Ancora oggi risulta possibile rivivere, in pieno, il clima vissuto dalle migliaia di cercatori d’oro che, tra la fine del 1800 e l’inizio del 1900, si avventurarono nello Yukon, alla ricerca dell’oro, superando difficoltà incredibili. Quella fu vera avventura! Lo Yukon rappresenta uno dei tre “Territori” del Canada. La sua superficie è di 482.443 km2, quindi oltre una volta e mezzo l’Italia, con una densità di popolazione di appena 0.08 abitanti per km2. La parola Yukon deriva dall’omonimo corso d’acqua che significa, nella lingua dei nativi Gwich’in, “grande fiume”. Alla fine dell’ultima glaciazione si crearono numerosi corsi d’acqua di cui il Fiume Yukon divenne l’asse principale, andando a sfociare nel Mare di Bering in Alaska, dopo un percorso di 3.187 km.
Dalla preistoria alla storia
Tra i più antichi insediamenti vi sono quelli scoperti in grotte nell’estremo Nord, lungo il Porcupine River, nei pressi del villaggio di Old Crow e datati tra i 40.000 ed i 25.000 anni da oggi, quindi tra i più antichi del Nord America. Occorre però arrivare al 1825, quando l’esploratore polare John Franklin fu il primo a visitare il tratto della costa più settentrionale, quella affacciata sul Mare di Beaufort. Poi nel 1840 la Compagnia della Baia di Hudson aprì dei “trading post”, per il commercio delle pellicce. Fino al 1896 però la regione rimase quasi priva di popolazione europea, ma qualcosa presto cambiò con la scoperta dell’oro nel fiume Klondike.
Insieme a visitare lo Yukon seguendo questo fiume e… non solo.
Ci lasciamo alle spalle il British Columbia ed entriamo nel Territorio dello Yukon, una delle vaste regioni del Canada Occidentale, tra le più selvagge e spopolate del Nordamerica. Il suo nome evoca gli ultimi anni del 1800 carico di ricordi, spesso tragici, legati alla Corsa all’ Oro. Jack London, con i suoi famosi romanzi, ci ha lasciato una “fotografia” di quei durissimi tempi, dove l’Uomo si confrontava con una Natura ostile e con i suoi simili. E’ancora oggi un paese duro e grandioso, non ostante una certa omogeneità di paesaggio con immense foreste, Un viaggio in luglio presenta temperature abbastanza calde, accompagnate però da numerose zanzare che vivono durante la breve estate artica. Watson Lake si presenta come una piccola cittadina nel Sud dello Yukon, caratterizzata da un clima sub-artico, con temperature che in inverno possono scendere fino a -30°C ed oltre (nel 1953 arrivarono a -59°C !).
La città è diventata famosa per la Foresta dei cartelli (Sign Post Forest), un’ attrazione turistica unica ed incredibile. Infatti dopo l’attacco giapponese a Pearl Harbor alle Hawaii, il 7 dicembre 1941 gli statunitensi, in accordo con i canadesi, decisero di costruire una strada militare per raggiungere velocemente l’Alaska e bloccare un’ avanzata del Giappone nelle isole Aleutine. Nel 1942, durante i lavori di costruzione dell’Alaska HWY (così fu chiamata questa nuova via), vi era qui un cartello che indicava le distanze lungo il percorso della strada militare in costruzione. Un bulldozer lo danneggiò e così il comando del 341° Ingegneri ordinò al signor Carl K. Lindley, di raddrizzare il palo col cartello. Fu così che Lindley non resistette alla tentazione di aggiungere un segnale in direzione della sua casa di Danville in Illinois, con la relativa distanza. Da allora cartelli, targhe e materiali vari sono stati attaccati negli anni, tutt’attorno, fino ad occupare due ettari, superando ormai gli 80.000.
