La Sicilia, cuore del Mediterraneo, è stata per secoli terra di conquista e catalizzatore di grandi civiltà. Qui sono passati Greci e Romani, Cartaginesi, Arabi, Bizantini, Normanni, Svevi e Spagnoli, ognuno dei quali ha lasciato segni profondi nel tessuto sociale e urbanistico di città come Siracusa o Agrigento, per quella greca, Palermo e Trapani per quella arabo-normanna. Un’integrazione culturale che a Mazara del Vallo, nel Trapanese, risulta del tutto evidente. Le stradine della ‘Casbah’ sono piene di vita, grazie alla comunità tunisina più grande d’Italia, ivi risiede. Una cittadina capace di scrivere pagine epiche nella storia della lotta della cristianità, contro l’avanzata dell’Islam in Occidente. Del castello a schema quadrangolare realizzato sul finire del XII secolo per difendere la città dai Saraceni, rimangono solo poche tracce, ma l’Arco normanno, antica porta verso sudest, si erge ancora imperioso davanti a piazza Mokarta.
Si trova accanto alla cattedrale, ed è intitolata al condottiero a capo delle truppe arabe, ucciso in battaglia dal Gran Conte Ruggero d’Altavilla, affiancato dal fido Giovanni I Graffeo (poi Grifeo). Una scena simbolica presente nel gruppo scultoreo sul portale della Cattedrale di Mazara del Vallo (XI sec.), sede del primo Arcivescovato d’Italia, ristrutturata a fine XVI secolo dal vescovo della Diocesi Francesco Maria Graffeo. Ma anche in un affresco nel Castello di Partanna. Feudo dei Grifeo dal 1139, fu donato da Ruggero d’Altavilla al fido condottiero Giovanni I Graffeo per i servigi resigli in battaglia contro gli arabi, dando origine a uno dei più antichi rami nobiliari siciliani. Era destino che a Partanna ci dovessi ritornare, dopo una fugace visita anni fa.
Ero a Selinunte, la più vasta città della Magna Grecia, per la mostra ‘Abitare a Selinunte’, aperta per tutto il 2018 (http://selinunte.gov.it/). Qui, attraverso il direttore del Parco archeologico Enrico Caruso, ho conosciuto Martine Fourmont, l’archeologa francese da anni impegnata in aree della cosiddetta ‘Acropoli’, da dove arrivavano i pezzi esposti. L’argomento ha virato presto sull’acquedotto sotterraneo, il quale da Partanna portava l’acqua a questa colonia greca che oggi si sta presentando nella sua vastità, grazie alle indagini geognostiche dei ricercatori dell’Università di Camerino.
Partanna (dall’arabo ‘Barthamnah’) è un piccolo borgo agricolo del Trapanese ricco di storia, a circa 400 metri slm. Fuori dalle rotte turistiche più famose, in auto dista dal mare circa 24 km se fatti sulla Ss 115. Attorno campi di terra rossa, uliveti, filari di viti e agrumeti, eredità degli arabi. Il Castello Grifeo ne è il simbolo. Compare all’improvviso a metà paese, imperiosa sentinella sulle valli dei fiumi Modione e Belìce fino al mare. Mi aspetta il dott. Domenico De Gennaro, medico di professione ma storico partannese per passione. Prima di tutto mi porta dove, da un insediamento arabo tra VII e VIII secolo, si originò il primo nucleo della città. Ci inoltriamo nella piana verso Castelvetrano, passando in una zona ricca di giardini dai mille colori. Percorriamo via Zagato, una vecchia ‘trazzera’ araba dove c’è un antico abbeveratoio e superiamo uno ‘Stazzuni’, dove con l’argilla si facevano tegole o tubi pluviali. Da qui iniziavano le mura di cinta medievali oggi scomparse. «Il nome Zagato è derivato dall’arabo – ricorda De Gennaro – e significa ‘zona ricca di profumi ed essenze’». Da queste parti la principale fonte di reddito rimane l’agricoltura, con uliveti, viti e agrumeti. Ma anche albicocche, carciofi e la ‘Cipudda Partannisa’, una cipolla rossa dalla forma un po’ schiacciata, tipica della zona, capace di pesare anche un chilogrammo. Ma il mondo sta cambiando pure qui e in lontananza si vedono sulla spianata decine di ettari di pannelli fotovoltaici, sicuramente più redditizi.
