Uno dei maggiori riconoscimenti attribuiti all’impero romano è sicuramente quello di aver costruito ovunque una rete di strade, durate poi per secoli quando non per millenni. Un’esigenza di tipo prettamente militare, per spostare in fretta le legioni da un posto all’altro onde garantire il controllo del territorio, così come militari erano chi le costruiva e poi le curava, ma la loro presenza ha contribuito in maniera determinante anche all’integrazione dei popoli sottomessi nel mondo romano, al commercio ed al benessere economico, alla circolazione delle idee, delle conoscenze e delle culture. Vie di comunicazione esistevano ovviamente anche prima dei Romani, perché l’uomo si è sempre mosso fin dalla più lontana preistoria (tanto che dall’Africa australe ha colonizzato tutte le terre emerse), per collegare i villaggi uno all’altro e favorire gli scambi di merci, ma si trattava di semplici sentieri, piste, tratturi, vie di transumanza. I Romani ebbero il merito di modernizzare i più importanti, di trasformarli in vere e proprie strade, per renderli facilmente percorribili in ogni momento e anche su lunghe distanze a piedi, a cavallo e su carri. “Tutte le strade portano a Roma” recita il proverbio, perché tutte le prime vie si irradiavano dalla capitale nell’intera penisola. La prima a non iniziare da Roma fu la Via Aemilia, eretta nella Gallia Cisalpina tra Rimini e Piacenza nel 189-187 a.C. – 2.200 anni fa – dal console Caio Emilio Lepido: in essa confluivano ragioni militari, economiche e politiche.
Quando alla fine del III° sec. a.C. i Romani, vinti ed assimilati Etruschi e Piceni, scavalcarono l’Appennino affacciandosi sulla fertile pianura emiliana, allora interamente ricoperta da foreste, la trovarono abitata da popolazioni celtiche post-etrusche come Galli Boi, Galli Senoni, Cenomani e Insubri, che piegarono con la superiorità delle loro armi e la disorganizzazione delle tribù locali. Vinti ma non convinti, e ancor meno integrati, tanto che all’arrivo dell’esercito cartaginese di Annibale pensarono bene di sollevarsi contro Roma. Quando, passata la ventata africana, i Romani tornarono in Gallia Cisalpina, al comandante Emilio Lepido si prospettavano due soluzioni contrapposte: vendicarsi del tradimento con le armi, oppure usare la diplomazia per assimilarli pacificamente e definitivamente. Pur essendo un valente combattente, egli si rivelò estremamente saggio adottando la seconda soluzione, arrivando alla creazione di una barriera di protezione – quasi un limes – formata dalle genti cisalpine interposte tra la penisola latina e le popolazioni barbare d’oltralpe. La creazione della via Aemilia rappresentò un po’ la ciliegina sulla torta di questo riuscito progetto politico-diplomatico di alleanze, mentre un tratto di questo territorio, la Romagna, derivò il nome da Roma.
La nuova arteria, lunga 177 miglia romane (262 km), collegava in linea retta Rimini (Ariminum) con Piacenza (Piacentia) tra il bordo della pianura padana e i primi rilievi appenninici, tagliando diagonalmente da sud-est a nord-ovest la regione a sud del Po a cui avrebbe poi finito per dare il nome, primo e unico caso in Italia. Lungo il suo percorso collega importanti insediamenti preesistenti, coevi o successivi come Forlì (Forum Livii), Bologna (Bononia), Modena (Mutina), Reggio Emilia (Regium Lepidi) e Parma. Fu la prima ad essere costruita nella Gallia Cisalpina, testa di ponte per la colonizzazione di tutte le nazioni del centro e nord Europa; partiva da Rimini, dove terminava la Via Flaminia (proveniente da Roma attraverso l’Appennino centrale) ed a Piacenza si sarebbe poi raccordata con la trasversale Via Postumia, che collegava Genova e il Tirreno con Aquileia e l’Adriatico, dopo aver attraversato l’intera pianura padana. In seguito da Piacenza proseguirà poi verso nord-ovest, raccordando Milano (Mediolanum), Torino (Augusta Taurinorum) ed Aosta (Augusta Pretoria). Un rilevante nodo viario, allora come oggi, e un percorso imprescindibile anche nel tempo, tanto che ancora oggi a fianco dell’antico tracciato corrono l’omonima strada statale 9, l’autostrada del Sole e quella Adriatica, la linea ferroviaria Milano-Rimini e l’Alta Velocità. Alcuni tratti dell’antico percorso, nonché alcuni ponti, sono stati riportati alla luce nei centri storici di alcune città come Forlì, Bologna e Reggio. E pensare che venne costruita in appena tre anni, molto meno di tante strade odierne.