A Watson Lake vi sono due opzioni per proseguire alla scoperta dello Yukon: o direttamente verso la capitale Whitehorse, oppure percorrere una strada, in gran parte sterrata, lunga quasi 600 km, per portarsi più a Nord. Questa è la Robert Campbell Highway. L’ambiente che si attraversa appare decisamente disabitato e totalmente naturale. In altre parole è una vera “Wilderness”. Nel 1843 Robert Campbell fu il primo a tentare di aprire una via in questa parte dello Yukon. La strada si snoda in mezzo ad una foresta che, in caso di incendio, potrebbe diventare pericolosa, o meglio, “una trappola mortale”, poiché non esistono vie di fuga. Verso il villaggio di Ross River il fiume si è aperto una via scavando un profondo canyon : è il Lapie Canyon. Un piccolo campeggio permette di trascorrere la notte in maggiore sicurezza perché la presenza di orsi qui risulta frequente. La Campbell HWY continua lungo il Pelly River e si giunge a Ross River, dove vi è l’unico punto in cui poter rifare il pieno di carburante il quale, ovviamente, ha un prezzo lievemente più alto, visto l’isolamento del luogo. Poco lontano s’incontrano delle impronte di Dinosauro. Queste interessanti tracce, lasciate da grandi rettili almeno 75 milioni di anni fa, testimoniano che, in quel tempo,il Nord America era ancora unito all’Eurasia, con clima caldo –umido. Finalmente la strada si affaccia sul lato destro del maestoso fiume Yukon che qui compie un ampia ansa e, come sempre, risulta circondato da immense foreste. A Carmacks è possibile rifare il pieno di gasolio. Il piccolo centro è abitato da neanche cinquecento persone. Originariamente la località era abitata dalla tribù dei“Little Salmon”. Oltrepassato il fiume Yukon sull’unico ponte esistente, ora si prosegue verso Dawson City. Passiamo da Eagle Rock, dove un cartello ricorda la tragica esplosione di un battello a vapore, avvenuta il 25 Settembre 1906: lo Sternwheeler Columbian.
Il grande fiume racconta
Occorre precisare che, dal 1800, lungo il fiume Yukon, erano oltre 200 i battelli a ruote che lo percorrevano nei due sensi, essendo questa l’unica via di comunicazione per arrivare nel Grande Nord. Il battello a ruote “Columbian”, lungo 45 metri e costruito nel 1858, si era ancorato per rifornirsi. La nave era carica di bestiame, verdure e ben 3 tonnellate di polvere da sparo. Il grave incidente avvenne durante il passamano di un fucile carico e, durante questa azione, l’arma cadde di mano a chi la porgeva e partì un solo colpo. Disgraziatamente il proiettile centrò uno dei sacchi di polvere nera immagazzinati sul ponte. L’esplosione fu immediata e devastante. Oltre Eagle Rock lo Yukon River, dalla corrente tranquilla, si trasforma in una serie di tumultuose rapide: le Five Fingers Rapids. Questo tratto del fiume costituiva uno dei punti più pericolosi per le sue cateratte. Lo Yukon qui si divide in cinque canali (da cui il nome ). I battelli a ruote spesso rischiavano il naufragio per la strettezza del passaggio e per la corrente vorticosa.
Nel mitico Klondike
L’azione di modellamento operato dalle epoche glaciali risulta visibile ovunque. Qui i ghiacciai hanno lavorato come veri e propri cantieri di demolizione, sbriciolando le rocce e trasformandole in detriti fini, che il fiume ha eroso facilmente. A Pelly Crossing, alla confluenza del fiume omonimo con lo Yukon, c’è un piccolo villaggio abitato da appena 300 persone. Un museo locale racconta la storia della tribù dei Selkirk, abitanti questa regione. Oltre Stewart Crossing (altro minuscolo villaggio) la strada, sempre delimitata dalla taiga, costeggia l’interessante sottobosco fatto di soffici muschi e licheni bianchissimi che assomigliano a dei coralli. In questa stagione estiva fioriscono i “Fireweed” (Epilobium angustifolium), tipici del Grande Nord. Non mancano gli incontri con i grandi bisonti di foresta (Bush bison). Seguendo la Klondike Hwy, dopo 180 km arriviamo alla mitica Dawson City, la città della famosa Corsa all’Oro di fine ‘800. Anche se qualcosa è cambiato, le case in legno o in mattoni o le strade polverose, fanno sì che l’atmosfera sia rimasta molto simile a quella di oltre cent’anni fa. Qui visse per un certo tempo Jack London, il quale descrisse perfettamente nei suoi libri come Zanna Bianca e Il richiamo della foresta, la difficile vita dei cercatori d’oro.
Dawson City e l’oro
Nata come minuscolo villaggio, dal 1896 si sviluppò grandemente dopo la scoperta dell’oro nei vicini torrenti come il Klondike. L’attuale insediamento fu fondato da un cercatore d’oro ed imprenditore, di nome Joseph Francis Ladue, il quale arrivò nel Klondike nel 1896, dove finalmente raccolse pepite in un suo terreno (70 ettari), proprio dove avrebbe creato il villaggio. Ladue dedicò il suo investimento a George M. Dawson, un geologo che nel 1887 aveva esplorato e mappato a regione. La città divenne il centro più importante della Klondike Gold Rush, capace di richiamare oltre 40.000 persone tra cercatori, commercianti ed affaristi con pochi scrupoli. Quando finì questa spasmodica ricerca di pepite e di polveri d’oro, nel 1902 la popolazione scese drasticamente a meno di 5000 persone. Il crollo demografico fu ancora maggiore quando l’Alaska Hwy, la bypassò 480 km più a Sud. La popolazione si ridusse a meno di 1000 persone.
