di iscrizioni ieratiche, le quali indicavano le varie caratteristiche dello wadi, vere e proprie didascalie per un utilizzo pratico sul territorio.
Una serie di raffronti con l’aspetto odierno dello Wadi Hammamat ha evidenziato diversi punti di contatto con l’antica mappa, identificandone con grande probabilità di esattezza la posizione geografica. Oltre alla basanite, la valle si presenta anche ricca di altre varietà di roccia molto ambite dagli egizi, come la metagrovacca, la riolite, il basalto, il serpentino, ecc. Inoltre sulla mappa vi sono diversi riferimenti a giacimenti auriferi, assai importanti per l’opulenta civiltà egizia. La mappa presenta sul retro una lunga iscrizione in caratteri ieratici. Analizzando il testo è emerso come questo fu scritto in un secondo momento rispetto alla planimetria della parte frontale. Evidentemente il papiro, dopo il suo primo utilizzo ed essendo un supporto di pregio, fu riciclato dallo stesso scriba Amennakht e dal suo collega Hori per registrare avvenimenti e incombenze di vita quotidiana della necropoli e del villaggio dei costruttori di tombe. A Tebe, in epoca faraonica, venivano così organizzate vere e proprie spedizioni per la cavatura del minerale. Esse comprendevano uno stuolo di funzionari, truppe armate, scalpellini, operai, schiavi e scribi, i quali ultimi registravano sui loro papiri l’andamento dei lavori. Dobbiamo all’opera di questi scribi ciò che sappiamo degli avvenimenti nello wadi. Se con l’andare del tempo la maggioranza dei papiri sono finiti in polvere, la stessa cosa non è avvenuta con la pietra.
Una fra le spedizioni di maggior interesse sembra essere quella narrata nella cosiddetta “Stele dei Novemila”, risalente al terzo anno di regno del faraone Ramses IV (1156-1150 a.C.) della XX Dinastia. Questa lunga epigrafe riporta in dettaglio i numeri della spedizione: essa comprendeva un totale di 8.368 uomini ed ebbe risvolti drammatici. Il testo, sebbene con alcune lacune, recita:
“Anno 3, secondo mese della terza stagione Shemu (decimo mese dell’anno), giorno 27, sotto la maestà di Horus, Toro Possente, Vivente di Verità, Signore dei Giubilei, come suo padre, Ptah; Favorito delle Due Dee: Protettore dell’Egitto, (colui che) lega i Nove Archi; l’Horus d’Oro: Ricco in Anni, Grande nella Vittoria, Sovrano, Generato dagli Dei, Creatore delle Due Terre, Signore dell’Alto e Basso Egitto, Sovrano dei Nove Archi, Signore delle Due Terre, Signore della Forza: Hek-Maat-Ra – Setepen-Amon; Figlio di Ra, Signore delle Incoronazioni: Ramses (IV)-Meriamon, Amato da Amon Ra, re degli dei, Harakhte, Ptah a Meridione della Sua Cinta, signore della “Vita delle Due Terre”, Mut, Khonsu, Min e Harsiese; dispensatore di vita.
Il suo cuore vigila nel perseguimento dei benefici per suo padre, il creatore del suo corpo, che apre per lui la via alla Terra del Dio. Nessuno che visse prima lo conobbe, (poiché) la sua via è lontana davanti alle genti ed esse non hanno desiderio di entrarvi. Sua Maestà aveva riflettuto e preso a cuore come suo padre Harsiese, ed egli gli mostrò la via per il luogo che voleva raggiungere. Ed egli percorse la preziosa montagna allo scopo di realizzare meravigliosi monumenti per suo padre (Amon Ra) e ai suoi padri: tutti gli dei e le dee d’Egitto. Egli elevò une stele sopra questa montagna, incisa con il gran nome del Re Ramses (IV) gratificato della vita come Ra. Sua Maestà comandò allo scriba della casa delle sacre scritture Ramses-eshehab; lo scriba dei sacri possedimenti Hori, il profeta della casa di Min-Harsiese a Ghebtu (Coptos), Usermaat-nakht, di ricercare i (materiali) per il “Luogo di Verità” nella montagna del Bekhen. Dopo (il loro ritrovamento) essi erano perfetti per creare grandi e meravigliosi monumenti.
