La cucina bolognese, come tutti sanno, vanta una fama millenaria capace di travalicare i patri confini, magnificata e veicolata a partire almeno dal 1200 da studenti e professori convenuti numerosi in città per frequentare l’Alma Mater Studiorum, ovvero la più antica università del mondo, tanto da essere definita con i tre aggettivi di grassa, dotta e rossa (per i colori delle abitazioni). La fama si riferisce in particolare ai primi piatti – qui chiamati minestre – dove figurano vere specialità come tortellini, lasagne al forno gialle o verdi, tagliatelle, gramigna, gnocchi, pappardelle ed altre ancora, mentre invece scarseggiano secondi e contorni peculiari ed esclusivi, limitandosi al castrato di pecora, alla cotoletta alla bolognese (vitello sovrastato da pancetta e formaggio) nonché al gustosissimo friggione, contorno contadino fritto fatto con cipolle e pomodoro. Ma le minestre bolognesi sarebbero ben poca cosa senza l’intervento del ragù, il condimento principe capace di nobilitare e dare sapore a qualsiasi tipo di pasta, ed in particolare a quelle fresche all’uovo in quanto più propense ad assorbire il condimento, meno con le paste di semola di grano duro piuttosto secche e mono propense ad assorbire. E un buon ragù finisce per rendere appetibile anche un primo insapore come la polenta.
Anche se esistono infinite varietà personalizzate, sotto l due torri con il ragù non si scherza e fin dall’ottobre 1982 la locale Accademia della Cucina Italiana ha provveduto a depositare presso la Camera di Commercio la ricetta ufficiale del ragù tradizionale, unica e indiscutibile, che per 4 persone prevede: 300 g di polpa di manzo scelto tritato, 100 g di pancetta dolce di maiale, mezzo bicchiere di vino bianco secco, un bicchiere di brodo di carne, 5 cucchiai di concentrato di pomodoro (doppio o triplo), una cipolla, una carota gialla, una costa di sedano (50 g l’uno), un cucchiaio di panna (facoltativo). Occorre far soffriggere il trito di pancetta e verdure, aggiungendo la carne di manzo tritata dopo abbondante rosolatura e vino; ad evaporazione del vino aggiungere il pomodoro concentrato, sale e pepe a piacere, brodo e continuare la cottura a fuoco basso per almeno due ore.
Tra le varianti più canoniche si può sostituire la polpa di manzo e la pancetta con carne di manzo più magra e di maiale (salsiccia fresca), e poi la panna con due cucchiai di latte, quindi soffriggere carne e verdure con due cucchiai di olio extravergine d’oliva. Esistono poi ragù di pesce (spigola, cernia, ecc.), o di tufu, ma questo è tutto un altro discorso. Altro discorso a parte per gli “spaghetti alla bolognese”, presenti nei menù di mezzo mondo come piatto tipico italiano. Appare opportuno chiarire come a Bologna non esista alcuna ricetta con tale nome, salvo il fatto che chiunque può condire gli spaghetti – o qualsiasi altro tipo di pasta secca, pur se poco indicata – con qualsiasi tipo di salsa, ragù compreso. Ma fuori dai confini padani diversi ristoratori poco qualificati hanno trovato comodo inventarsi e spacciare un piatto veloce tipico della cucina italiana, a base di spaghetti conditi con sugo di pomodoro e carne, completando l’imbroglio con il nome di “spaghetti alla bolognese”, mai esistiti nella rinomata cucina felsinea.
Altra necessaria distinzione con il ragù alla napoletana. Mentre il primo si fa con carne scelta tritata, oltre agli altri ingredienti di cui sopra, il secondo si ottiene facendo cuocere a fuoco lentissimo (6 ore) carne di manzo o maiale meno pregiata ed a pezzi in abbondante salsa di pomodoro, con aggiunta di uvetta, pinoli, formaggio, salame o lardo, noce moscata e prezzemolo. Risultato: tutt’altra cosa. Il nome deriva dal francese ragout e da ragouter = risvegliare l’appetito, ed a Bologna ci sono riusciti benissimo. In origine indicava piatti di carne stufata con parecchia salsa, poi diventato il condimento della pasta fresca per i giorni di festa.
Ma sotto le due torri non ci si adagia sugli allori, e si sta lavorando per arrivare ad ottenere un marchio registrato come garanzia per un prodotto-simbolo distintivo della città e della sua cultura gastronomica, una tutela di conformità per i consumatori. Una Magna Charta posita su questo specifico prodotto è stata richiesta in occasione di un’apposita recente manifestazione promossa dal giornalista Giulio Biasion e da Giovanni Tamburini, gestore del più noto tempio della gastronomia petroniana. In contemporanea si è svolta anche la prima edizione del premio “Gran Ragù”: per la cronaca i vincitori sono stati lo chef Giuseppe Tarantino del Ristorante Corbezzoli (via Altura 11 bis c/o Relais Bellaria Hotel & Congressi), il Ristorante Cantine Bentivogli ( via Mascarella 4 b), tempio della cucina e della musica jazz nelle cantine di un palazzo storico, e il Ristorante Accademia dei Notturni – Taverna Tamburini (via Armiggia 42 a Bagnarola di Budrio), ospitato in un’elegante villa settecentesca. Se vi capita di passare da Bologna, in questi locali saprete di gustare i migliori ragù petroniani.
Info: EDI House, www.voyager-magazine.it – info@edihouse.it – tel. 051 30 61 12
Bologna Welcome, www.bolognawelcome.com – tel. 051 658 31 11 –
Testo/Giulio Badini – foto/Google Immagini