Oggi Dawson City ha ritrovato la sua celebrità grazie al turismo, in grado di inserirla con successo nei suoi itinerari, mantenendo dove possibile le caratteristiche dell’inizio secolo XX°. Il vecchio battello a ruote Keno ( l’ultimo a navigare sullo storico fiume), ricorda l’epopea dei cercatori d’oro. Il famoso alpinista italiano Walter Bonatti nel 1965 fece tappa a Dawson City durante il suo avventuroso viaggio in solitaria, spostandosi in canoa sullo Yukon e sul Porcupine River per circa 2000 km. La prima notte la passò proprio sotto alla chiglia del Keno. Ancora oggi grande appare la quantità dell’oro alluvionale in questa parte del Canada, depositi che si prolungano anche in Alaska: è la Tintina Gold Province.
Verso l’Artico
Non lontano da Dawson City inizia un percorso che sale decisamente a Nord fino al Mar Glaciale Artico: la Dempster Highway. Si tratta di una pista di oltre 700 km, nata da un adattamento (1958) di una pista usata dalle slitte trainate da cani, per raggiungere l’avamposto di Fort Mc.Pherson in inverno. Nel dicembre 1910 partì un gruppo di quattro uomini da quel forte, per raggiungere Dawson City, ma non vi arrivarono mai. Fu il caporale W. Dempster che, alcuni mesi dopo, ne trovò i cadaveri. Si tratta di uno dei più avventurosi itinerari del Nord America. Si viaggia nella assoluta solitudine, tra montagne inaccessibili, valli ampie e gli affascinanti paesaggi della tundra. Ad Eagle Plains (circa 400 km dalla partenza) risulta possibile trovare carburante. Poco più avanti si attraversa il Circolo Polare, e dopo una sessantina di chilometri si lascia lo Yukon Territory per entrare negli spettacolari Territori del Nord Ovest, ancora più spopolati e selvaggi. Gli abeti ormai sono sempre più striminziti e radi per i fattori limitanti del clima. Il Peer River, che scorre accanto a Fort Mc Pherson , può essere attraversato grazie ad un traghetto gratuito. A circa 620 km da Dawson City si arriva sul fiume Mackenzie. La sua dimensione appare veramente considerevole, ed anche questo è possibile attraversarlo con un secondo traghetto. Finalmente la strada entra ad Inuvik, la cittadina sull’estrema parte del delta del Mackenzie River. La popolazione si presenta costituita da circa 3000 abitanti, di cui almeno 2000 indigeni Inuit . Caratteristica è la chiesa cattolica a forma di igloo, con un parroco della Nigeria. In estate la temperatura può arrivare a + 30°C, ma in inverno scende anche a -54°C. L’artico è la terra degli estremi in tutti i sensi. Ad Inuvik è ancora possibile incontrare vecchie donne Inuit, intente a masticare pelli di caribou allo scopo d’ intenerirle per lavorarle meglio, come facevano le loro antenate fin dalla preistoria.
Da quanto esposto si può senz’altro affermare che il Territorio dello Yukon, insieme a quello del Nord Ovest, rappresenta una regione del nostro pianeta veramente grandioso ed affascinante, specialmente se si può visitare con mezzi propri come è avvenuto per il sottoscritto. Certamente gli effetti dei cambiamenti climatici in atto, anche a queste latitudini, si sentono e si vedono. Tuttavia appare necessaria una precisazione: anche se occorre riconoscere come l’Uomo abbia le sue colpe in questo fenomeno, il pianeta sta attraversando una fase tipicamente di Interglaciale, iniziato quando è terminata l’ultima glaciazione del Wurm. Questi riscaldamenti globali si sono verificati più volte fin dall’inizio del Quaternario. In quei tempi l’inquinamento umano era ovviamente inesistente. Non dimentichiamo tuttavia che la presenza dell’enorme copertura forestale del Nord America, estesa in tutto il resto della Siberia e Russia, costituisce un polmone verde di valore inestimabile per la sopravvivenza dell’umanità, al pari di quello prodotto dalla foresta amazzonica, molto più reclamizzata dai media.
Testo/Giuseppe Rivalta – Foto/Giuseppe Rivalta e Google Immagini