Conoscete le Vanuatu ? Probabilmente no, perché si tratta di una manciata di isole della Melanesia dall’altra parte del globo, nel sud Pacifico, per l’esattezza un arcipelago composto da 83 tra isole grandi e piccole (le più piccole poco più che scogli, le dieci maggiori grandi invece quanto l’Elba e fino anche a dodici volte tanto) sparse in verticale poco sopra il Tropico del Capricorno in un tratto di oceano esteso tre volte l’Italia, ma con una superficie emersa totale quanto metà della Sicilia, ad oltre 2 mila chilometri al largo della costa orientale dell’Australia.
Alcune isole sono abitate, altre no, comunque con una delle più basse densità per abitanti del pianeta (16 per kmq). Fino al 1980, anno dell’indipendenza, erano una colonia in un incredibile ed assurdo condominio franco-inglese, note con il nome di Nuove Ebridi. Per trovarle occorre un mappamondo ed una lente d’ingrandimento, ma qualcuno – anzi più di uno – ci ha già messo gli occhi sopra perché costituiscono al tempo stesso ben due importanti paradisi di diverso tipo: il primo fiscale, e la cosa non dovrebbe riguardarci, il secondo sub-balnear-naturalistico-etnografico, cioè alcune delle principali componenti del turismo, e questo merita tutte le nostre attenzioni.
Distanza a parte (ma oggi con gli aerei si arriva in poco tempo ovunque, e poi non si può pretendere di andare in Paradiso in carrozza), o forse proprio grazie a ciò, la Repubblica di Vanuatu sembra possedere tutti gli elementi per diventare in fretta uno degli epicentri mondiali del turismo, o quanto meno uno dei luoghi più ambìti, di quelli cioè da sognare se non ci si può proprio andare. Dispone infatti di uno dei mari più belli, vari ed incontaminati del pianeta, con immense barriere coralline, vulcani sottomarini e grotte abitate da una miriade di policromi pesci tropicali, con delfini, squali, tartarughe e balene – fino ai rarissimi dugonghi ed ai coccodrilli marini – che scorazzano nelle acque calde tra colorate tridacne giganti, e con innumerevoli relitti sommersi dell’ultima guerra a fare la gioia di ogni sub, grazie ad una visibilità di 30-50 metri.
Nelle acque davanti a Santo, l’isola maggiore, ad una profondità tra 21 e 67 metri giace la President Coolidge, un transatlantico di lusso simile al Titanic affondato nel 1943 che è diventato il più grande relitto al mondo interamente accessibile ai sommozzatori. Celate tra baie, insenature, promontori, scogliere ed anfratti possiede spiagge immense e deserte ombreggiate da palme, alternandone bianchissime di corallo e nere di lava, dove crogiolarsi al sole, fare snorkelling, surf o pescare in tranquille lagune verdi. In parecchie isole esistono resort di gran lusso ed elevato comfort, affacciati quasi sempre su panorami mozzafiato, dove gustare una deliziosa cucina che più internazionale di così non si può, ed anche a divertirsi in casinò, locali notturni con musica dal vivo e campi da golf.
Le piacevoli sorprese non si limitano però soltanto alle coste, anzi il meglio di Vanuatu appare celato proprio nell’interno delle isole, una diversa dall’altra, alcune enormi, altri semplici atolli corallini. Tre quarti del territorio si presenta coperto da foreste tropicali e praterie, che ne fanno un eden botanico ancora abbastanza integro, con enormi baniani grandi come campi da calcio, imponenti kauri millenari, odorosi sandali, tante palme, bambù e 158 varietà di orchidee. Parecchie sono le piante endemiche, cioè che si possono trovare soltanto qua, così come gli animali, i pesci e gli uccelli. In un contesto ambientale con montagne alte fino a 1.800 metri, incontrerete vulcani attivi, fumarole e sorgenti termali, fiumi, laghi, cascate, caverne, falesie e canyon. Sull’isola di Tanna si trova il solo vulcano attivo del mondo dove si può salire in fuoristrada fin sull’orlo del cratere: un’esperienza davvero unica, con il suolo che rantola e trema sotto i piedi.
La maggior attrazione è però rappresentata dai ni-vanuatu, gli indigeni ospitali e generosi che abitano in piccoli villaggi di capanne nella foresta ad un livello di civiltà fermo alla preistoria, vivendo di piccoli orti, caccia, pesca ed allevando maiali, considerati l’unica vera ricchezza. Le donne indossano gonnelline di rafia e foglie, gli uomini un minuscolo perizoma oppure soltanto un astuccio penico. Le funzioni delle vesti la compiono i tatuaggi, spesso cosparsi in tutto il corpo, le maschere o le piume degli uccelli di cui si adornano. Ricevono volentieri gli stranieri, anche se sono gli ultimi cannibali della terra, non per mangiarli ma per potersi esibire nelle loro pregevoli danze, al suono di tamburi, flauti e conchiglie, e raggranellare qualche spicciolo per poter mandare i figli a scuola. Anche se non sono stati pochi i missionari finiti in pentola fino a non molto tempo fa, il cannibalismo costituisce per loro una pratica essenzialmente rituale, esercitata soltanto nei confronti dei nemici vinti. Cannibali si, ma istruiti. Infatti ogni ni-vanuatu, anche il più selvaggio, parla almeno quattro lingue apprese a scuola: l’inglese, il francese, il bislama (un inglese semplificato che rappresenta la lingua nazionale) e uno dei 108 dialetti locali, compreso magari soltanto da poche centinaia di individui.