Le strade romane, costruite come rigorose linee rette per accorciare le distanze, venivano edificate dai consoli per durare nel tempo anche senza manutenzione o quasi. Si scavava il suolo per 50-60 cm, riempiendo la trincea con inerti locali (pietre, sassi, sabbia) fino al livello, per consentire un buon deflusso dell’acqua meteorica, poi cementando il tutto con uno strato di calcina o cemento, sul quale venivano collocate lastre poligonali di calcare o di basalto incastrate tra di loro, riempiendo gli interstizi con ghiaia minuta e sabbia. Erano larghe mediamente 4-6 m, per consentire l’incrocio tra due carri; in alcuni casi erano dotate di marciapiedi laterali lastricati, mentre una leggera curvatura a schiena d’asino serviva per convogliare l’acqua verso i bordi. Le pietre miliari segnavano le miglia percorse, nonché quelle mancanti. Ad una distanza di 15-18 miglia (pari a 22-26,5 km, quanti ne poteva percorrere un uomo a piedi o un carro) sorgevano poi le mansiones, vere e proprie stazioni di servizio e di posta analoghe alle nostre aree di servizio autostradali, dove si poteva mangiare e dormire, alloggiare gli animali e le merci, approvvigionarsi di cibi e bevande, riparare guasti e anche trovare buona compagnia. Nulla di nuovo sotto il sole. I cavalieri del servizio postale, allora piuttosto sviluppato tanto che ne esisteva uno pubblico ed uno privato, qui cambiavano i cavalli e prendevano e lasciavano la posta, capaci di coprire fino a 500 miglia nell’arco delle 24 ore. Gli eserciti in marcia costruivano invece propri accampamenti. Le strade consolari, percorse a piedi, su carri per persone e merci, a cavallo, su bighe veloci a due posti e su diligenze collettive, derivavano i nomi dalle località che raggiungevano, tipo Ardeatina, oppure sulla funzione preminente, tipo Salaria, o anche infine dal nome del costruttore, come nel nostro caso. In piena epoca imperiale la rete delle strade consolari pavimentate arrivò a misurare oltre 80 mila km, con ben 29 strade che si irradiavano dalla capitale.
Il senatore Marco Emilio Lepido (?-152 a.C.), figlio della nobile famiglia latina, percorse una fulgida carriera pubblica: nominato edile nel 193, a lui si deve la costruzione del nuovo porto fluviale sotto l’Aventino a Roma, poi console nel 189 e 175, quindi pontefice massimo nel 179. Come comandante militare riportò una definitiva vittoria sui Liguri, consacrata con un trionfo nella capitale e con l’erezione del tempio di Giunone al Campo Marzio. Reggio, la lui fondata, venne chiamata in età romana Regium Lepidi, in suo onore. La sua creatura più duratura e lungimirante venne percorsa per secoli e secoli da mercanti e viaggiatori provenienti da orizzonti vicini e lontani, raccordo della penisola con il centro e il nord Europa. Quindi non una semplice strada, ma un percorso geografico e mentale che si dipane tra i campi della Bassa Padana e le valli appenniniche, dove tante idee e sensibilità differenti sono confluite e si sono intrecciate per creare le basi di una civiltà basata sull’accoglienza, il cibo e la terra. Non a caso si tratta anche della regione europea con il maggior numero di prodotti enogastronomici DOP e IGP. Grazie Marco Emilio.
Per celebrare i suoi 2.200 anni di vita, nonché la creazione di quel cordone ombelicale che l’ha collegata al mondo, Reggio nell’Emilia ha organizzato la mostra “On the road – Via Emilia 187-2017”, aperta fino al 1° luglio 2018 in tre diverse sedi nel centro storico della città: nel Palazzo dei Musei, presso il Museo Diocesano e poi a Palazzo Spalletti Trivelli.
Info: www.musei.re.it – musei@municipio.re.it – tel. 0522 45 64 77
www.2200anniemilia.it
Testo/Giulio Badini – Foto/Google Immagini