Poi Sua Maestà comandò per questa commissione:
Il primo profeta di Amon, il capo dei lavori, Ramses-nakht, trionfante, di portarli in Egitto. I servitori e i nobili al suo seguito erano: Il servo del re, User-Maat-Ra Sekhepersu. Il servo, Nakht-Amon. Il tenente (del generale) dell’armata, Khamtir (Khaemter). Il sovrintendente della Casa Bianca (Tesoro), Khamtir. Il capo del servizio alle cave, Amenmose, governatore della città (Tebe). Il capo del servizio alle cave, sovrintendente agli armenti della casa di User-Maat-Ra Meri-Amon (Ramses III), Bak-en-Khonsu. L’ufficiale dei carri della corte, Nakht-Amon. Lo scriba degli effettivi dell’esercito, Soul (Sule). Lo scriba del tenente (del generale) dell’esercito, Ramses-nakht. Scribi dell’esercito = 20 uomini. Capi delle stalle della corte = 20 uomini.
Il capo dei comandanti dell’esercito, Khamale (Kha-em-mal). Comandanti della fanteria = 20 uomini. Conducenti di carro = 50 uomini. Capi dei profeti; intendenti agli armenti profeti, scribi e ispettori = 50 uomini. Soldati di fanteria = 5000 uomini. Ufficiali delle divisioni della corte, pescatori = 200 uomini. Aperu (Eper) della tribù di Ayan = 800 uomini. (Prigionieri asiatici addetti al trasporto delle pietre). Personale dei possedimenti della corona della casa del Faraone = 2000 uomini. Un capo della polizia. Gendarmi Medjay = 50 uomini. Capomastro Nakht-Amon = 1 uomo. Capimastri alle cave = 3 uomini. Cavatori e tagliatori di pietre = 130 uomini. Disegnatori = 2 uomini. Scultori = 4 uomini. I morti che sono esclusi da questa lista = 900 uomini. Totale: 8.368 persone.
Furono per costoro trasportati dall’Egitto rifornimenti in dieci carri trainati da sei gioghi di buoi ciascuno, trainati dall’Egitto fino alla montagna del Bekhen. [C’erano] innumerevoli portatori carichi di pane, carne, focacce. Furono portate dalla città meridionale (Tebe) anche le offerte per la soddisfazione degli dei del cielo e della terra. Essi erano puri di grande purezza essi erano …………. comandati dal capo [che il clero possa] dare […….].
Furono macellati buoi; vitelli furono abbattuti; l’incenso “fluttuava” verso il cielo; shedeh e vino, come un’alluvione; la birra traboccava in questo luogo; il sacerdote rituale, la sua voce illustrava l’offerta pura a Min, Horus, Iside, [Amon, Mut, Khonsu] e a tutti gli dei di questa montagna. I loro cuori erano contenti, essi ricevettero le offerte, che essi possano contraccambiare con miriadi di giubilei, per il loro amato figlio, Re Ramses (IV), dando per sempre vita.” (Tratto da Breasted J.H.: “Reign of Ramses IV”, in Ancient Records of Egypt, Vol IV, 1906, pagg. 222-226)
Dunque sono così registrati i notevoli risultati ottenuti ma con una perdita in vite umane di almeno 900 uomini, una vera e propria ecatombe dovuta ad incidenti, privazioni e malattie. Nello Wadi Hammamat si sono conservate nel tempo le tracce degli insediamenti lasciati dagli operai che lavorarono nelle cave e nelle miniere. Da oltre un secolo queste testimonianze sono oggetto di indagini e studi condotti da istituti universitari e organizzazioni scientifiche di diversi paesi. Il materiale raccolto in tanti anni di ricerche costituisce un corpus di informazioni e documenti di enorme valore, per la comprensione delle vicende storiche e umane che coinvolsero questa straordinaria porzione di suolo egiziano. Chi desidera ammirare oggi la mappa delle miniere non deve fare altro che recarsi al Museo Egizio di Torino, in quanto essa fa bella mostra di sé nella nuova e ottimale esposizione realizzata nel corso dell’ammodernamento delle collezioni del museo stesso.
Info: Museo Egizio, via Accademia delle Scienze 6, 10123 Torino, tel. 011 561 77 76.
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Testo/Claudio Busi – Foto/Claudio Busi e Google Immagini