Molto apprezzato dai visitatori, assieme alla kava (la forte e diffusissima grappa locale), anche il rito del naghol, il più famoso di tutta la Melanesia, che si svolge nell’isola di Pentecoste: si tratta del salto fatto dagli uomini da torri alte 35 metri con una liana legata alle caviglie, fino a sfiorare la terra con i capelli; l’antenato del moderno bungee jamping, praticato però da secoli per invocare la pioggia. Aggiungeteci infine, da aprile ad ottobre, un piacevole clima tropicale caldo secco, con temperature tra i 24 e i 28° C: anche secondo voi Vanuatu, “la terra che affiora dal mare”, non ha tutte le carte in regola per diventare presto una Mecca del turismo balnear-culturale ? Affrettatevi allora a partire per scoprirla prima degli altri, prima che possa cambiare.
Scarna, ma anche complessa, la loro storia. Vennero colonizzate circa 4 mila anni fa da popolazioni melanesiane di pelle scura, arrivate a bordo delle loro fragili barche a bilanciere da arcipelaghi settentrionali. Bellicosi ed assai superstiziosi, praticavano la stregoneria, il cannibalismo e sacrifici umani, ed erano – come lo sono ancora oggi – pieni di tabù per luoghi e comportamenti; abili navigatori, commerciavano con isole lontanissime, ma erano spesso in conflitto con i loro vicini. Il primo esploratore europeo a sbarcare sull’isola di Santo nel 1605 fu il portoghese Pedro Ferdinand de Quiros, seguace della teoria geografica secondo cui nel Pacifico meridionale dovesse esistere un vasto continente per bilanciare la massa di terra dell’Eurasia presente nell’emisfero settentrionale. La crescente ostilità degli indigeni lo spinse però presto ad alzare le vele verso altri lidi. Per altri 160 anni l’arcipelago fu dimenticato, perché fuori dalla rotte commerciali dell’epoca, finchè nel 1766 vi approdò il navigatore francese Luois Antoin de Bougainville, quello che diede il nome al bel fiore esotico, il quale esplorò diverse isole definendole “giardino dell’Eden”. Fu poi la volta nel 1774 del capitano inglese James Cook, che ne redasse la cartografia chiamandole Nuove Ebridi, seguito nel secolo successivo da una marea di missionari, schiavisti, coloni europei, cacciatori di balene e tagliatori del pregiato legno di sandalo: tutte attività che non contribuirono certo a creare buoni rapporti tra gli indigeni e i nuovi venuti, anche a causa dell’importazione di epidemie di malattie sconosciute.
A complicare le cose ci si mise poi la contemporanea presenza coloniale francese e britannica, due nazioni che altrove competevano e si combattevano a tutto spiano; qui arrivò invece a produrre nel 1906 un anacronistico compromesso, definito Condominio: due diverse amministrazioni parallele ed i nativi lasciati liberi di aderire all’una o all’altra. Tanto nei villaggi a contare era soltanto l’autorità dei capi e degli stregoni tribali. Altro grande shok per i locali si ebbe nel 1942, quando gli americani fecero delle Vanuatu la maggior base militare alleata del Pacifico contro il Giappone, con mezzo milione di soldati e cento navi ormeggiate: un’enormità di uomini e di materiali, neppure immaginabile per dei primitivi, per giunta buttati in mare alla fine del conflitto. Poi, nel 1980, l’indipendenza, purtroppo fino ad oggi incapace di risolvere i problemi economici e politici, dovuti in gran parte alla rissosità e alla mancanza di risorse. Si spera tuttavia che banche e turismo possano aprire prospettive più rosee per il futuro.
Il tour operator torinese “Explorando” (tel. 011 54 05 20, www.explorandoviaggi.it, info@explorandoviaggi.it), è tra i primi ed i pochissimi in Italia a proporre soggiorni e viaggi nell’arcipelago di Vanuatu. Si può scegliere tra soggiorni balneari nei più confortevoli resort, con partenze individuali (minimo 2 persone) settimanali con voli di linea via Hong Kong e Sidney e programmi di escursioni e di attività a terra ed in mare personalizzati, oppure un tour esplorativo di gruppo di 20 giorni, con partenza ad ottobre 2019, con visita alle coste e all’interno di diverse isole; l’itinerario con voli da Milano, pensione completa nei migliori alberghi e guida italiana costa da 5.950 euro in doppia.
Testo/Giulio Badini – Foto/Tom Taccardi