Anche la famiglia De Gennaro fa la sua parte nell’economia agricola della zona e dai loro uliveti si produce un ottimo olio extravergine, a cultivar Nocellara del Belìce e marchio ‘Crescenti’, molto apprezzato. Ma a gestire l’azienda, anche grazie agli insegnamenti del nonno materno, è il figlio Roberto, giovane e promettente tenore lirico. Poco distante i resti pericolanti della ‘Torre di Biggini’, parte di un antico castello poi convento dei gesuiti, che da metà XVI secolo ospitò una sezione della Santa Inquisizione. La zona, a 350 metri slm, si presenta ricca d’acqua potabile, che arriva a Castelvetrano con l’acquedotto fatto realizzare nel XVI secolo da Carlo D’Aragona. A Selinunte ci arrivava con una condotta di circa 15 km realizzata tra il V e IV secolo a. C.. Parte dalla cosiddetta ‘Vasca Selinuntina’, una cisterna in pietra arenaria e tufo di circa 15 metri di diametro e 4 di profondità. Una scoperta dell’archeologo palermitano Antonino Salinas nel 1882, legata al Castello Grifeo e ai suoi misteriosi sotterranei.
Il Museo del Castello Grifeo
Come molti castelli del nostro Paese, di questo ne avevo solo sentito parlare. Sorto su un antico casale arabo fortificato, nel tempo ha subito diverse ristrutturazioni, rimanendo però saldamente in piedi anche dopo il violento terremoto che nel 1968 colpì il Belìce, diventandone il simbolo della rinascita cittadina. A pianta rettangolare e corpo triplo, ha un cortile interno dove, sulla facciata frontale all’entrata, spicca lo stemma marmoreo dei Grifeo realizzato nel 1468 dallo scultore dalmata Francesco Laurana. Tutelato dalla Soprintendenza regionale per i Beni Culturali e Ambientali di Trapani, da fine 2007 ospita il ‘Museo Regionale di Preistoria del Belice e il Centro d’interpretazione e valorizzazione territoriale’. Nella sala dedicata alla genealogia del casato, antiche foto e diversi volumi con documenti d’archivio dal XV secolo ne testimoniano la lunga storia. Fino a metà XIX secolo fu la residenza principesca di questa antica casata siciliana, di cui porta il nome.
Ma tutta l’area di Partanna vanta profonde radici storiche, dalla preistoria ai giorni nostri, raccontate nelle teche trasparenti nelle sale del Castello, dov’è esposta una raccolta permanente di reperti e oggetti ritrovati nei siti risalenti al Paleolitico, Neolitico e nelle necropoli della media e tarda età del Bronzo. Tra questi, un cranio trapanato del III Millennio a.C., rivenuto in una tomba a grotticella nel 1988, durante una campagna di scavi della Soprintendenza per i Beni culturali di Trapani in Contrada Stretto. Tra i primi esempi di intervento chirurgico, si notano tracce evidenti sul callo osseo, di sopravvivenza temporanea del paziente.
Invece nel 1998, venne ritrovato sotto l’Ufficio Tecnico Comunale in Corso Vittorio Emanuele, un sito preistorico palafitticolo, con 3 capanne databili tra fine XV e inizio XIII secolo a.C., denominato appunto ‘Utc’, poco distante dalla Chiesa Madre di Partanna (XVI sec.), tra i maggiori esempi del Barocco Trapanese, riaperta al culto dopo 5 anni di restauri il seguito al terremoto del 1968. All’interno opere d’arte come un coro ligneo del 1600, monumento nazionale dal 1910. Nelle teche del Museo anche il riposizionamento di una sepoltura, zanne di elefanti preistorici e crani di animali della stessa epoca; ma anche utensili vari, vasi nello stile ‘Partanna-Naro’ e Campaniforme. Poi ci sono alcune ricostruzioni di epoche successive, coi vecchi mestieri, fino alle valigie di cartone degli emigranti, che da questa terra andarono via numerosi.
I sotterranei del castello
Ma la curiosità è tanta: voglio scendere nei sotterranei prima di continuare la visita al castello. Le scale scavate nella pietra, quei cunicoli che portavano verso il buio assoluto, mi hanno fatto ripensare alle scene di film come ‘La maschera di ferro’, o ‘In nome della rosa’. Solo lì sotto capisci quanto fosse importante essere autosufficienti nei secoli passati, per resistere agli assedi. A cominciare dall’acqua, contenuta in una grossa cisterna sotto le scuderie, oggi centro congressi. Si dice fosse servita da un fiume sotterraneo e, con un lungo cunicolo oggi murato e in parte crollato, arrivasse fino al mare.
Accanto la cantina con grandi tini e almeno 5 botti secolari in noce di Slavonia, del diametro di oltre 3 metri. Ma se l’acqua era fondamentale, non da meno lo era il cibo. Al primo livello il frantoio e al secondo, in una sorta di cisterna scavata nella roccia: il ‘nevaio’, un’antica ghiacciaia riempita a strati di neve pressata e ghiaccio intervallata da paglia, arrivati dalle Madonie o i Nebrodi,. Qui si conservavano i cibi, ma si usava anche per le immancabili granite siciliane o i sorbetti durante le feste. Al terzo livello, tra i cunicoli semibui vedo una porticina scavata nella pietra che introduce a una piccola grotta, con antichi torchi per il vino e botti troppo grandi per essere passate da lì, se non costruite in loco. Al quarto e ultimo livello, i misteriosi cunicoli per le vie di fuga durante l’assedio.
Il salone delle feste
La sala del trono, dove si svolgevano le feste, è oggi diventato una pinacoteca. Tra i grandi quadri con rappresentazioni religiose, spicca sulla destra una grande Pala d’altare detta ‘La Madonna del Rosario’, realizzata nel 1585 dal pittore fiammingo Simone de Vobrek. Opera con la stessa impostazione iconografica di quella del 1540 dipinta da Vincenzo degli Azani da Pavia, ubicata nella Chiesa di San Domenico a Palermo. La presenza dell’opera lì si deve al dott. De Gennaro, il quale mi spiega perché volutamente dal restauro conservativo non siano stati tolti gli sfregi fatti con un oggetto da taglio nel 1910 da un tal ‘Giliberti’, per contrasti con il parroco di allora. Ma a caratterizzare la sala il grande affresco sulla sinistra, sulla cacciata dei Mori da Mazara, per mano del ‘Gran Conte’ Ruggero d’Altavilla. È raffigurato a cavallo mentre uccide Mokarta, affiancato da Giovanni I Graffeo col suo scudo con lo stemma del grifone e, sullo sfondo, le mura di Mazara del Vallo, con la porta detta Arco normanno.
Opere d’arte bene della collettività, come i due dipinti a olio su tela del XVIII secolo ( 270×200 cm), conservati nella Chiesa del Carmelo a Partanna. Uno, ’Incoronazione della Vergine con Santi’, attribuito a Vito D’Anna e l’altro, ‘San Benedetto con Madonna e Redentore’, di autore ignoto. Ambedue le opere hanno bisogno di un urgente restauro già in programma, ma a mancare sono i fondi. Per questo l’Associazione Culturale il Medioevo di Partanna ha dato vita alla seconda edizione della Serata di Gala intitolata ‘Vissi d’Arte sulle ali del Grifo’, terzo evento di questo tipo nell’antico Castello.
«Quello del prossimo 16 giugno sarà un momento magico sul terrazzamento sopra i giardini del Castello, sotto le antiche mura merlate», sottolinea Giuseppe Grifeo, erede della nobile casata e giornalista professionista. «Un richiamo ad antiche atmosfere, per un lodevole scopo: contribuire alla conservazione del nostro patrimonio artistico».
Un progetto di restauro che prenderà via grazie ai partecipanti all’evento del 16 giugno e alle contribuzioni spontanee dei non partecipanti. A questo va aggiunta una sostanziosa contribuzione da parte della ‘Fondazione Cultura e Arte’, grazie al presidente onorario Prof. Avv. Francesco Maria Emanuele Emmanuele, presidente della Fondazione Roma. Coi fondi raccolti nella passata edizione, è stata restaurata la statua lignea del 1500, raffigurante San Giovanni Battista. Allieteranno la serata, a quota individuale di 80 euro, i pianisti e maestri Luca Lione e Vincenzo Marrone d’Alberti con opere di Franz Liszt, Fryderyk Chopin e Maurice Ravel. Tra i numerosi partecipanti blasonati, l’ambasciatore di Cambogia, principe Ravivaddhana Monipong Sisowath.
Info: tel. 329 915 5527 – ilmedioevopartanna@gmail.com – www.grifeo.it
Testo/foto Maurizio Ceccaioni